La bussola classista nella crisi-CoViD

La crisi, che si sta sviluppando dai primi mesi del 2020 apre nuovi e inediti scenari nello scontro tra le classi. Per noi rivoluzionari è imprescindibile chiarificare alcuni punti di base di questa fase tanto originale nelle forme quanto classica nella sostanza.

La crisi non può essere superata fermo restando il capitalismo che l’ha generata

Partiamo dal presupposto che la crisi era già presente prima del CoViD. È dagli anni ‘70 che il capitalismo vive una fase di crisi strutturale alla quale ha risposto di volta in volta con le ristrutturazioni industriali e la delocalizzazione di interi settori produttivi, con la rivoluzione elettronica, informatica e dei sistemi comunicativi – dal telefono a rotella alla rete e agli smartphone attuali -, con la finanziarizzazione dell’economia e il boom dei debiti pubblici e privati, con la precarizzazione dei rapporti di lavoro e l’attacco al salario diretto, indiretto e differito… la terza rivoluzione industriale – realizzatasi come tentativo di risposta alla crisi – ha trasformato le forme della vita umana ancora più profondamente di quanto avessero fatto le due rivoluzioni industriali precedenti, eppure la crisi è rimasta sempre là, inamovibile, semplicemente, di crollo in crollo e di guerra in guerra, rinnovandosi nella forma. D’altra parte l’unica vera soluzione alla crisi che il capitalismo conosce è la guerra generalizzata.

Il virus è il capitalismo

Queste trasformazioni hanno, tra le altre cose, di pari passo con il suo divenire, devastato interi ecosistemi, contribuito all’innalzamento della temperatura globale e abbassato drasticamente il tenore di vita e le condizioni igienico sanitarie di almeno un terzo della popolazione mondiale: queste sono, guarda caso, anche le condizioni indispensabili per la diffusione dei virus. Crisi ed epidemie, come l’intera storia umana ci insegna, sono inscindibili. È probabile che il CoViD si incroci con nuove pestilenze che, altrettanto probabilmente, andranno diffondendosi nel futuro più o meno prossimo, specchio sanitario dell’incapacità materiale del sistema di risolvere la crisi economica, sociale e ambientale di lungo corso.

Nel 2008 la crisi era stata innescata dai sub-prime (tutta colpa degli speculatori irresponsabili! dicevano...) a cui sono seguiti 12 anni di tagli, instabilità e sostanziale assenza di ripresa economica, questa volta, in questo fantascientifico 2020, l’innesco è stato la pandemia globale di Corona virus (la crisi è colpa del CoViD, forse creato dai cinesi! Dicono ora...) che si è diffusa a macchia d’olio, mortificando ancora una volta i sogni (di decennio in decennio sempre più utopici) di una ripresa espansiva dell’economia capitalista mondiale. Il crollo del PIL nel secondo trimestre 2020 è stato a doppia cifra in praticamente tutti i paesi della metropoli capitalista – e non solo – dal -11,7% della Germania al -32,9% degli Usa passando per il -12,4% dell’Italia, con la sola eccezione del magro +3,2% cinese.

La grande borghesia sta gestendo alla meno peggio questa crisi economico-sanitaria, negoziando tonnellate di prestiti che, nel breve-medio termine, bilanceranno parte dei profitti che hanno perso ma, nel lungo termine, dovranno essere ripagati dalla nostra classe attraverso nuovi tagli, nuova precarietà e maggiore sfruttamento.

Il capitalismo non tutela né la vita né la salute, ma solamente il profitto

Facendo un passo indietro, ai primi mesi del 2020, quando il virus iniziava a diffondersi, le risposte delle classi dirigenti sono passate più o meno rapidamente dal negazionismo della prima ora – finalizzato a non inceppare la macchina del profitto – alle differenti forme di prevenzione sociale. Le classi dominanti hanno così cercato di tutelare – non certo la salute pubblica ma – la tenuta complessiva del sistema attraverso politiche più o meno decise di contenimento del virus, di stimolo alla ricerca e l’intervento sanitario. La borghesia si è presto resa conto che la diffusione del virus rappresentava una minaccia seria, la scommessa impossibile è stata quindi quella di gestire la contraddizione tra il tentativo di preservare il normale proseguimento dell’economia di mercato (ossigeno vitale del capitalismo) da un lato, e la tutela della generale tenuta del sistema (messa in discussione dai contagi nei luoghi di lavoro e dalle difficoltà di tenuta del sistema sanitario) dall’altro: i lavoratori devono continuare a produrre e non si può spendere troppo in prevenzione del contagio mentre… si deve evitare che il contagio si diffonda e bisogna investire in prevenzione. Contraddizioni insolubili dal punto di vista del mercato e del profitto, non certo di una società differente, comunista, ossia che produca a misura d’uomo e non più di capitale.

