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Documento del Circulo Internacionalista de Colombia
Il quadro generale delle nuove misure borghesi, la reazione delle masse e le promesse imperialiste
Negli ultimi anni i movimenti sociali in Colombia (nel solco di una tendenza che sembra interessare la maggior parte dei paesi latinoamericani) hanno acquisito una radicalità e un'ampiezza particolari. Se negli anni '80 i lavoratori e gli strati più diseredati della popolazione lasciarono passare senza resistenza le politiche devastanti del capitale, associate a un piano di recupero aggressivamente anti-operaio, oggi cominciano a reagire violentemente contro i suoi effetti. Gli scioperi si trasformano in tumulti; le paralisi cittadine in rivolte, le proteste delle masse urbane si concludono con violenti scontri di piazza; i diversi movimenti contro la marginalizzazione delle regioni subito assumono la dimensione di grandi blocchi con la relativa sequela di attacchi armati o con l'isolamento di intere regioni del paese per settimane e mesi; insomma, gli scontri tra lo stato e la popolazione si diffondono da un estremo all'altro del territorio e coinvolgono strati sociali che prima rimanevano passivi. Anche i conflitti tra la periferia e il centro del paese si sono manifestati in modo violento; lo testimonia il caso della recente sollevazione popolare nel dipartimento del Chocò, abitato maggioritariamente da una popolazione nera che vive in uno stato di oggettiva segregazione e marginalità, in una zona dove mancano le più elementari infrastrutture e servizi sociali. Queste azioni toccano tutti i settori della popolazione lavoratrice, incluso certi strati borghesi e sotto-borghesi (come è dimostrato dalla ribellione dei contrabbandieri del nord del paese nel dipartimento di Guajira). Ognuno dà il suo apporto ai ribelli che, sotto differenti bandiere, marciano come legioni, trasformando le campagne e le città in un gran campo di battaglia. Riassumendo: in Colombia c'è un processo insurrezionale in corso scatenato dai meccanismi capitalisti e dall'inasprimento ed estensione del conflitto tra i sue fronti militari borghesi. Tale processo è concomitante e complementare a quello della delegittimazione dello stato - il quale è progressivamente sostituito da altri agenti - su cui abbiamo già scritto in altre occasioni.
In questo incendio si situa anche la lotta per il controllo totale del mercato della droga, in una situazione eccezionale nella quale la borghesia imperialista, i marginali della Colombia e dei paesi vicini danno vita a una feroce contesa. Se i primi hanno nel commercio miliardario della droga un mezzo di espansione dei loro super-profitti, i secondi hanno saputo trovare negli allucinogeni - di cui sono assetati gli abitanti delle metropoli - "l'oro dei poveri", la via sicura all'Eldorado della ricchezza capitalista che finora potevano guardare solo attraverso la televisione. Tra queste forze sta il proletariato, sottoposto alla peggiore aggressione della storia dal fronte padronale, nel quale si trovano direttamente i gruppi capitalisti, i partiti di qualsiasi colore, lo stato e l'imperialismo in tutte le sue correnti rivali. Insomma, le masse proletarie sono attaccate e spinte all'esasperazione da due fattori chiaramente identificabili. Da una parte, i meccanismi economici della crisi, l'inasprimento della concorrenza, la contrazione dei mercati; dall'altra, la progressiva pressione dell'imperialismo e dei suoi fronti militari che cercano di imporre al proletariato maggiore sottomissione e sfruttamento mediante il terrore: gli uni in nome della democrazia, della modernità e della "lotta alla droga", gli altri in nome di un particolare genere di "socialismo", in cui nondimeno regnano la merce, il denaro, le classi sociali e, ovviamente, lo stato. Tutte queste condizioni esasperano le masse e catapultano la loro ribellione contro l'"ordine" stabilito, ma per sé stesse non le fanno rivoluzionarie.
