La guerra in Afghanistan è guerra imperialista

Compagni,

il terribile attentato che ha provocato negli Usa la morte di molte migliaia di vittime inermi, in maggioranza lavoratori cui va tutta la nostra solidarietà di classe, è il pretesto per una guerra di vasta portata e dagli esiti imprevedibili, anche se "il nemico" non è uno Stato ben individuato, ma è come un fantasma a cui ognuno può dare le sembianze che più gli fanno comodo a seconda delle proprie convenienze. Gli Stati Uniti gli hanno dato le sembianze dell'integralista islamico Bin Laden, uno sceicco - è ben ricordarlo - che è stato per molto tempo sul libro paga della CIA. Che sia stato il miliardario saudita o meno, poco conta: gli attentati hanno offerto agli USA la scusa per intervenire militarmente nei confronti di quei personaggi e di quel paese che hanno un'enorme importanza strategica nello scenario del petrolio caspico.

Nel mondo moderno il controllo del mercato del petrolio ha un ruolo strategico fondamentale, perché è mediante esso che è possibile controllare e governare i processi di formazione e ripartizione della rendita finanziaria. Oggi, il mercato del petrolio è interamente sotto il controllo degli Usa e dei paesi produttori loro più stretti alleati e le sue contrattazioni sono espresse esclusivamente in dollari. Ciò assicura agli Stati Uniti una gigantesca rendita finanziaria e garantisce loro quell'enorme flusso di capitali provenienti dall'estero con cui finanziano il loro gigantesco debito. È evidente che la perdita anche parziale del controllo di questo mercato o la nascita di un mercato con una valuta diversa dal dollaro come l'euro, potrebbe definitivamente inceppare questo meccanismo con conseguenze pesantissime sull'economia statunitense, già ora epicentro della crisi economica mondiale. Per gli Usa, mettere i piedi e le mani sulla via afghana del petrolio del Caspio costituisce, dunque, un atto di guerra preventiva con il chiaro intento di preservare il loro primato. Tanto più che l'euro è solo ai suoi primi passi e la costituzione attorno a esso di un blocco imperialistico capace di competere con quello statunitense è, per il momento, poco più di un semplice progetto che da questi eventi, però, potrebbe subire una forte accelerazione. Allo stato delle cose l'Ue non può fare altro che buon viso a cattivo gioco in attesa di potere scendere nell'agone imperialistico alla pari dell'altro brigante e, quindi, da un lato dà la sua solidarietà al fratello-nemico e dall'altro prova a frenarne gli impeti guerreschi. E in una condizione non molto diversa si trova la Russia con il nemico di sempre alle porte di casa.

Compagni, proletari!

La propaganda della borghesia sostiene che siamo di fronte a una sorta di guerra santa contro la cosiddetta "civiltà occidentale" da una parte e "l'estremismo islamico" dall'altra. Ma si tratta di una trappola in cui non dobbiamo assolutamente cadere, pena il rischio di un macello senza precedenti nella storia dell'umanità. Non è vero che "siamo tutti americani" e non è neppure vero che esiste un blocco indistinto comprendente "i popoli islamici" o i "popoli del sud del mondo" in cui tutti sono parimenti vittime dell'Occidente. Esistono la borghesia e il proletariato divisi da interessi fra loro inconciliabili. E sotto ogni latitudine i capitalisti perseguono tutti lo stesso obbiettivo: realizzare profitti estorcendo plusvalore ai lavoratori. Oggi, questi signori ci vogliono condurre in guerra perché non hanno altra via di uscita dalla crisi che ha investito il capitalismo mondiale. Non è un caso che ci dicano che tutto è cambiato; che per sconfiggere il nemico saranno necessari anni di sacrifici e la rinuncia a "un po' di libertà". Con la scusa della guerra intanto si impedisce il sorgere di qualunque opposizione che possa mettere in discussione l'attuale ordine economico e sociale. Anche gli scioperi e qualunque forma di lotta economica d'ora innanzi potrebbero essere considerati un tradimento e perciò fortemente limitati o vietati.

Compagni, proletari!

Se vogliamo evitare il massacro generalizzato e la lotta fratricida, dobbiamo rilanciare la lotta di classe e l'unità del proletariato, accelerando il processo di ricostruzione di un autentico Partito Comunista su scala internazionale che abbia nell'antistalinismo e nel disfattismo rivoluzionario il perno della sua strategia, perché soltanto con la trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria e la costruzione di una società socialista si potrà porre fine alla barbarie capitalista, compresa quella in versione islamica o islamico-integralista.

PCInt

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