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Home ›L'evoluzione del sindacato e i compiti della Frazione Sindacale Comunista Internazionalista
Relazione del C.E. in vista del Congresso Nazionale - Battaglia Comunista n.6, 1948
Dalla Prima alla Terza Internazionale
La legge fondamentale dei rapporti di produzione in regime capitalista è la caccia al profitto da parte di coloro che detengono i mezzi di produzione e di scambio, e che nel loro insieme formano la classe capitalistica.
I proletari, possessori solamente della propria forza di lavoro, sono costretti, per vivere, a venderla ai capitalisti, lavorando nelle loro fabbriche e percependo un salario che non rappresenta se non una parte del valore delle merci prodotte, andando l’altra (plusvalore) ad alimentare il processo di accumulazione capitalistica, a soddisfare i bisogni del padrone e ad alimentare tutti coloro che vivono senza lavorare o che non svolgono un’attività socialmente necessaria. Dall’antagonismo esistente nel modo di ripartizione dei prodotti del lavoro, condizionato dai rapporti che intercorrono fra lavoratori salariati e possessori dei mezzi di produzione, si genera la lotta di classe.
La lotta fra le due classi antagoniste assume forme diverse nello storico svolgersi della società capitalista, dai moti violenti del nascente proletariato al momento dell’affermarsi della borghesia a classe dominante della società, alle forme più svariate di solidarismo operaio, fino all’affermarsi del movimento sindacale internazionale.
Il movente immediato delle lotte proletarie dirette dai sindacati è sempre consistito nella rivendicazione di più umane condizioni di vita entro i limiti del regime capitalista. Questa lotta ha costantemente urtato contro la tendenza capitalista a mantenere inalterato e possibilmente ad accrescere il tasso del plusvalore. Tuttavia, nel corso delle loro battaglie, i lavoratori sono riusciti a strappare al capitalismo alcune concessioni e a migliorare parzialmente le proprie condizioni di vita anche per effetto dello sviluppo della tecnica produttiva e del progressivo allargarsi del mercato divenuto ormai mondiale. Ciò non ha impedito al tasso di sfruttamento del lavoro di rimanere invariato, anzi di accentuarsi, fino al momento in cui, compiuta il capitalismo la sua parabola ascendente ed entrato nella fase imperialistica e di crisi permanente, le necessità dell’accumulazione sottoporranno i proletari di ogni industria e di ogni paese a metodi di sfruttamento fin allora mai conosciuti, e la lotta fra lavoro salariato e capitale, fra mezzi di sussistenza degli operai, e profitto capitalistico, assumerà, con sempre maggior chiarezza, il carattere di lotta mortale per l’una o per l’altra delle classi protagoniste del conflitto.
Di un movimento sindacale vero e proprio, raggruppante masse considerevoli di lavoratori in lotta per rivendicazioni immediate, non si può parlare se non ai tempi della Prima Internazionale, epoca in cui il capitalismo inizia la sua fase di ascensione economica e di sviluppo politico. Ma, fin da allora, il partito del proletariato, e per esso Marx nell’indirizzo politico della Prima Internazionale, indicò i limiti della azione sindacale, ammonendo che le rivendicazioni parziali come fini a se stesse non sarebbero state idonee ad affrancare definitivamente il proletariato dallo sfruttamento capitalista, e che la lotta per il raggiungimento di tale obbiettivo avrebbe avuto successo solo se le masse organizzate nei sindacati avessero operato sotto la guida del partito politico di classe in lotta per l’abbattimento del regime di produzione basato sul profitto e l’instaurazione della società comunista. In altre parole, la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita nel quadro del sistema di produzione capitalistico non è ancora la lotta della classe fondamentale della società capitalista che è il proletariato, la cui meta finale non è l’aumento o la difesa del salario ma l’eliminazione del lavoro salariato.
