La morte delle tendenze

Da “L'Ordine Nuovo” del 14 Ottobre 1921

Le tendenze del Partito Socialista sono ben morte, e l'assise di Milano non è l'agonia, ma una fase della loro decomposizione.

Vogliamo salvare le buone intenzioni di singoli o di gruppetti occasionali. Di esse, se per i credenti è lastricato l'inferno, per i rivoluzionari è lastricato il limbo degli impotenti.

Per tendenza si deve intendere un agglomerato di militanti politici che ha una chiara direttiva e una definita organizzazione, un suo programma ed una sua , sia pur breve, storia di vita organica. La tendenza è una unità, e la presenza di più unità biologiche nell'organismo del partito ne sviluppa, in processo più o meno lungo, la scissione.

Con la grande scissione di Livorno, preparatasi da tanti anni sotto i nostri attenti occhi di militanti, le tendenze classiche del Partito Socialista hanno definito il loro ciclo vitale. Quello che oggi avviene nel Partito socialista e la battaglia, o schermaglia verbale, di Milano sono ben altra cosa da quel logico processo che le fasi di vita del Partito antecedenti al Congresso livornese portano a compiuta maturazione.

Veder chiaramente questo, è, per il Partito comunista, che saldamente vive la sua forte unità, che è, finalmente, la organizzazione di una sola tendenza e di tutta una tendenza, più importante conquista tattica che il pescaggio di ulteriori effetti nella fiera a sorprese, che oggi si è iniziata, e che nessuna sorpresa riserba alla sicurezza del nostro orientamento.

Anzitutto taluni indizi esteriori. La campagna di questo Congresso socialista è la più stamburata, forse, per l'opinione e la stampa borghese, cui le cose politiche appaiono grandi solo quando investono da presso le vicende delle politica parlamentare - ma è senza contrasto la più fredda sciatta e vuota, tra le file del partito, di quante se ne ricordano. Innumeri sezioni non hanno votato, molte, cosa nuova, hanno dichiarato in pubblici dibattiti di infischiarsi delle tendenze del Congresso e delle sue decisioni. Da ciò si conferma che a Milano non si scontrano più due diverse valutazioni di uno stesso comune interesse collettivo, ma giocano una danza equivoca cento e mille interessi senza visione programmatica e senza fede.

E se andiamo a cercare una delle due fondamentali condizioni accennate per la esistenza di una tendenza politica, la organizzazione dei suoi seguaci in una completa e salda rete di azione e di movimenti ne constateremo la mancanza assoluta negli aggruppamenti che si contendono, per la platea, la vittoria congressuale. I comitati di frazione, se pure esistono, non hanno potuto fare l'inquadramento delle loro forze e vanno anch'essi incontro all'ignoto: cercano anch'essi sulle bene informate colonne della grande stampa gli oroscopi più attendibili sulle cifre del voto. Se alla vigilia del voto di Reggio nel 1912 aveste chiesto a Vella, o alla vigilia di quello di Livorno al nostro Fortichiari le cifre degli effettivi della loro frazione, ve li avrebbero tranquillamente contati per provincie su di un registro con l'approssimazione di qualche centinaio.

Se poi alle soglie del Lirico domandassimo ai noti visi dei capi e sottocapi socialisti, la ragione ideale, il motivo, il "quia" dei loro aggruppamenti odierni, vedremmo subito che nessuna regola o quasi si può trarre dalla topografia dei nomi. A parte le stelle fisse della destra, sempre parche dei loro raggi alle assemblee di partito avvolte in arguto disprezzo dalla parlamentare loro oratoria, la disposizione degli uomini che altra volta, ed anche ultimamente, costituivano gli Stati maggiori delle frazioni è cambiata in maniera stranissima.

Ma gli uomini e i nomi possono mutare dinanzi alla continuazione di una linea politica che si va delineando nello svolgersi delle situazioni. Domandate dunque ai leader - quali che siano - della rumorosa diatriba il loro bagaglio di principi e metodi, essi vi opporranno tutti la pregiudiziale dell'eclettismo. Questa volta la destra, che sempre ha spezzato lance per il buon senso e il senso della realtà, riconosce cavallerescamente nell'avversario ( ha quanto è cosciente di vibrargli in tal modo il colpo di grazia!) che egli è disceso dalle vituperate regioni del "dogma" e dell'utopia, che ha piegata l'intolleranza avida di sentenze e di scomunica, in un saggio e illuminato apprezzamento di situazioni, di contingenze, di possibilità e di opportunità.