La realtà attuale presenta, infatti, tre aspetti che insieme generano una situazione molto curiosa e particolare. Il primo consiste nella ribellione anticapitalista che risponde a meccanismi automatici. Oltre ai lavoratori salariati, in questa ribellione si è intrecciata tutta l'eterogenea composizione di classe di una formazione sociale nella quale permangono residui - a volte molto vitali - di altri modi di produzione e i movimenti di massa sono improntati, nel loro immaginario e nelle loro rivendicazioni, sulle vestigia di ideologie e culture precapitaliste. Tutti questi settori e strati che, per usare un'espressione di Bordiga, chiameremo "infraborghesi", sono sensibilmente colpiti dallo sviluppo capitalista e, soprattutto, dall'espropriazione generalizzata e dalla centralizzazione del capitale e del potere, conseguenza della concorrenza interimperialista nell'economia monopolistica globale. Il secondo aspetto è il risultato della reazione contro il colonialismo imperialista incarnato dai funzionari yankees che di fatto oggi governano la Colombia: nello sviluppo della sua strategia antioperaia e anti-guerriglia, la sovrastruttura politico-militare delle multinazionali ha installato il suo posto di comando avanzato a Bogotà; il terzo è rappresentato da un proletariato che, senza un passato politico rivoluzionario e senza forti tradizioni di lotta anticapitalistica, è oggi un gigante solitario, traboccante di furia e frustrazione, ma senza coscienza di classe comunista, le cui braccia poderose le fazioni in lotta cercano di dirigere. In queste circostanze rimangono solamente gli stalinisti e la sinistra riformista tradizionale, occupando tutto il vuoto di direzione politica del proletariato lasciato dalla storia, proponendosi come l'avanguardia della risposta sociale non solamente contro l'offensiva attuata dall'establishment e dai suoi partiti a danno dei lavoratori, ma anche a favore dei marginali che credono di aver trovato nella produzione degli stupefacenti e nel narcotraffico il biglietto d'entrata per il Paese di Cuccagna. Il partito e il programma comunista brillano per la loro assenza.
Per ribellarsi, il proletariato non dovrebbe invocare ragioni né giustificarsi; dovrebbe bastargli di trovare nella sua propria esistenza gli argomenti e i mezzi del suo movimento. Ma, disgraziatamente, nel mondo reale il proletariato non è sotto una campana di vetro, impermeabile alle influenze borghesi. Per raggiungere in pieno la sua capacità storica rivoluzionaria, il proletariato non ha bisogno d'altro che di farsi forte e crescere per mezzo di una organizzazione che concentri la sua volontà e sviluppi al massimo la sua disposizione alla lotta. Ma soprattutto e prima di tutto deve spazzare via i suoi avversari politici. Giovedì 3 agosto questo è apparso in tutta la sua evidenza. Il nuovo sciopero del settore statale, nel quale la direzione sindacale, imbevuta dell'anacronistica idea di eternizzare un settore di funzionari meritevoli rispetto al resto della classe lavoratrice, ha mostrato chiaramente la bancarotta storica del sindacalismo e delle forze della sinistra borghese, che non hanno altro programma all'infuori della concertazione e della conciliazione di classe.
Sprovvisto di un'alternativa storica rispetto alla società capitalista, il Movimento Operaio non ha altra via che accettare il dominio del capitale - e, dunque, della borghesia - sulla classe lavoratrice, sottomettendosi al sistema salariato e alla sua base fondamentale - l'accumulazione del capitale - con tutto ciò che ne consegue. Questo spiega perché l'unica soluzione politica offerta dal riformismo - in tutte le sue varianti - alla crisi in corso si fondi sulla ricostruzione dell'ordine capitalistico attraverso l'intensificazione delle misure contro il proletariato. In ultima analisi, il MO ha logicamente abbracciato gli stessi principi della borghesia: se c'è una crisi del capitale e del dominio borghese, il proletariato organizzato nei sindacati e nei partiti odierni, rimanendo nel quadro del rapporto lavoro salariato-capitale e poggiando su questo rapporto tutte le sue possibilità e strategie, deve pagare il costo della sua rivitalizzazione e contribuire a effettuare i cambiamenti politico-istituzionali che consentano di dare continuità al dominio di classe - inclusa l'ipotesi di integrarsi eventualmente al movimento della rivoluzione politica di ispirazione borghese e piccoloborghese - e rilanciare l'economia. Da qui ne consegue che in nessun modo conviene alla direzione politica del MO attuale che la classe lavoratrice difenda i suoi interessi immediati né che si esprima autonomamente. L'adesione del MO alla logica sindacale comporta, dunque, che la sola menzione della tematica del miglioramento generale del livello di vita della classe operaia sia considerata un sacrilegio. Prigioniera di questa logica, oggi la classe operaia è imbrigliata verso obiettivi conservatori o francamente reazionari. Non c'è dubbio, però, che indipendentemente dalla strategia di contenimento nel presente quadro istituzionale o di deviazione verso il movimento nazionalista borghese, le condizioni obiettive spronano alla rivolta e all'azione di massa di fronte alla impossibilità di conciliare le esigenze di ripresa del capitale e la mera esistenza fisica dei lavoratori.