Dopo la sconfitta della Comune di Parigi nel 1871, lo scioglimento della Prima Internazionale e il momentaneo rinculo del moto di classe del proletariato in tutti i paesi, la ripresa del movimento sindacale si verifica contemporaneamente all’organizzazione dei partiti politici della Seconda Internazionale, che, pur riaffermando i postulati fondamentali del marxismo, sviluppano la loro attività politica prevalentemente sul piano parlamentare e limitano quella sindacale alle sole rivendicazioni economiche.
A prescindere dalle deviazioni dei revisionisti, che tendevano ad orientare 1’attività delle ormai possenti organizzazioni sindacali unicamente sul piano delle rivendicazioni economiche nel quadro della società capitalistica e ne rivendicavano l’indipendenza dai partiti socialisti, quelli che per ironia si autodefinirono "marxisti ortodossi" affermavano bensì la necessità di una politica socialista nei sindacati tendente alla conquista del potere, ma identificavano i mezzi per tale conquista nelle battaglie elettorali e parlamentari, ai cui fini le organizzazioni sindacali erano mobilitate. Quello che ne risultò fu la subordinazione delle organizzazioni di massa del proletariato alla politica socialdemocratica e riformista, che si prolungò fino al crollo della Seconda Internazionale avvenuto allo scoppio della prima guerra imperialistica, durante la quale i socialtraditori asservirono i sindacati e le masse operaie alle esigenze della produzione bellica in cambio di migliorie economiche.
Dalla fine della Prima Guerra Mondiale ad oggi
Durante la crisi in cui fu coinvolta la società capitalistica alla fine della prima guerra mondiale, i sindacati, sempre controllati dai riformisti, non modificarono la loro politica malgrado gli impulsi rivoluzionari di cui erano animate le masse operaie di tutti i paesi e i giganteschi riflessi della vittoria rivoluzionaria in Russia e della fondazione dell’Internazionale Comunista.
Il fatto nuovo, che la storia del movimento operaio di quel periodo ha registrato, è questo: nella fase più acuta di quella crisi, le masse in movimento furono portate a scavalcare i limiti dell’organizzazione sindacale esistente e a dar vita, in opposizione ad essa, al tipo nuovo di organizzazione di massa apparso per la prima volta durante la rivoluzione del 1905 e affermatosi definitivamente nell’ottobre 1917: i Soviet.
Anche in Germania, in Ungheria e parzialmente anche in Italia, i Consigli scaturirono dalle esigenze proprie di una crisi in cui la parte più avanzata e combattiva del proletariato poneva il problema di una soluzione rivoluzionaria della crisi stessa, e assunsero perciò ad un tempo il carattere di organismo di massa e di organi del potere proletario.
L’importanza storica di questo fenomeno va ricercata, da una parte, nella dimostrazione che, di fronte alla crisi culminante della società borghese, la rottura fra sindacati riformisti e masse in movimento è inevitabile e che il moto di classe, postosi sul piano della conquista del potere, deve necessariamente scardinare gli organismi tradizionali delle lotte rivendicative (divenuti nel frattempo strumenti della guerra e della controrivoluzione), e dall’altra nella riaffermazione che anche gli organi nuovi sono destinati ad essere riassorbiti nel quadro della conservazione capitalistica ove manchino ad essi l’alimento di una situazione rivoluzionaria e la guida del partito di classe. Sconfitto perciò questo come organo specifico dell’iniziativa di classe, i Consigli dovevano necessariamente cader preda delle forze opportuniste e cessare di esistere come strumenti di azione rivoluzionaria. Le masse operaie rifluirono nei sindacati tradizionali, rimasti sotto il controllo quasi totalitario dei riformisti.
Di fronte all’arretramento del moto di classe del proletariato, alla Internazionale Comunista si pose quindi il problema di operare all’interno dei sindacati al fine di corrodere le posizioni in essa detenute dai riformisti, conquistarne le leve di comando e piegarli alle esigenze della lotta rivoluzionaria, di cui si prevedeva prossima la ripresa.
