Dopo il congresso - Preparazione culturale o preparazione rivoluzionaria

Il problema della cultura ha preoccupato sopra ogni altra cosa il nostro ultimo Congresso. Affacciandosi nelle varie discussioni ha finito col delinearsi in maniera assai complessa, integrando le varie questioni da discutere e allargandosi alle proporzioni di dibattito fondamentale sulla necessità di definire il movimento giovanile socialista, fissarne le linee essenziali, tracciarne un preciso programma d'azione per il futuro.

Non si poteva, senza fare della vana accademia, affrontare una discussione su basi così vaste. In fondo il Congresso non ha deciso che sull'azione da esplicarsi, e ha fatto assai bene. Queste decisioni bastano a rintracciare la definizione _teorica_ del movimento, partendo non tanto dalle svariate opinioni espresse da coloro che ne fanno parte, quanto dall'azione fondamentale concorde che essi hanno svolta e seguiteranno a svolgere sotto l'influenza di necessità collettive esterne e superiori alle intenzioni degli individui.

Quello che conta non è l'opinione delle persone, ma sono le loro deliberazioni pratiche. Prendendo subito nel dibattito la mia parte di convinto determinista preferisco enunciare subito la mia tesi, che è questa: il movimento giovanile socialista è indubbiamente movimento di preparazione - perché il socialismo è essenzialmente preparazione di un nuovo assetto sociale, anzi meglio, preparazione di una parte degli individui alla necessaria trasformazione della società - ma è assurdo raggiungere la preparazione con metodi scolastici, anzi occorre cercare nell'azione le fonti di tale preparazione educativa.

Dunque niente cultura? si protesta da ogni parte. Anzi, quanta più se ne può avere. Ma lasciandola all'iniziativa individuale, che solo un vivo sentimento di battaglia può eccitare nei giovani, non facendone una condizione, quasi un titolo per essere socialisti. Se, egregi compagni culturisti (la parola è orribile, ma varrà ad intenderci), il Congresso avesse approvato le vostre vedute, sarebbe caduto in un nonsenso. La necessità dello studio la proclama un congresso di maestri, non di scolari. Le dichiarazioni _di incompetenza_ lasciamole ai consessi borghesi. Oggi tutti temono di essere incompetenti, e lasciano circolare sotto l'etichetta dei competenti e degli specialisti le più allegre corbellerie, e a gran delizia dell'intellettuale società borghese.

Ma io evidentemente anticipo il mio punto di partenza, la critica del mondo intellettuale borghese. Non posso sviluppare tale argomento in un articolo riassuntivo, e sono costretto ad accennarlo soltanto.

Che cosa è dunque il movimento giovanile socialista? È... il socialismo dei giovani. Mi spiego. Le necessità della lotta di classe inducono in tutti i lavoratori, sfruttati collettivamente, un sentimento collettivo di reazione contro la classe che li sfrutta, e che si esplica in molte forme di difesa della classe. L'esperimento continuo dell'associazione e della solidarietà (negli scioperi, e in tutti i successi dei movimenti operai) induce nella classe sfruttata la coscienza che è possibile raggiungere la completa abolizione della classe sfruttatrice, e allargando enormemente il campo e gli scopi dell'azione di classe fa nascere il socialismo che è quindi il riflesso intellettuale e sentimentale della lotta di classe e la coscienza della sua finalità rivoluzionaria.

Questo è un processo naturale, simultaneo allo sfruttamento, inseparabile da esso. La propaganda socialista (più o meno evangelica!) non fa che secondarlo, chiarirlo, affrettarlo, ma non lo provoca.

Quindi non si diventa socialisti con l'istruzione, ma per necessità reali della classe a cui si appartiene.

E i borghesi socialisti? Li definisco - benevolmente - come eccezioni.

Secondo gli amici culturisti occorrerebbe per essere un buon socialista saper leggere e scrivere, conoscere le scienze positive, fisiche, biologiche e sociologiche; conoscere le teorie del materialismo storico e potere dimostrare su due piedi dinanzi a qualunque avversario le leggi dell'evoluzione del capitalismo verso il collettivismo. Non faccio dell'ironia. Non conosco altra via culturale, per arrivare al socialismo.

