Risoluzione sui gruppi bordighisti

Assemblea Generale Semestrale

Per molto tempo è prevalsa nel partito l’idea che i gruppi che si richiamavano alla tradizione della Sinistra Italiana potessero essere inclusi in un’area che, seppure alquanto differenziata, fosse sufficientemente omogenea da lasciar ipotizzare una sua possibile ricomposizione nella futura riorganizzazione del partito rivoluzionario.

Al nostro interno, per esempio, si è sempre pensato che decantandosi gli strascichi delle passate polemiche, i due principali tronconi della sinistra (Battaglia e Programma) avrebbero potuto ritrovare un comune terreno su cui procedere verso il superamento della scissione del 1952.

D’altra parte, in quest’ultimo decennio la storia si è incaricata di dare risposte precise a tutte quelle questioni che avevano alimentato le divisioni e che potevano essere considerate sospese.

Il crollo dell’Urss seguito alla crisi verticale della sua economia, ha confermato che la definizione di capitalismo di stato era esaustiva di quella realtà, includendola interamente nell’esperienza storica del capitalismo e negando l’esistenza di categorie economiche di tipo socialista o semi-socialista che potessero giustificare il ricorso a formulazioni che ipotizzavano ancora spazio per la sua evoluzione in un senso o nell’altro (industrialismo di stato, stato degenerato ecc.)

Inoltre, la crisi generale del capitalismo spingendo le forme dell’appropriazione parassitaria del plusvalore a divenire predominanti e il dominio imperialista ad affinarsi ulteriormente, ha tolto ai difensori delle cosiddette guerre di liberazione nazionale qualunque appiglio, anche quello sentimentale del semplice tifo.

La crisi ha anche mostrato l’inconsistenza della tesi che ipotizzava la ricostruzione del sindacato di classe e/o il suo recupero quale cinghia di trasmissione delle parole d’ordine del partito rivoluzionario.

Di fronte alla potenza dei fatti, era lecito pensare che essi facendo giustizia e chiarezza sulle passate polemiche potessero contemporaneamente favorire la rimozione delle incomprensioni e delle divisioni che tanto indebolivano e indeboliscono il fronte del marxismo rivoluzionario, senza che ciò costituisse una andata a Canossa per chiunque.

Non era quindi insensato ipotizzare che l’attualità, spazzando via il vecchio mondo direttamente o indirettamente legato alla esperienza della Terza Internazionale e alla sua degenerazione, lasciasse il campo alla discussione e all’approfondimento delle scottanti e drammatiche questioni che la crisi del capitalismo andava ponendo con sempre maggior forza. E noi lo abbiamo sperato vivamente.

Ma dagli sparsi spezzoni del bordighismo, così come da tutti gli altri gruppi dell’area, non è venuta altro che la riproposizione dell’attitudine alla diaspora per la diaspora, alle vecchie e stantie polemiche con noi e all’indifferenza verso quanto accade ritenendo che tutto sia già stato compreso e spiegato nei sacri testi.

Si è scoperto così che l’area è meno omogenea di quanto si pensasse e che lo spessore delle sue divisioni è maggiore di quanto possa apparire in base alla semplice rassegna delle rispettive posizioni.

In realtà sono emerse differenza metodologiche profondissime, figlie di un diverso approccio al marxismo che genera anche un diverso sentire le questioni sul tappeto e il modo di farvi fronte.

Chi si attarda nella ricerca esasperata di una qualche conferma delle proprie passate posizioni e si crogiola con esse evidentemente non è in grado, a causa del proprio immobilismo teorico e politico di risollevarsi dalle macerie di quel passato.

La ricostruzione del partito rivoluzionario ha bisogno invece di forze vive capaci di trarre dal passato tutte le lezioni necessarie per vivere e comprendere meglio i problemi del proprio tempo.

Si può dunque trarre la conclusione che la semplice appartenenza all’area cosiddetta internazionalista non costituisce di per sé elemento di una maggiore omogeneità con noi.

Anzi nel tempo che ci separa dal nostro ultimo congresso abbiamo potuto constatare che le differenze sopra rilevate sono cresciute e l’immobilismo teorico e politico è diventato il tratto caratteristico delle formazioni in questione.

Fermo restando che non è mai possibile escludere a priori che una qualunque brusca mutazione di condizioni cambi l’attuale quadro, allo stato delle cose escludiamo qualsiasi possibilità di percorsi e iniziative comuni con qualunque gruppo della cosiddetta area internazionalista, che diano il senso di un avvicinamento politico e di una prospettiva comune.

Al congresso lasciammo aperta la questione se - per preparare la solida, quantunque piccola, organizzazione che possa ergersi a punto di riferimento nelle bufere future - occorresse muoversi verso la ricomposizione della scissione del 1952 o verso il rafforzamento autonomo della nostra organizzazione fino al punto di rendere irrilevanti le altre.

Consideriamo ora la questione chiusa, almeno fino a improbabili drammatici mutamenti del quadro politico - nel senso della seconda ipotesi.

Sezioni, gruppi e militanti si comporteranno di conseguenza, considerando tutte le altre formazioni se non avversarie, quantomeno estranee al processo di formazione dell’organizzazione rivoluzionaria.

PCInt