Questa tattica, difesa da Lenin e accettata dalla maggioranza dei partiti comunisti, obbediva al riconoscimento che i sindacati, pur muovendosi unicamente sul piano delle rivendicazioni immediate e impiegando tutti i mezzi per impedire che straripassero sul piano della lotta rivoluzionaria, davano pur sempre alle forze politiche in essi rappresentate la possibilità di manovrare nel loro ambiente sulla base dì determinati programmi e, nella fase storica che allora si attraversava, ancora fluida e ricca di possibilità di ripresa proletaria, non si presentavano come direttamente legati allo Stato.
I risultati sono noti: i sindacati continuarono per la loro via, e quelli rossi, costituitisi in seguito a scissioni sindacali, parallele alle scissioni avvenute sul piano politico e aderenti alla centrale di Mosca, sia per la lentezza con la quale il proletariato si risollevava dalle sconfitte subite nel 1919-21, sia per il mutato indirizzo politico dell’Internazionale, non apportarono nessuna concreta esperienza che sostanzialmente li differenziasse da quelli tradizionali. Il 1919-20 era passato, e nella riconsolidata dominazione capitalistica nessuna forma di tattica sindacale poteva riparare alla sconfitta subita dalla classe operaia e alla degenerazione dei suoi organismi di difesa.
Era d’altronde inevitabile che, avvenuta quella sconfitta, l’inquadramento dei sindacati operai nella società capitalistica - già sostanzialmente operato dal riformismo - assumesse forme sempre più accentuate di degenerazione.
Il sindacato del secolo scorso operava nel quadro di un sistema di produzione basato sulla libera concorrenza e aveva di fronte a sé il capitalista singolo o associazioni nazionali di datori di lavoro. D’altra parte, il capitalismo era allora nella sua fase di espansione e di ascesa, e le organizzazioni sindacali, dotate di una sia pur relativa capacità e libertà di movimento, potevano vantare al loro attivo una serie di conquiste, sia nel senso di un graduale aumento dei salari (correlativo d’altronde al gigantesco dilatarsi dei profitti), sia in quello di un miglioramento delle condizioni generali di vita del lavoratore.
Ma il quadro era nel frattempo cambiato. Già l’avvento del monopolio e del capitale finanziario aveva visto ridurre il margine di elasticità e di movimento delle organizzazioni sindacali, e la guerra, appoggiata dagli stessi organizzatori, riformisti, aveva divorato quelle che sembravano conquiste definitive della classe operaia. Ma il dopoguerra, con la vittoria della controrivoluzione, aggravava in una successione ferrea e rapidissima di avvenimenti quel fenomeno generale: contro le organizzazioni sindacali si levava il blocco sempre più compatto della resistenza del capitalismo accentrata nello Stato, organo questo non soltanto di conciliazione e di arbitrato dei conflitti sociali, ma disciplinatore e addirittura gestore dell’economia capitalistica. L’accentramento economico sul piano dello Stato portava di conseguenza all’accentramento politico, e le organizzazioni sindacali riformiste ne erano la prima vittima.
Quest’evoluzione trovò la sua espressione più coerente e radicale nella distruzione dei sindacati tradizionali da parte del fascismo e nella loro sostituzione con organismi corporativi direttamente inquadrati nello Stato. Ma negli stessi paesi democratici l’evoluzione suindicata si avverava per altre vie, e i partiti riformisti e i partiti degeneri della III Internazionale provvedevano a piegare il sindacato alle esigenze fondamentali della società capitalistica, fino a farne una delle componenti della società capitalistica, la forza fondamentale di rincalzo della Seconda Guerra Mondiale e, in ogni caso, l’organo di cui lo Stato borghese, gestore dell’economia capitalistica, si serve per regolare il salario alle condizioni mutevoli dell’accumulazione e alla dinamica del profitto.