In questa fase storica il carattere essenzialmente reazionario del vecchio MO è messo chiaramente a nudo. L'unica diversità che corre tra le due correnti principali del riformismo riguarda solamente la via da imboccare per realizzare la stessa strategia: mentre gli uni predicano al proletariato politicamente vergine e inesperto che ha partecipato ai cortei la mansuetudine propria del gregge, gli altri lo chiamano a partecipare al movimento di liberazione nazionale. Va da sé che ambedue le tattiche si conseguono solo a prezzo del sacrificio delle rivendicazioni immediate e all'autonomia di classe del proletariato. In questo senso, anche quando la condotta dei settori apparentemente più radicali del MO è funzionale all'insurrezione e alla rivolta, la sua strategia rimane nel quadro delle diverse alternative presenti nel mercato della politica per rispondere alle necessità dell'economia capitalista e al rafforzamento dello stato. Così, il comportamento dei sindacati e dei "partiti operai" ci ricorda il vecchio stratagemma della controrivoluzione di ogni tempo: " se non puoi impedire né controllare il movimento delle masse, allora devi dirigerlo".
La sinistra e i sindacati hanno sospinto il proletariato sul cammino di Golgota, sul cammino della rinuncia che significa l'accettazione finale del Calvario offerto dall'odioso ordine sociale. Sebbene l'appello iniziale delle centrali sindacali fosse molto limitato, le masse proletarie non organizzate sono riuscite a esprimere il dolore e la miseria che non possono più tenere chiuse nelle porcilaie in cui abitano. Infatti, circa 1 milione e 200 mila persone, in maggioranza senza rapporto di lavoro con lo stato, si sono mosse in più di 1000 municipi contro la politica del governo e dei padroni. Il corteo più grosso si è avuto a Bogotà con, approssimativamente, 200 mila manifestanti che, troppo controllati dalla polizia sindacale, si rassegnarono a biascicare litanie, inibendo la loro rabbia. In questa occasione abbiamo avuto l'ennesima testimonianza di come il timore dei sindacalisti di fronte a questa massa sia tanto grande quanto quello della borghesia: tutti e due sanno bene che questa massa è quella che ha dato materia e forma alle rivoluzioni e alle grandi azioni. Questa massa chiede soluzioni immediate, non diplomazia. Sebbene prigioniera dei veli dell'ideologia, sogna un mondo nuovo libero dal dolore, dall'oppressione e dalla miseria, ma quando osa reclamarlo le offrono di nuovo il vecchio e putrido mondo avvolto in un involucro riformista. Certo, il 3 agosto ci furono battaglie, ma la massa che vi partecipò si muoveva con la stessa furia cieca di un uragano, senza sapere dove dirigere in maniera creativa la sua forza straordinaria. Nella città di Popayàn nel sud-ovest del paese, a Cali nell' ovest, a Medellìn, a Chinchinà e Manizales e lungo l'asse cafetero del paese, divamparono battaglie campali tra i manifestanti e la polizia, con decine di feriti e di arresti. In altre città ci furono blocchi e tumulti a scala minore. Ovunque il proletariato ha espresso la sua rabbia, ma questo non basta: c'è bisogno di una visione strategica che indichi la strada che conduce alla sua dittatura rivoluzionaria. Il punto di partenza per la rottura con il passato e l'inizio di un nuovo movimento passa per la sollevazione delle rivendicazioni immediate che abbraccino i settori più vasti della classe e pongano la massa proletaria sulla giusta strada dell'auto-organizzazione, dell'autonomia e dell'azione diretta di fronte e contro il capitale e tutti gli organismi sociali e politici borghesi. Nel frattempo, l'assenza di un vero partito comunista nella scena politica proletaria spiana la strada alla via riformista, la quale, nella situazione colombiana, si presenta tanto sanguinosa come la fase rivoluzionaria stessa, ma senza nessuna delle trasformazioni essenziali che porterebbe con sé la realizzazione del programma comunista.
Guerra e riforma
La guerra e la riforma sociale capitalista sono i due momenti intimamente intrecciati del processo controrivoluzionario che si svolge in Colombia.
