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Home ›Convocazione delle conferenze internazionali della Sinistra Comunista
Una proposta per cominciare
Ai gruppi internazionalisti della Sinistra comunista
Come nelle ore più buie della storia, quelle che preludono o alla guerra e a profondi sconvolgimenti sociali, il problema di sempre e di oggi, in modo particolare, è quello della esistenza, quali che siano le forze politiche in gioco e quali le poste messe in gioco, di sicure bussole orientative per accorgersi che l’umanità sta vivendo queste ore in modo particolarmente confuso ciò che prova la gravità e l’alto grado di pericolosità.
Vi si intravedono dati facilmente decifrabili, altri intuibili e altri ancora in fase di lenta maturazione e determinazione.
Si è acquietata la polemica sulla crisi economica, sulla natura e sulle cause che ha interessato soprattutto e più particolarmente i gruppi più marxisticamente sensibili che si richiamano ad una tuttora generica corrente della sinistra comunista internazionale e sono prevalenti le opinioni che attribuiscono a questa crisi il carattere di crisi di struttura che investe tutto il sistema capitalistico; anche le eventualità di una ripresa economica avrà i caratteri delle provvisorietà perché la stessa ripresa riprodurrà su scala più allargata in tempo assai breve gli stessi problemi della crisi attuale.
Non si tratta, ovviamente, del ripetersi di crisi cicliche che hanno caratterizzato la fase di crescita del capitalismo, ma sono gli alti e bassi pre agonici di questo stesso sistema economico pervenuto alla fase terminale della sua stessa esistenza.
Altro dato di fatto su cui le opinioni dei vari gruppi convergono facilmente è il riconoscimento del ruolo preminente che gioca internazionalmente la socialdemocrazia sia sul piano della influenza ideologica sia su quello della democrazia parlamentare ma non sempre e non mai nettamente si perviene a considerarla da tutti come l’ultima trincea del capitalismo, la trincea meglio mascherata e quindi la più insidiosa.
Rifacciamoci ai precedenti offertici della storia.
Precedenti nella storia del movimento operaio
La troviamo armata dopo la rivoluzione di Febbraio (1917) ai vertici del Governo Provvisorio e contamina persino parte degli organi direttivi dello stesso partito di Lenin prima delle tesi di Aprile.
Per opera di Kerensky, Cernov e Tseretelli, il proletariato di Pietrogrado era stato quasi disarmato nel luglio 1917.
Trotsky, Terrorismo e Comunismo, pag. 117
Esso aveva di nuovo preso le armi all’epoca dell’offensiva di Kornilov su Pietrogrado in agosto. In questo nuovo armamento del proletariato fu un elemento importante per la preparazione dell’insurrezione di Ottobre-Novembre.
Nella rivoluzione tedesca il moto spartachista (1919) è dissolto dalle milizie del governo socialdemocratico di Noske e di Scheidemann, la cui ferocia pervenne alla liquidazione fisica della Luxenburg e Liebknecht, decapitando così e in modo definitivo la rivoluzione tedesca. La riprova si avrà pochi anni dopo (1923), quando il maturarsi dell’assalto rivoluzionario sarà stroncato propio dagli errori di una tattica opportunistica di natura socialdemocratica (partecipazione ai governi di Turingia e di Sassonia ), dall’illusione cioè che si possa facilitare e affrettare l’evento rivoluzionario utilizzando a questo fine le concessioni e gli istituti della democrazia parlamentare.E quale è stato il ruolo della socialdemocrazia nella rivoluzione e controrivoluzione spagnola?
In questi avvenimenti lo schieramento socialdemocratico, tradizionalmente riformista si allarga obiettivamente alla componente cominformista che si muove su di un piano e con obiettivi non coincidenti con l’indirizzo di classe e rivoluzionario del proletariato spagnolo. Osserva esattamente Trotsky, dopo la pace imperialista di Monaco:
La partecipazione degli operai spagnoli alla lotta contro Franco era un loro dovere elementare. Ma appunto perché gli operai non sono riusciti a sostituire il potere della democrazia borghese con il loro potere, la “democrazia” ha ceduto il posto al fascismo.