Corporazione fascista o sindacato democratico, sta di fatto che il sindacato della fase accentratrice e totalitaria del capitalismo è ormai un organo fondamentale dello Stato borghese, con l’aggravante per il sindacato democratico e per le sue ramificazioni periferiche che esso esercita sulla classe operaia una presa psicologica che le corporazioni fasciste non sono mai riuscite a conquistare. Nella schiacciante vittoria della conservazione capitalistica le stesse lotte rivendicative, germogliate dalle condizioni dì vita dell’operaio ma impotenti a strappare al capitalismo - accentrato per la sua difesa di classe nello stato o addirittura in una coalizione internazionale di stati - la benché minima conquista viene piegata, attraverso i partiti dominanti negli organismi di massa, alle esigenze di sviluppo del sistema di produzione borghese e alle sue manovre interne di assestamento, per essere infine direttamente riallacciata (come fu già nella seconda guerra mondiale e nel suo preludio, la guerra di Spagna) ai blocchi imperialistici in conflitto.
È questo - e tale rimarrà fino alla sua distruzione nella tempesta rivoluzionaria del proletariato - il volto ormai storicamente fissato dell’organismo sindacale.
I sindacati nella fase totalitaria del capitalismo e i compiti della Frazione Sindacale Comunista Internazionalista
- Risorti per iniziativa dei partiti della guerra e della collaborazione fra le classi immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, i sindacati si inseriscono nella fase totalitaria della dominazione capitalistica come strumenti indispensabili dell’inquadramento delle masse lavoratrici e del loro impiego all’opera di ricostruzione dell’economia, dell’apparato burocratico, poliziesco e militare, della impalcatura sociale borghese, rivelando in tal modo la loro intima natura di organismi definitivamente morti alle esigenze della lotta di classe.
Di fronte alla constatazione che il sindacato tradizionale è praticamente asservito alla politica della ricostruzione e del mantenimento dell’apparato produttivo del capitalismo e si è allineato nel fronte della difesa del suo privilegio economico fino al punto d’essere considerato, per le enormi masse che esso controlla e per la sua manifesta capacità a tenerle imbrigliate col metodo dell’inganno democratico e dell’allettamento corporativo, il più valido strumento di manovra, di lotta politica e di guerra nell’attuale ciclo del conflitto imperialista che si concluderà con la terza guerra mondiale, quale atteggiamento doveva assumere il P.C.Int., in quanto unica espressione politica degli interessi fondamentali di classe del proletariato? - Non quello certamente, di dar vita, attraverso la scissione, ad un nuovo sindacato, cioè al vero sindacato di classe. Sarebbe stato procedere per astrazione, correre cioè la ventura della costituzione di organismi basati più sulla logica di una valutazione idealistica e polemica del problema che sul terreno della realtà concreta, delle possibilità obbiettive del moto proletario e della ripresa della sua lotta.
Praticamente le masse operaie sono prigioniere negli attuali sindacati come lo furono ieri nelle corporazioni fasciste e le ragioni storiche di questa loro, a volte, volontaria prigionia e della evidente loro incapacità di scuotersi, di risvegliare la sopita coscienza dì classe e di porre brutalmente il problema della loro liberazione, risiedono nella sconfitta patita dal proletariato, nella strapotente riaffermazione del dominio capitalistico e nella pressione indifferenziata e violenta che esso esercita sulle masse perché non osino, sotto nessun aspetto, rompere la disciplina unitaria che le immobilizza nel sindacato.