Non vi sono dunque più dogmatici, intolleranti, e rigidi fautori di precise direttive del Partito e nel Congresso socialista? Esso è composto alla unanimità di gente che essendo immune dall'"illusionismo" e dal "miracolismo" estremista ha assuefatta la sua duttile mentalità alla necessità dei mutamenti di rotta che le circostanze suggeriscono? L'assurdo di questa affermazione, se si volesse prenderla nel suo senso laudativo, risalterà evidentissimo all'ultimo ascoltatore delle scempiaggini che verranno giù dalla tribuna di questo Congresso, indegne di essere paragonate alle rozze espressioni con cui il più semplice dei proletari "estremisti" segna le poche tracce della sua coscienza e della sua volontà rivoluzionaria dategli dalle esperienze di tutto il mondo di oppressi e di tutta un'epoca di oppressioni.

Non siamo adunque all'avvento del regno della saggezza contro le cieche passioni, ma siamo alla pallida morte delle tendenze, ossia allo spegnersi di ogni potenza feconda di proponimenti e di azioni.

I nuovi passi che il movimento politico del proletariato italiano compieva nel 1912-914, durante la guerra, nel 1919, segnavano sempre, tra il gran dispetto della canea riformista e borghese, la tagliente sanzione della incompatibilità di metodi e di atteggiamenti tattici che la situazione aveva insegnato pregiudizievoli alla causa dell'emancipazione proletaria. Una linea rigidamente dialettica collega queste tappe progressive della esperienza politica di classe, alla conclusione in cui la lezione della guerra le coronava, nella affermazione dei capisaldi del metodo rivoluzionario, dell'unico metodo di difesa dell'interesse proletario, che sta scritto sui vessilli della Internazionale Comunista, della sola Internazionale.

Le oscillazioni della situazione del dopoguerra nelle impressioni di imminenze rivoluzionarie che offrivano; ecco un criterio che sarà concordemente impiegato dai contendenti del palcoscenico milanese per spiegare le loro incessanti rettifiche di tiro. Ma queste oscillazioni sono già state suggellate nelle loro reali conseguenze, che la scissione di Livorno ha definitivamente cristallizzate nella storia del movimento proletario d'Italia. Esse spiegano che il primo favore di mille e mille omuncoli al massimalismo, che non solo di miracolismo e di illusionismo idiota aveva sapore, ma anche di avveduto e ruffiano arrivismo, abbia ceduto il posto alla violenta spiegazione contraddittoria di Livorno, in cui ognuno ha presa la sua posizione, alcuni per avviarsi sul tappeto girante della "Situazione" che va a destra o a sinistra, che porta alla declamazione comiziesca più vuotamente accesa alle bordate verso i patti filo fascisti e le combinazioni ministeriali: altri - noi - per riaffermare la disciplina del pensiero e dell'opera in una milizia ed in una fede, per cui le difficoltà tragiche del divenire rivoluzionario non fanno che sottolineare, sia pure di fuoco e di sangue, la verità del programma rivoluzionario del comunismo.

Dopo questo, ed in un momento che per molti è di attesa è inutile ridire la forma di queste verità incise nel granito della storia, come è inutile passare in rassegna le povere, le misere esposizioni di principio delle pseudo tendenze del Partito Socialista, per concludere che di quelle nessuna si appressa ai capisaldi di dottrina e di tattica della Internazionale.

L'Internazionale rivoluzionaria non misura le sue forze nell'urna, gravida di un mondo di piccole miserie, del voto di domani. Essa ha bisogno per la sua vitalità nelle file del proletariato italiano e per la sua vittoria, delle due grandi condizioni: una bandiera e una milizia. E dall'ora in cui uscimmo a Livorno dalla sala del teatro Goldoni e vi si apriva la odiosa farsa dell'opportunismo senza limiti nè freni nella marcia a destra, esse saldamente vi sono, per le sorti immancabili della Rivoluzione!

14 Ottobre 1921

Communist left

Presentiamo qui alcuni documenti storici del movimento internazionalista, tutti in opposizione allo stalinismo e al trotskismo. Evidenziano l’originalità delle nostre posizioni e la loro stretta aderenza al marxismo. L'archivio andrà estendendosi man mano che digitalizzeremo i documenti.

Sono qui elencati:

  • Testi fondamentali della Sinistra Comunista d'Italia (fino al 1926)
  • Documenti della Frazione (dal 1928 al 1939)

In altre sezioni del sito, puoi trovare testi più recenti inerenti la Sinistra Comunista Italiana , alcuni elaborati nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, oltre a numerosi articoli di Onorato Damen e Amadeo Bordiga .

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