La sconfitta del proletariato spagnolo ha aperto così la strada alla seconda guerra mondiale. Alle nostre spalle c’è dunque una esperienza che gronda di sangue e quanti sono coloro che sono disposti ad osservare la situazione presente al lume critico che viene datale insegnamento?
Socialdemocrazia di ieri e di oggi
A differenza del passato, e questo indica la profondità della crisi che investe tuttora il mondo del capitalismo, ovunque, ma soprattutto nell’Europa occidentale, più precisamente nei paesi della zona mediterranea è operante un vastissimo schieramento di forze socialdemocratiche in cui è particolarmente evidente la tendenza all’intreccio delle due organizzazioni, apparentemente diverse ma sostanzialmente uguali nel loro operare, quella tradizionale che, grosso modo, si riallaccia nel tempo alla ideologia e alla politica della Seconda Internazionale con aggiunta quella della sua naturale propaggine Seconda Internazionale e mezza, entrambi costituenti storicamente la vecchia socialdemocrazia e l’altra, la neo socialdemocrazia, nata e cresciuta nel capace seno della degenerazione della Terza Internazionale.
Questa, fatta ora adulta, è favorita dal particolare clima delle competizioni mondiali tra i due blocchi di potere usciti dall’esito vittorioso della seconda guerra mondiale che si contendono la supremazia in nome della libertà e della difesa della istituzioni democratiche col dissolversi dell’unità organica delle strutture internazionali come il Comintern prima e quindi il Cominform è dilaniata dalle tendenze centrifughe, dalle istanze al policentrismo, alla autonomia e alle cosiddette vie nazionali.
Su questa linea di sviluppo strategico della odierna socialdemocrazia internazionale, se al Partito Socialista di Mitterand e al Partito Comunista di Marchais va riconosciuto il primo accordo per la realizzazione del “programma comune” sul piano della lotta elettorale, al partito comunista di Berlinguer va attribuita una più vasta e conseguente opera di allineamento su posizioni di democrazia attiva e integrale mirante a sostituire il dialettico con il progressivo, la lotta di classe con la collaborazione di classe, la chirurgia inevitabile della violenza rivoluzionaria con il consenso e la conquista legale, maggioritaria del potere; la ferrea legge della dittatura del proletariato con i pannicelli caldi della democrazia formale.
Su questa via del ribaltamento dei valori essenziali del socialismo scientifico da Marx a Lenin, operato dal PCI di Berlinguer si è mosso il PCF di Marchais solo in secondo tempo, in una fase più avanzata dello sfacelo del sistema capitalista e, secondo la trazione francese, sotto la spinta di interessi e velleità improntati al nazionalismo.
Due congressi - Sintomo
È recente la conclusione “plebiscitaria” del XXII Congresso del Partito Comunista Francese che ha sancito la via democratica, nazionale al socialismo, un socialismo con i colori della Francia e la eliminazione della base programmatica del partito di uno dei suoi assunti fondamentali e caratterizzanti, quello della dittatura del proletariato.
Con un tratto di penna si è creduto di evirare uno di più forti partiti comunisti dell’occidente europeo del suo attributo di mascolinità rivoluzionaria, nella falsa supposizione che tale attributo fosse ancora effettivamente valido.
Il 25o congresso del PCUS, che si è celebrato subito dopo a Mosca, è stato caratterizzato dalla tendenza a smussare gli angoli del dissenso per evitare rotture; è prevalsa la diplomazia al posto della politica e tale linea di condotta è stata suggerita sia dalla convenienza di non spezzare i legami tradizionali con i maggiori partiti dell’occidente europeo che significava perdere ogni tipo d’influenza in una fascia geografica, quale quella mediterranea, di enorme importanza economica, politica e strategica nello scacchiere europeo e mondiale soprattutto in una fase particolarmente difficile dell’urto imperialista, sia per la coscienza che le vie nazionali al socialismo e la tendenza alle autonomie trovano la loro matrice e presupposto teorico nei principi di democrazia progressiva di puro stampo sovietico a copertura di una politica di potere di espansione imperialista.
