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Le lunghe doglie che sono seguite alle elezioni del 4 marzo paiono finalmente aver dato alla luce il maschietto di un governo M5S e Lega.
Le due formazioni, che nulla hanno da invidiare alle capacità manovriere delle altre forze politiche borghesi che hanno gestito il potere negli anni passati, consce dei pericoli che incombevano sulle loro ambizioni in un prolungarsi dello stallo politico-istituzionale, hanno preferito acchiappare il “tutto subito” piuttosto che affidarsi ad un futuro incerto e pieno di incognite. E i segnali in questo senso non erano mancati
Fuori dalla retorica semplificatrice della dizione corrente di “populismo”, quale rappresentazione indistinta di queste forze, che ha marcato il crescere di fenomeni similari in tutta Europa, in realtà rappresentano l'emergere di interessi di frazioni di classi intermedie che si è sommato alla crisi più generale dei rapporti fra classi, maturata in rapporto ai caratteri di crisi del capitalismo, alle sue politiche di gestione che su questo terreno si sono date nella fase precedente .
L'emergere di queste forze, che prende a germogliare, quanto meno in Italia, dalla crisi delle forme proprie all'interclassismo democristiano e al piano di mediazione di interessi che gli corrispondeva, ruotanti sempre intorno a quelli del grande capitale, e il cui declino inizia con la fine della fase espansiva del capitale, si è manifestato in maniera convulsa, con diverse forme aggregative e di variabile peso politico, a seconda delle fasi che ha attraversato la crisi capitalistica.
La crisi del 2008 è stato uno spartiacque fondamentale. Le politiche di sostegno al capitalismo in crisi, accompagnate da altrettante politiche di bilancio restrittive, i vincoli economici imposti dalla collocazione europeista, la selezione forzosa degli interessi in campo a favore del grande capitale hanno lasciato sul terreno morti e feriti e una condizione tutt’altro che rosea per il futuro.
Su questa falsariga le riforme “strutturali” che hanno investito i diversi settori, unitamente agli effetti sul tessuto produttivo della crisi economica, sono stati la base materiale che, mentre ha approfondito la condizione di sfruttamento e sottomissione del proletariato, ha indotto vasti processi di declassamento di segmenti e frazioni di classe appartenente alla piccola e media borghesia. Con caratteri diversi e modalità diverse, se appartenente al ceto “proprietario” produttivo o collocata all’interno dei servizi dello stato.
La messa in discussione della propria condizione, la paura del futuro, la speranza di tornare al passato, hanno costituito in termini sociali la base su cui riconoscersi e su cui sono nate e si sono alimentate spinte regressive, sia nella spinta ad una generica quanto indistinta necessità “di cambiamento”, che nella difesa di un interesse “individuale” messo in discussione, rivolto contro fasce proletarie di lavoratori di nuova generazione, come i migranti e marginali di ogni risma, comunque collocate in maniera subalterna nella scala sociale.
Lega e M5S sono il prodotto contraddittorio di questa spinta sociale a cui, se pur in termini diversi, hanno dato rappresentanza politica. Sono congiuntamente prodotto ed espressione della conservazione di interessi di classi collocate principalmente sul fronte di difesa del proprio status quo, aventi il carattere di forze borghesi fra le forze borghesi e, nello specifico, deputate alla “governabilità” del paese; ciò gli impone di avere a riferimento costante gli interessi più complessivi e di ampio respiro della classe dominante e del grande capitale.
Il lungo travaglio che va dal 4 marzo ad oggi risiede tutto in questa contraddizione, che è propria al terreno delle compatibilità capitalistiche nella crisi, al modo di affrontarle e di funzionalizzare la propria azione nel dare rappresentanza politica alle priorità che la borghesia dominante pone sul terreno, sia sul piano interno che su quello di collocazione internazionale nei processi di costruzione di un polo imperialista europeo, nonché nel proprio ruolo e collocazione in campo internazionale.
Problemi di non poco conto.
Il famoso “Contratto”, via via emendato dalle asserzioni più spinose, più che un programma politico rasenta, nel momento dato, il punto di mediazione secondo gli estensori fra le istanze delle due forze politiche e il quadro degli interessi complessivi a cui sono chiamate a rispondere.
Espunto nei fatti ogni approccio “populista” antiUE, rimane un collante di ricette che asserendo al piano dell’ “Interesse Nazionale” prima di tutto, appaiono tutt’al più come risposte anticicliche fuori tempo massimo, tese a stimolare e dare respiro alla produzione e alla domanda interne e sostenere la piccola e media impresa anche nel ruolo di forza esportatrice. Fino a rinverdire la costituzione di una “Banca nazionale di investimenti” sotto il controllo dello Stato, che rimanda ai tempi dell’IRI.
Un combinato disposto di misure economiche e politiche di gestione e funzionalizzazione adeguata alla fase dei processi di ristrutturazione precedenti e quindi con loro in piena continuità.
Il parametro del “debito pubblico” è il collante che tiene insieme praticabilità di queste ricette e rapporto di trattativa con i vincoli internazionali. Che ciò riesca è tutto da vedere, anche perché, tra le altre cose manca uno degli aspetti fondamentali che, in un passato ormai lontano, permisero la messa in atto di misure “interventiste” da parte dello Stato: ossia un saggio, e una massa, di profitto tali da poterne prelevare una quota per destinarla alla “domanda aggregata”.
Oltre a ciò, il vago riferimento al modello “trumpiano” su tasse e investimenti si colloca in un panorama economico-strutturale totalmente diverso, in cui fra le altre cose le leve finanziarie sono nelle mani salde della BCE, che governa con pugno di ferro l'euro.
Ciò che è sicuro è che la materializzazione di un simile progetto non può che seguire la strada già battuta di tagli e dirottamento di risorse al fine di sostenere anche il richiamato “interesse nazionale”. E come sempre, i vaghi riferimenti al miglioramento di categorie di lavoratori diventeranno sempre più procrastinabili nell'agenda delle cose da fare.
Un combinato disposto di elementi che porta nel suo seno - tipico in particolar modo delle fasi di rottura dei vecchi equilibri e costruzione dei nuovi in cui appaiono più chiari tutti gli elementi di crisi della borghesia - un salto in avanti nella governance del sistema dei tratti corporativi delle relazioni sociali e dei risvolti autoritari se non apertamente reazionari, idonei a calmierare le contraddizioni che si presentano nel corpo sociale.
Per questo, che “Il Contratto” vada in porto o sia rescisso un domani, noi siamo comunque sicuri di chi pagherà la penale: il proletariato e i lavoratori tutti.
EGBattaglia Comunista #05-06
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