Il progetto di riforma del mondo del lavoro prevede:
- eliminazione del diritto alla contrattazione collettiva;
- soppressione del pagamento delle ore straordinarie, aumento del lavoro notturno, domenicale e festivo;
- erogazione del salario integrale per coloro che ricevono un salario uguale o superiore a tre salari minimi;
- riduzione della giornata lavorativa a 36 ore settimanali, con una diminuzione proporzionale del salario.
A sua volta, il progetto di riforma della sicurezza sociale si propone di:
- aumentare l'età per accedere alla pensione di anzianità a 65 anni per gli uomini e a 62 per le donne;
- eliminare i regimi pensionistici speciali ed eccezionali (Telecom, Ecopetrol, Magistratura, Forze Armate, ecc.);
- aumentare le settimane di versamento per ottenere la pensione minima da 1000 a 1300 settimane;
- ridurre la percentuale del montante maturato per la liquidazione dal 75 al 50%, riducendo sensibilmente in questo modo la rendita pensionistica;
- eliminare il diritto di percepire la pensione del coniuge scomparso, lasciando in tal modo i vedovi o le vedove senza mezzi per vivere proprio nell'età che più li richiede.
La grande minaccia che portano con sé i nuovi progetti di Riforma del mondo del lavoro e della sicurezza sociale, così come la proposta complementare di combattere la disoccupazione mediante la riduzione dello stipendio dei nuovi lavoratori assunti alla metà del salario minimo legale vigente fino ad oggi (1) e la distribuzione obbligatoria della giornata di lavoro attuale tra il doppio dei lavoratori, il che obbligherebbe a lavorare la metà del tempo a metà salario con un ritmo più intenso, hanno trascinato in piazza centinaia di migliaia di nuovi potenziali soldati della lotta di classe. Tali "soluzioni" sarebbero state concepite pensando ai 21 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (infatti, nei due ultimi anni se n'è aggiunto un nuovo milione al gran esercito dei paria di Colombia) e ai tre milioni di disoccupati che vagano per le strade delle città. Invece, non si tratta di contribuire alla salita dei "miserabili assoluti" ad un gradino superiore nella scala della povertà, ma alla discesa di quelli che già ci sono al livello della miseria assoluta. Oltre l'intensificazione dell'attacco al mondo del lavoro, all'ampiezza della mobilitazione del 3 agosto ha contribuito in parte anche la recente approvazione del cosiddetto "Plan Colombia" da parte del governo e del Congresso degli USA, il quale contiene un progetto globale anti-guerriglia consistente in 1.600 milioni di dollari diretti a sopprimere ogni opposizione e resistenza al processo di globalizzazione economica delle multinazionali. Il tutto accompagnato dalla promessa della nascita di un Nuovo Mondo felice, nel quale i colombiani sarebbero a pieno titolo "cittadini del mondo", tanto liberi e uguali ai loro "simili" Ken-Dan-Ran in Asia, Agnelli e Mannesmann in Europa e Bill Gates nell'America del nord. Naturalmente, nessuna promessa imperialista è gratuita. E oggi il prezzo che dobbiamo pagare è alto, perché, secondo le parole di un importante prelato, "grandi sono i nostri peccati e dobbiamo espiarli prima di entrare nel regno dei cieli". Dopo il calvario purificatore della guerra, gli USA e il suo governo fantoccio in Colombia ci promettono la riconversione di questa regione del pianeta in un paradiso nel quale tutti parteciperemo, su un piano di uguaglianza e conformemente al nostro libero arbitrio, all'universo degli affari insieme a Exxon, Dupont, Dow Chemical, Monsanto, Ford, Mitshubishi, Rockefeller e compagnia.