Pur non potendo giudicare nella sua vera luce e nelle sue giuste proporzioni il compromesso intervenuto tra il partito comunista italiano e quello russo, sta di fatto che eso segna un certo indebolimento del ruolo egemone della Russia politicamente disarmata di fronte al moto centrifugo di pianeti spenti, tipo Marchais, Berlinguer e Santiago Carrillo.
Venuto meno, per opportunità, il partito guida e quindi il rapporto di gerarchia stanno germinando più partiti ugualmente e corresponsabilmente complici della stessa politica neo-socialdemocratica.
Il vuoto teorico dell’eurocomunismo
È per lo meno infantile e privo di ogni serio riferimento storico il tentativo di riportare indietro il movimento socialista e di credere e di far credere che al socialismo si possa pervenire sulla linea di sviluppo della democrazia borghese in un processo logico, naturale e soprattutto pacifica come se la storia del capitalismo non avesse dimostrato abbondantemente e violentemente il contrario, dalla Comune di Parigi alla dittatura militare cilena, che la sola garanzia democratica possibile consiste nel fucile sulle spalle dei lavoratori.
Chi dopo la seconda guerra mondiale e nel mezzo della più profonda crisi in cui le contraddizioni del sistema esplodono una dopo l’altra, in cui si scontrano in modo sempre più violento gli interessi inconciliabili di classe e di nazioni su scala mondiale e in cui sono messi in discussione tutti i valori che hanno caratterizzato un’epoca e una classe, quella della borghesia capitalista, la filosofia dello scorrimento graduale e pacifico degli accadimenti umani, oltre che essere una enorme menzogna in sede scientifica è una cafoneria politica che serve da scorciatoia ai traditori di turno.
Nessuno intende indire particolari crociate antisocialdemocratiche simili a quella del socialfascismo di staliniana memoria, ma un dato di fatto non secondario nel quadro della strategia rivoluzionaria che ci troviamo di fronte a difficoltà non dissimili da quelle che furono di fronte a Lenin e che diedero origine alle sue “Tesi di Aprile”, fatte di uno spesso, oscuro diaframma di forze, quelle della controrivoluzione preventiva, che parlavano il linguaggio della democrazia fini in fondo, dello utilizzo delle strutture del sistema parlamentare, delle conquiste basate sul suffragio elettorale.
Lo stesso motivo delle odierne sirene dell’eurocomunismo.
Riportiamo un saggio preso a caso dalla stampa picista:
Da qui, da questo legame con le nostre radici e con le nostre tradizioni, derivano la continuità e lo sviluppo e anche la novità degli orientamenti nostri, da Gramsci a Togliatti fino alle posizioni chiaramente espresse in una sede “difficile” come quella del Congresso sovietico.
L’Unità, 1 marzo 1976, Editoriale
Certo, noi poniamo il problema il problema del passaggio al socialismo nell’Europa occidentale nel quadro d’un mondo profondamente mutato dalla rivoluzione d’Ottobre e dalle altre rivoluzioni susseguitesi nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
Certo, noi poniamo questo problema in aderenza al tipo di società che abbiamo di fronte e nei modi resi possibili e necessari da quanto noi stessi siamo venuti realizzando con la nostra lotta, con le nostre impostazioni.
Il collegamento inscindibile tra la lotta per la democrazia, per il continuo arricchimento dei contenuti democratici, e la lotta per il socialismo è una grande conquista teorica per il movimento operaio occidentale.
Ne discende una visione articolata, pluralistica, aperta della società socialista.