In questa situazione, caratterizzata dalla pressione reazionaria del capitalismo, rafforzata e resa più valida e oppressiva dall’apporto che ad essa proviene dal tradimento dei partiti ad origine operaia, la coscienza della necessità d’un sindacato di classe non sorge nelle masse, ciò che frustra praticamente e rende effimero ogni tentativo di dar vita ad organismi che, piegati dalla situazione contingente e dagli avvenimenti ad una esperienza negativa, finirebbero per deprimere lo spirito dell’avanguardia rivoluzionaria e pregiudicare la stessa possibilità della ripresa di classe. - Non rimaneva al partito del proletariato che operare nelle masse organizzate del sindacato e non organizzate con un organismo permanente, a caratterizzata autonomia ideologica, politica ed organizzativa, che si muovesse nell’ambito del sindacato stesso e sui posti di lavoro, facendo leva sulla salda rete dei gruppi comunisti di fabbrica. È sorta così la "Frazione Sindacale Comunista Internazionalista" che ha al suo attivo il fermento dei problemi inerenti alla lotta di classe portato quotidianamente nella fabbrica e di riflesso nel sindacato; una sua sempre maggior influenza tra le masse operaie e soprattutto la dimostrata capacità di porsi alla direzione delle loro agitazioni spontanee, quando queste sfuggono e fino a tanto che sfuggono al controllo sindacale e politico delle forze dell’apparato.
- Il Partito Comunista Internazionalista e la sua frazione sindacale rigettano il tradizionale modo dì pensare per cui il sindacato attuale è ritenuto suscettibile di divenire, mediante una intensa pressione esercitata dall’interno delle forze politiche della rivoluzione, strumento di classe per il raggiungimento degli obbiettivi storici del proletariato, che affermano la inevitabilità storica della sua distruzione, dichiarando che questa non potrà avvenire che in situazioni in cui gli attuali rapporti di forza fra le classi saranno capovolti e la battaglia che il proletariato dovrà combattere per la sua distruzione coinciderà con quella che combatterà per la distruzione dello Stato capitalista.
- La frazione sindacale afferma che le lotte rivendicative non possono, in questa fase di esasperato totalitarismo, avere garanzia di successo se disgiunte dalla lotta generale contro tutto lo schieramento delle forze dal capitalismo, fra le quali si trovano, in posizione più insidiosa, gli stessi sindacati; e mentre partecipa (e quando è nelle condizioni di farlo ne prende l’iniziativa) a tutte le agitazioni in quanto hanno la loro origine in una situazione obbiettiva di più accentuato sfruttamento economico della classe operaia, denuncia le finalità controrivoluzionarie delle forze politiche che tuttora sono in grado di captarle e portarle sul piano del contrasto imperialistico e della conservazione borghese.
- La frazione sindacale afferma l’incompatibilità per ognuno dei suoi membri di appartenere a qualsiasi organismo sindacale e di fabbrica manovrato dalla Confederazione Generale del Lavoro; ma per i medesimi motivi che informano il suo intervento in tutte le lotte del proletariato, imposta la sua azione su una partecipazione attiva a tutte le battaglie svolgentisi nell’ambito del sindacato o della fabbrica. In tali battaglie - elezioni di organismi direttivi sindacali o di commissioni interne - la frazione procederà alla presentazione di liste proprie, battendosi sul piano di un programma politico di classe che miri a creare negli operai la coscienza del superamento rivoluzionario dell’attuale sindacato.
- Compito preminente della Frazione sindacale è quello di passare alla guida di tutte quelle agitazioni che sorgono e si muovono fuori del controllo delle organizzazioni politiche e sindacali legate allo Stato.
L’atteggiamento che la Frazione dovrà prendere di fronte ad eventuali organismi locali esprimenti una opposizione alla politica della C.G.L. e dei partiti che la dominano, sarà di impostare il suo intervento sull’esplicita accettazione del suo programma e della sua tattica da parte di tali organismi. - La scissione sindacale che si sta profilando in tutti i Paesi, e perciò anche in Italia, non avviene in funzione di un contrasto di classe, ma in funzione del conflitto imperialistico. La Frazione esclude perciò la possibilità di solidarizzare con l’una e con l’altra di queste forze in conflitto; dichiara che entrambi i tronconi dell’organizzazione sindacale sono parti integranti dello schieramento dei due imperialismi, e afferma che l’unità di classe, potenzialmente realizzata nell’esistenza stessa della frazione, del suo programma e della sua organizzazione, troverà la sua realizzazione storica solo nella fase montante del moto proletario.
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