Gli attuali progetti e le riforme, contro i quali si è protestato il 3 agosto, sono uno dei colpi finali nella successione di provvedimenti che si è abbattuta sulla classe lavoratrice dagli anni '80 da parte dello stato e dei padroni. Da allora, l'offensiva implacabile contro le condizioni economiche e politiche della classe operaia non ha conosciuto pausa alcuna. Grazie al controllo esercitato sopra i movimenti di massa dai riformisti e dalla sinistra borghese, finora si sono potute tranquillamente realizzare una dopo l'altra le misure della borghesia. I sindacati hanno evidenziato la loro inutilità storica. Invece di avanzare nelle rivendicazioni sociali della classe lavoratrice, essi si limitano a discutere il dosaggio, l'ampiezza e periodicità delle perdite e delle rinunce che deve accettare la classe operaia. La loro azione si inscrive nello stesso orizzonte dell'economia politica capitalista. Il padronato ha la necessità di recuperare ad ogni costo la redditività delle sue imprese mediante la svalorizzazione continua del costo della forza - lavoro e l'aumento della produttività, al fine di divenire nuovamente competitiva nel contesto dell'economia globalizzata. Per superare questi limiti e le imposizioni ad essi unite, la classe operaia deve ergersi oltre l'orizzonte capitalista e adottare la prospettiva comunista che inquadra tutte le problematiche della società dal punto di vista del proletariato, presentando un'alternativa rivoluzionaria alla società capitalista, in un ordine produttivo libero dalle leggi del mercato e del profitto.
Le condizioni originarie della rivolta generale
La globalizzazione dei mercati ha comportato la scomparsa dell'industria che produceva per il mercato interno - il loro posto è stato occupato dalle compagnie multinazionali dei beni di consumo quotidiano e duraturo - e il processo di privatizzazione e transnazionalizzazione delle imprese commerciali e dei servizi. Pochissime di queste imprese erano competitive e la maggioranza accusava un serio ritardo tecnologico. Le imprese che non si erano rinnovate o non erano in grado di integrarsi nel gioco del capitale finanziario - il quale obbliga l'insieme del meccanismo di produzione e di distribuzione a operare come un mero trasmettitore della rendita - uscivano di scena mano a mano che dovevano affrontare la concorrenza delle compagnie internazionali. Sebbene l'apertura del mercato dei capitali abbia permesso l'afflusso di capitale internazionale, l'acquisto di imprese e le iniezioni finanziarie non hanno provocato altro che una crescita fittizia; ciò che in realtà sta accadendo è un trapasso di proprietà.
Inoltre, l'economia rurale, senza sussidi, langue. Le imprese che effettuarono la ristrutturazione tecnologica per rimanere nella concorrenza diminuirono in modo drammatico i posti di lavoro. Le aziende che mostrarono bilanci positivi, poterono farlo solo grazie alla pratica del down sizing (taglio del personale), ma fino a quando potrà mantenersi questo stato di prosperità di poche imprese senza aumentare la produzione e la cifra degli affari a scala individuale e generale? Nell'anno precedente l'economia decrebbe del 7% circa e nel corso di quello attuale i tentativi di recupero non trovano conforto negli indicatori economici, i quali segnalano di nuovo una caduta delle vendite, della produzione e delle aspettative, così come un aumento della disoccupazione del 24%. Secondo il Dane (Departamento Administrativo Nacional de Estadistica) il maggior numero di disoccupati proveniva dalle attività commerciali (27%), dall'industria (19,2%) e dai servizi comunali, sociali e personali (24,1%). La disoccupazione è così presentata dal rapporto: operai (29,9%), lavoratori dei servizi (22,3%), lavoratori forestali (1,1%), funzionari pubblici (1,5%) professionisti e tecnici (6,9%).
I numeri presentati dagli organismi di ricerca mostrano un'economia che registra la sua maggior caduta in 100 anni. Secondo la Superintendencia de Valores, le imprese iscritte in borsa valgono quasi la metà di cinque anni fa. Da circa 20 miliardi di dollari, il loro valore è caduto a circa 10. Insomma, la capitalizzazione borsistica si è deteriorata del 51%.
Senza il denaro del narcotraffico - il quale ha smesso di investirsi nel paese per essere custodito o evadere verso i cosiddetti "paradisi finanziari" - il cui ammontare oscilla, secondo le divergenti informazioni delle diverse agenzie statali, tra i 10 mila e i 40 mila milioni di dollari all'anno, e con tassi di interessi che nell'anno passato arrivarono a punte del 50%, le imprese sono state brutalmente colpite. Industrie intere, come quella delle costruzioni la quale ha una funzione essenziale nel muovere l'insieme dell'economia - sono scomparse e altre si trovano in recessione. Per altro, le politiche d'urto del governo per contenere l'inflazione non hanno contribuito molto a cambiare le cose. Sebbene l'applicazione di misure deflazionistiche abbia permesso di vincere la spirale inflazionistica - riducendo l'inflazione a solo il 9,6% - come in Ecuador ha aggravato la recessione. Il deficit della bilancia commerciale - che nel '98 ammontava a 6 miliardi di dollari - è stato frenato, però solo a causa della recessione che ha potuto riequilibrare i pesi.