A questi analfabeti di marxismo va fatto presente che propio per il tipo di società che abbiamo di fronte, che è società di classe basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il supposto progressivo arricchimento dei contenuti democratici che dovrebbe concludersi nel socialismo senza scosse, senza stravolgimenti e violenza, non è altro che la somma di contenuti democratici della classe borghese capitalista che darà per totale un arricchimento di questa classe, e basta.
Tutto il resto è poesia interessata e, come tale, cattiva poesia.
Di fronte a questo quadro che tende a precisarsi sempre più chiaramente nei termini che siamo andati indicando, il problema è di sapere che cosa fare.
È ovvia la constatazione della incapacità delle forze tradizionali del capitalismo a uscire della crisi abbattutasi nelle strutture portanti del sistema inceppandone la funzionalità, come è ovvio riconoscere che il compito di fare da argine al dilagare rovinoso d’una economia in sfacelo è stato assunto, obiettivamente dalle forze della social-democrazia.
Se così è, e nessuno oserà negarlo, quali sono i compiti immediati e futuri dei comunisti che nella crisi del capitalismo trovano confermata la previsione marxista della inevitabilità dello scontro violento tra le due classi storiche secondo le leggi dl superamento dialettico che è alla base del socialismo scientifico per la conquista rivoluzionaria del potere?
Se al centro della nostra considerazione, nella fase attuale, è la natura, lo svolgimento e le prospettive della crisi, in quanto crisi del profitto e quindi di tutto il sistema, ciò vuol dire che anche una ripesa economica, come abbiamo più sopra accennato, sempre possibile per cause soprattutto sovrastrutturali, ricreerà su scala più allargata e in questa e in questa stessa fase temporale di decadenza generalizzata del capitalismo gli stessi motivi che dal 1970 in poi hanno mozzato il fiato ai paesi industrialmente più avanzati del mondo.
In questo contesto va vista l’importanza dl ruolo assegnato storicamente alla socialdemocrazia vecchia e nuova come forza di sbarramento e di diversione controrivoluzionaria.
Le tre ipotesi
Formuliamo alcune tra le ipotesi possibili:
- che il capitalismo superi temporaneamente la crisi;
- che l’aggravamento ulteriore della crisi crei una situazione soggettiva di paura generalizzata tale che apra il varco ad una soluzione di forza e si avrà al III guerra mondiale;
- che si spezzi l’anello più debole della catena con la riapertura della fase della rivoluzione proletaria in continuità storica dell’Ottobre bolscevico.
Tre ipotesi di svolgimenti diversi posti in prospettiva che vedranno in ogni caso coinvolta la socialdemocrazia come maggiore protagonista cui il capitalismo, in avanzata putrefazione, demanda il compito essenziale di salvare il sistema sotto la maschera di formulazioni teoriche e di organismi che si richiamano, a modo loro, alle tradizione delle lotte operaie.
Attualmente è in atto il tentativo strategico dello smantellamento morbido delle posizioni teoriche classiche del marxismo rivoluzionario, una specie di guerra di posizione dottrinaria da cui verrebbe fuori nientemeno che la teoria dell’inapplicabilità del marxismo in paesi ad avanzata economia industriale in cui si è verificato un contemporaneo sviluppo della democrazia; poi si vedrà come e quando muovere le fanterie per la guerra di movimento.
Non mancano davvero alla borghesia anche se malridotta, unità e intelligenza tattica per difendersi, attaccando, ciò che invece è mancato sin qui e manca tuttora sul fronte del proletariato su cui grava la sterile pratica della resistenza passiva.
Del resto le organizzazioni politiche di minoranza rivoluzionaria del dl proletariato esprimono interessi ed aspirazioni di cui di cui dovrebbe essere le avanguardie audaci, pungolatrici e dirompenti, di fatto non sono niente di tutto ciò divise come sono in scuole e scuolette in lotta di banale concorrenzialità o minate da debilitanti frustrazioni personali.
