FIAT punta avanzata del dominio imperialista

Da Battaglia Comunista n.4, aprile 1962

La Fiat oltre che punta avanzata del cosiddetto neo-capitalismo, è senza dubbio anche anticipazione pratica di quel che sarà l'organizzazione sindacale operaia quando la macchina della grande industria passerà inesorabilmente sul corpo di tutte le altre zone economiche, oggi non ancora pervenute alla fase della organizzazione monopolistica.

La Fiat, per la sua caratteristica di azienda monopolistica, unitaria e fortemente accentrata, é quella che esprime la maggiore socialità e dà origine alle più intense e significative lotte sociali.

Nella Fiat la presenza delle correnti sindacali esistenti é completa; la loro influenza sugli operai e negli organismi di fabbrica e particolarmente sulle commissioni interne varia non in base ai dati reali di questa o quella organizzazione, ma secondo la forza di pressione e soprattutto di repressione esercitata dalla dittatura padronale. Ogni anno che passa è una riconferma di tale indirizzo, è la riaffermazione aperta, sfacciata di un diritto di classe a cui non mancano né la spietata determinazione di ridurre al totale asservimento la marco d'opera operaia, ne i mezzi e gli strumenti per realizzarla.

Se consideriamo l'episodio delle recenti elezioni avvenute alla Fiat per la nomina della nuova Commissione Interna, ciò che salta agli occhi non é tanto l'episodio contingente e sempre mutevole della "quantità" degli eletti o dei bocciati delle varie correnti sindacali, quanto la natura politica e il particolare indirizzo espresso dalle votazioni senza che le masse operaie che hanno votato esprimessero con questo alto una coscienza politica coincidente col particolare indirizzo e lirica politica della corrente per la quale hanno votato, o meglio è stato loro indicato di votare con l’allettamento del premio di produzione o con lo spauracchio del licenziamento con conseguente disoccupazione.

Ecco i dati più significativi delle elezioni alla Fiat. Il considerevole scarto, in percentuale, tra elettori e voti validi indica la torte pressione extra sindacale ed extra operaia che si è esercitata sulla massa dei votanti.

Ma ciò che lascia meravigliato e perplesso l'osservatore politico è quello del passaggio, come se si trattasse di due vasi intercomunicanti, di una parte notevole di voti, oltre il 5% alla Mirafiori, dalla zona di influenza comunista a quella "aziendalistica" di Rapelli, elle é quanto dire dalla zona politicamente più avanzata della C.G.I.L. a quella del sindacato dei padroni, politicamente più retrograda, più corporativa perché contraria ad ogni politica di fabbrica che tenti modificare i rapporti di sudditanza, di ricatto e di paura esistenti nel più vasto cd avanzato complesso dell'industria italiana.

Un tale fenomeno non é dovuto a collusione di forze sindacali politicamente opposte, non è da attribuirsi a un improvviso rimbarbarimento di una parte dell'elettorato togliattiano, ma è l'effetto di una azione direzionale che vuole assicurare all'azienda stabilità, sicurezza e continuità di produzione le sole che possono garantire alla Fiat di far fronte alla concorrenza nella zona del mercato comune come su tutti i settori del mercato mondiale e di aumentare i profitti degli azionisti.

Mai come ora il capitalismo ha temuto l'azione rivendicativa delle masse operaie; assumono forme di vero e proprio parossismo e di terrore i pericoli sempre latenti di una paralisi di tutta la macchina produttiva ad opera di una massa operaia che agisca per moto spontaneo all'infuori dei sindacati e dei partiti che la dominano.

Da qui la politica di allettamento verso i sindacati e verso i partiti parlamentari attualmente più inclini al compromesso.

La situazione che si è venuta a creare con la programmazione economica, è espressa a chiare note dagli stessi economisti della destra economica, visto e considerato che il loro liberismo è praticamente bandito in questa fase monopolistica dell'economia mondiale. Scrivono, infatti, che "gli operai saranno sempre più tenuti a dover lavorare un certo numero d'ore al giorno e con una certa produttività, poiché così sarà stabilito dal piano".

È ovvio quindi che la collaborazione delle organizzazioni sindacali - si affrettano ad aggiungere questi bravi economisti - è assolutamente necessaria se si vuol stabilire una politica di programmazione economica.

Questo sarà il compito dei sindacati quale che sia il colore politico che li contraddistingue.

E quale sarà il compito dei partiti che vantano l'egemonia, nella più vasta organizzazione operaia, la C.G.I.L.?

Dei due grossi partiti parlamentari che dicono di richiamarsi al proletariato, uno, il Partito Socialista Italiano, ha iniziato la marcia d'arroccamento al governo della Repubblica; l'altro, il P.C.I., incalza la marcia del partito fratello, con l'evidente obiettivo di spostare a sinistra l'asse di tutta la politica parlamentare. Unica garanzia questa, rimasta oggi al dirigismo capitalista.

Questi signori strillano contro i monopoli, ma per vivere praticamente e organizzativamente dovranno assicurare quella pace sociale e quella forma di collaborazione diretta o indiretta che la statizzazione dei sindacati e degli organismi di fabbrica pone come imperativo indilazionabile.

Senza la certezza di questa pace sociale, non vive il governo di centro sinistra come non vivrebbe, domani, un governo ancor più caratterizzato a sinistra. Scioperi fatti sul serio e con metodi e obiettivi di classe, disordini sociali, esacerbazione della lotta politica nel paese all'infuori e contro il parlamento non sono conciliabili con la politica dell'alto profitto necessario ad alimentare gli alti e bassi della concorrenza che il super-capitalismo deve affrontare sul piano della competizione mondiale.

Gruppi sindacali torinesi