Anche la caduta dei consumi è generale. Secondo Fedesarrollo, il peggioramento del livello di vita ha interessato il 35,2% dei nuclei familiari. Differenziando per strati sociali, i registri segnalano un impatto particolarmente duro tra i settori inferiori della classe operaia, toccando qui il 45,1% dei nuclei familiari. Le statistiche della Superintendencia de Industria y Comercio indicano che il crollo delle vendite di veicoli fu del 16,9% nel 1998 e del 53% nel 1999. Da quasi 150 mila auto che si vendevano nel 1997, si è passati, appena due anni dopo, a una vendita prossima ai 60 mila. Una caduta simile si è egualmente verificata per il consumo dei prodotti essenziali.
Sebbene il governo centrale si affanni a mostrare di fronte al mondo un'immagine di stabilità attraverso il pagamento pieno del debito al sistema finanziario internazionale, senza scegliere la sospensione o la ristrutturazione del debito estero come altri paesi sudamericani, deve sacrificare il 36% del bilancio nazionale alla sua copertura e ridurre gli investimenti sociali a un irrisorio 4%. Il geometrico incremento della spesa nei settori parassitari, a causa dell'ipertrofia dei meccanismi repressivi dello stato - in stretta connessione con l'acutizzarsi della guerra "interna" - così come la gigantesca crescita del debito estero, hanno privato lo stato della capacità, che avrebbe in condizioni normali, di intervento nel senso di mitigare le disfunzioni dell'economia capitalista. Infatti, a differenza di quanto accade nei paesi del centro capitalistico, gli investimenti dello stato colombiano nelle Forze Armate non hanno nessuna ripercussione positiva sull'economia, dato che si limita a importare tutto quello che l'apparato bellico consuma, implicando frequentemente maggior indebitamento estero. Per di più si stima che il 75% dei nuovi finanziamenti statali sono destinati all'apparato repressivo (esercito, polizia, sistema giudiziario, carceri, ecc.) e che il 68% delle spese di funzionamento dello stato riguardano l'esercito e la polizia. È importante notare che i nuovi dati segnalano come degli 875 mila impiegati statali, 325 mila appartengano alle forze di sicurezza (2). Nell'ultimo anno e mezzo del governo Pastrana sono state fatte 5 riforme tributarie e se ne prospetta una sesta che comprende:
- Un'imposta del 2 per mille per ogni transazione bancaria, destinata a coprire le perdite del settore finanziario;
- La destinazione del 50% del bilancio nazionale (che ammonta a 87 bilioni di pesos) al pagamento del debito estero.
D'altra parte, con la svalutazione della moneta negli ultimi mesi e i sovracosti che si pagano per collocare i buoni all'estero (spread), i quali, a causa dei rischi presenti nell'economia colombiana, sono passati da una media di 200 a 900 punti, il debito (che supera i 40 miliardi di dollari) è cresciuto in modo significativo. Insomma, la debacle e la rovina si vedono arrivare da tutte le parti e sembrano incontenibili. Che cosa succederà? Per ora, l'iniziativa sta in mano, a sinistra, dei riformisti armati - che si presentano come i nuovi agenti e garanti locali dell'imperialismo - e, a destra, del blocco oligarchico oggi al potere alleato all'imperialismo USA. Tra la "sinistra" e la "destra" c'è il proletariato, furioso ma senza direzione strategica, colossale ma acefalo, traboccante di potenziale ma immerso come sempre in un oceano di miseria e irrazionalità.
- Grazie alla politica di svalutazione, il salario minimo attuale è arrivato ad essere inferiore ai 150 dollari dell'inizio del 1999. Inoltre è utile segnale che secondo il DANE (l'istituto centrale di statistica) ci vogliono, conformemente all'indice dei prezzi al consumo (IPC), almeno 7 salari minimi per garantire un'esistenza "dignitosa" a una famiglia di tre persone.
- A questo proposito vale la pena sottolineare che quando cominciarono le riforme, appena 20 anni fa, c'erano due milioni di lavoratori statali, dei quali 120 mila erano membri dell'apparato repressivo. La cosa dimostra in modo esauriente che oggi l'unico investimento pubblico che la borghesia giustifica è quello destinato alla sua difesa privata di classe!
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