Che la diaspora sul fronte della sinistra continui è un data ma sono nel contempo avvertibili i segni d’una inversione di tendenza con tentativi, anche se non sempre chiari, di integrazione di gruppi sotto la spinta di convenienza economico-organizzativa più che di vere e proprie convergenze ideologico-politiche.
Se l’ondata della contestazione giovanile e studentesca del 1968-69 si è infranta in tanti impetuosi rigagnoli in parte dispersi, in parte risucchiati dai grandi partiti di massa contro cui avevano alzato l’arma della contestazione, in parte incapaci di vivere di luce propria, ramificati nei vari raggruppamenti della sinistra più o meno marxista in cui postare lo spirito del 1968 o in una dimensione critica di superamento o innestando in vecchi schemi libertari l’insoddisfazione e il risentimento d’una esperienza vissuta del tutto negativa, non fa meraviglia se tra questi gruppi è sempre presente un sedimento di spontaneismo, a volte anche generoso e di avventurismo quasi sempre acefalo, tipici di tali formazioni politiche.
Si tratta comunque di una fascia socio-economica che l’esperienza e la crisi del sistema tende a proletarizzare spingendola sempre più verso le posizioni del conflitto di classe.
Rimettere il Movimento Comunista sul binario giusto
È l’ora di porsi l’obiettivo pratico di ricondurre il movimento comunista sul binario giusto che per i comunisti italiani non ha la stazione di partenza con la dato dell’8 settembre 1943, la svolta di Salerno dal ritorno di Togliatti in Italia con in tasca lo specifico del “partito nuovo”, ma dal Congresso di Livorno del 1921, con la fondazione del Partito comunista d’Italia di cui, noi della sinistra italiana, ci sentiamo insieme fondatori, pur tra errori e lacune, sempre possibili, e continuatori.
In una situazione come la attuale in cui la dinamica del modo delle cose procede assai più celermente della dinamica del mondo degli uomini, è compito delle forze rivoluzionarie di intervenire negli avvenimenti con un ritorno della volontà realizzatrice sul terreno da cui essa è determinata e che oggi è atto a recepirla.
Ma la sinistra comunista verrebbe meno a questo compito se non si armasse a tempo di strumenti validi in senso di teoria di prassi politica, e cioè:
- Uscire innanzitutto dallo stato d’inferiorità e d’impotenza in cui l’ha posta il chiuso provincialismo delle beghe culturale-dilettantistiche, del superomismo fatuo e inconcludente al posto della modestia rivoluzionaria e soprattutto del venir meno del concetto della milizia considerata come sacrificio.
- Fissare una base programmatica storicamente valida quale è per il nostro partito la esperienza teorico-pratica incarnatasi nella rivoluzione d’Ottobre e, sul piano dei rapporti internazionali, l’accettazione critica delle tesi de II° Congresso dell’Internazionale Comunista.
- Riconoscere che non si perviene ad una politica di classe né alla creazione del partito mondiale della rivoluzione né tanto meno ad una strategia rivoluzionaria se non si risolve innanzitutto la elementare necessità di far funzionare, fin da ora, un centro permanente internazionale di collegamento e di informazione che esprima una anticipazione e sintesi di ciò che sarà la futura Internazionale, come l’espressero Zimmerwald e più ancora Kienthal come preannuncio della Terza Internazionale.
A questo scopo si renderebbe necessaria la convocazione di una Conferenza internazionale dei gruppi, da decidersi nel tempo, dopo adeguato e attento esame del problema.
Poiché riteniamo che la gravità dalla situazione generale e quella italiana in particolare, imponga delle prese di posizioni precise, responsabili e soprattutto intonate ad una visione unitaria delle varie correnti in cui si manifesta internazionalmente la sinistra comunista, il Partito Comunista Internazionalista ha ritenuto di dover prendere questa iniziativa limitatamente al fine di rendere possibile l’apertura di un dialogo e stabilire un allacciamento permanente tra i gruppi su scala internazionale.
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