Qualche privilegiato tra noi può eventualmente averla percorsa, ma possiamo chiedere tanto a quei giovani che fino dai 14 o 15 anni stentano la vita nel lavoro?

È facile dire che noi sosteniamo l'altro eccesso. Noi non difendiamo l'ignoranza. Anzi diciamo che un movimento socialista che raccolga i giovani mentre la borghesia comincia a sfruttarli, realizzando con la reciproca intesa il sentimento di difesa di classe - vivissimo nell'età giovanile - al di sopra del sentimento individualista, che la borghesia ha interesse a secondare nei proletari, avrà per conseguenza di eccitare nei giovani lavoratori il desiderio di affinare, anche nel senso istruttivo, la loro coscienza di classe.

Ma quando i socialisti raccomandano direttamente la cultura operaia come mezzo per l'emancipazione di classe, commettono - non è opinione mia, ma dei migliori teorici del socialismo - un errore madornale.

Infatti tra le accuse che la critica socialista muove all'ordinamento presente, vi è quella che il monopolio della proprietà impedisce la diffusione dell'istruzione, e rende impossibile condurre a un certo livello comune di cultura e di civiltà tutti gli uomini. Quindi il concedere che l'emancipazione proletaria avverrà quando le masse saranno colte nel senso intellettuale, equivale a rinnegare quella critica, o a riconoscere l'impossibilità della trasformazione sociale. La democrazia dice al popolo: sei sfruttato perché ignorante: studia, educati, liberati dal prete e diverrai libero.

Il socialismo dice al proletariato: sei ignorante e vile perché sei sfruttato, sei sfruttato perché chini la testa al giogo: rivoltati, e sarai libero, e potrai allora diventare civile.

Dire al nostro Congresso ai giovani proletari d'Italia, che sono andati come pecore al macello tripolino: andate a scuola, era poco meno che una viltà. Ma la voce che si è levata dal nostro Congresso è stata un'altra: venite a frotte, giovani figli del lavoro, nelle nostre file che non sanno le dedizioni del politicantismo, venite a testa alta, nonostante che i nostri avversari vi chiamino asini e straccioni, e mostriamo alla gioventù borghese degenerata nell'erotismo patriottico che la società nuova non sarà distillata dai loro cervelli corrosi dalla sifilide, ma edificata possentemente dalle nostre mani rudi e callose! Studiare! I problemi pratici? Risolvere un problema pratico vuol dire molte volte assicurare una condizione di esistenza alla società che combattiamo, amico Casciani!

C'è la democrazia, più o meno sociale, per questi bassi servizi.

Noi dobbiamo riuscire a risolvere dei problemi più semplici... forse meno pratici. Quando c'è lo sciopero, conviene fare il krumiro o no? Quando c'è la guerra conviene ammazzare o no? Quando il proletariato insorge, conviene stare a casa o no?

Applicate il criterio pratico, e vedrete che conclusioni disastrose!

Sono paradossali per necessità di sintesi non per ricerca di effetto. Voglio prevenire un'ultima obiezione, ed è questa: l'accusa di tendenzaiolo. Riconosco che il modo di intendere il socialismo da me esposto è quello della tendenza estrema, rivoluzionaria. Ma disgraziatamente debbo confessare che ci tengo ad essere socialista, giovane socialista, con aggettivo. Sarò tendenzaiolo, ma certe compagnie mi fanno paura.

Ma i giovani ecc. E perché non dovremmo avere tendenze? I vecchi piuttosto, colla loro maggiore esperienza, dovrebbero essere tenuti a darci l'esempio di essere tutti d'accordo. Invece! Ma, a parte le diverse tendenze del nostro pensiero, che sarebbe gesuitico soffocare, io sono sicuro che non allignerà tra noi il settarismo di gruppi e di fazioni. Occorre che noi lavoriamo concordi e senza asprezze interne al raggiungimento degli scopi comuni, perché si mantenga vivo quel sentimento e quell'entusiasmo necessario a tutti, tanto nel campo della cultura che in quello dell'azione.

Da "L'Avanguardia" del 20 ottobre 1912. Firmato: Amadeo Bordiga

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