Il negazionismo sovranista porta acqua solamente al mulino della borghesia nazionale

Considerando le cose da questo punto di vista – e non ne vediamo di altri credibili – appaiono decisamente assurde le tesi negazioniste che circolano anche in molti ambienti di compagni. La classe dominante può usare – ed in effetti usa – il virus per aumentare il suo potere di controllo sulla classe, ma è altrettanto vero che la stessa classe dominante non ha certo bisogno di inventarsi i virus per “contenere” il rischio che si diffondano nuove lotte proletarie. Oltretutto il virus ha colpito il capitalismo al cuore (il portafogli) e se fosse stata un'invenzione sarebbe stata un'invenzione davvero masochista. No, il nostro avversario di classe è sì destinato ad essere spazzato via dalla storia, ma non è stupido. Le tesi negazioniste rispecchiano solamente i drammi del bottegaio che piange e si agita proponendo pseudo ricette sovraniste e reazionarie. Il ceto medio delira di “Piani di Rinascita Nazionale” e impossibili riforme volte a… non perdere il proprio micro privilegio, a salvare il capitalismo dal suo essere capitalismo.

In effetti il ceto medio è veramente in crisi, anche se tende a piangere sempre più di quanto in realtà soffra, e il proletariato potrebbe costituire un polo capace di raccogliere attorno a sé anche quel malcontento eppure… sembra in parte accadere il contrario: settori della nostra classe invece di sviluppare la fiducia nel proprio potenziale difensivo e rivoluzionario, cedono alle lusinghe sovraniste e reazionarie, sindacaliste e corporative, riformiste e democraticiste.

Le uniche risposte significative sono venute dalla classe lavoratrice

Le risposte più sane e significative date a questa crisi-CoViD sono venute proprio dal proletariato: nell’ondata mondiale di scioperi partiti a marzo proprio dall’Italia al grido “noi non siamo carne da macello!”, nelle rivolte in larga parte proletarie che continuano a succedersi dall’omicidio di George Floyd, negli USA, negli scioperi generali diffusisi in Bielorussia contro la corruzione dell’apparato governativo, nelle ondate di proteste e scioperi in medio-oriente, dall’Iran al Libano...

La nostra classe dimostra così, a sprazzi, di saper prendere l’iniziativa con episodi di lotta significativi e anche ravvicinati nel tempo (ricordiamo che sono appena passate quelle che sono state ribattezzate le “rivolte globali del 2019”), dimostra di imparare anche dalle esperienze precedenti e geograficamente lontane come condurre al meglio la propria “presenza” in piazza e nelle strade, dimostra di sapersi contagiare nella difesa della proprio comune interesse, come nei citati scioperi di marzo-aprile, ma mentre tutto questo accade, gli elementi politicizzati che aspirerebbero a porsi sul terreno dell’anticapitalismo non si dimostrano minimamente all’altezza: come detto balbettano, tentennano, scimmiottano il sovranismo nazionale, replicano utopici programmi riformisti (far pagare la crisi ai padroni, nazionalizzare, investire nella sanità...).

Lavoriamo per l’alternativa anticapitalista. Se non ora, quando?

È in questa fase, così aspra, che va costruita aggregazione e organizzazione di classe attorno ai semplici principi, principi programmatici, che emergono dai fattori appena passati in rassegna.

È la classe lavoratrice, nella sua multiforme e meticcia complessità, accomunata dal medesimo sfruttamento e quindi dal medesimo interesse anticapitalista, che ha dato le risposte più significative a questa crisi, rappresentando un forza d’urto tale che nessuna altra classe sociale è in grado di replicare.

È la nostra classe a rappresentare l’unica alternativa possibile al capitalismo – capitalismo che non rientra nei nostri interessi salvare da sé stesso, quanto piuttosto distruggere. Da questo punto di vista siamo a favore della bancarotta della Stato, ma il problema rimane lavorare per tempo alla costruzione di un’alternativa politica di classe allo Stato capitalista stesso.

Un nuovo governo del mondo è infatti possibile, il nostro programma prevede che i lavoratori assumano il potere politico, ossia il controllo della società, nelle loro mani, e questo è possibile perché sono i lavoratori stessi, per loro natura, a vivere nella produzione e, quindi, a potere assumere il controllo del sistema a partire da dove esso origina, nella produzione stessa e coinvolgendo così nel processo rivoluzionario tutti gli altri settori della classe lavoratrice.

È nei luoghi di lavoro che emergeranno le prossime lotte contro i tagli, i licenziamenti, la precarietà, per la tutela della salute e della vita. Ed è in queste lotte che i comunisti internazionalisti saranno presenti, in misura delle loro forze, per far circolare gli elementi di questo programma politico anticapitalista, combattendo chi, consapevole o meno, si schiera a difesa del sistema.

Non rincorriamo la piccola borghesia sui suoi terreni opportunisti, riformisti, sovranisti, negazionisti, ma siamo attivamente impegnati nella costruzione di un polo di orientamento classista, internazionalista e rivoluzionario, affinché la classe lavoratrice, passaggio dopo passaggio, acquisisca fiducia nel proprio potenziale rivoluzionario, costruendo così il futuro partito rivoluzionario di classe, né più ne meno quanto sta facendo la TCI oggi nel mondo.

Lunedì, August 31, 2020