Elezione in Catalogna: un'altra impasse capitalista

E' con grande piacere che traduciamo questo commento proveniente dal blog spagnolo Nuevo Curso sulle elezioni tenutesi la settimana scorsa in Catalogna. Avevamo già pubblico i loro commenti precedenti coi quali siamo sostanzialmente d'accordo (vedi: leftcom.org).
Il risultato delle elezioni non è stato risolutivo. Ha procurato ai partiti indipendentisti il 47% dei voti e una maggioranza di cinque seggi rispetto all'insieme dei partiti pro-Spagna. Fra questi ultimi, il partito Ciudadanos (Cittadini) è diventato il primo partito non separatista, con il più alto numero di seggi nel Parlamento catalano. Il Partido Popular del primo ministro spagnolo Mariano Rayoi (del quale si colgono bene le origini franchiste per il suo rifiuto di fare dei compromessi o di gestire la situazione con competenza) è stato completamente spazzato via, avendo ottenuto solo il 4% (e due seggi). Poiché nessun partito sembra disposto a fare un passo indietro, la crisi è destinata a trascinarsi ancora a lungo.
Questo testo si incentra su tre punti fondamentali. In primo luogo, Nuevo Curso assume un posizionamento di classe, affinché il proletariato non sia trascinato in questo conflitto generato dai capitalisti. I lavoratori non hanno niente da guadagnare nello stabilire in quale lingua saranno sfruttati. L'affermazione di Marx – nel Manifesto del Partito Comunista – secondo la quale «i proletari non hanno patria» è vera oggi come centosettanta anni fa. Ugualmente, sfilare dietro la bandiera di questa o quella classe dirigente nazionale implica la nostra sottomissione, accettando a un tempo di lasciarsi ancora una volta sfruttare e di appoggiare le guerre che quella classe sta conducendo ovunque sul pianeta.
Secondariamente, Nuevo Curso sottolinea il fatto che questa crisi politica arriva durante la crisi economica del capitalismo, davanti alla quale i governanti non hanno altra soluzione che di sommare il debito sovrano a quello privato. In questa situazione, i “kakistocrati” [dal greco: il governo dei peggiori, ndt] che governano il mondo traducono la loro impotenza economica in incompetenza politica e si attaccano con le unghie e con i denti a politiche fallimentari che vanno dalla Brexit, passando per un nazionalismo economicamente asfittico, fino alle guerre commerciali.
In questo scenario via via più reazionario, nazionalismo e razzismo sono ovunque sempre più esacerbati (compresa la Catalogna, dove i non-catalani sono chiamati Xarnegos o charnegos – un termine razzista equivalente a “bastardi”). Un tale razzismo trova sempre la sua base nella piccola borghesia che, dappertutto, percepisce gli “stranieri” come nemici.
Questo ci porta alla terza parte del testo che affronta la natura di classe del nazionalismo catalano. Questo non è sostenuto dalla grande borghesia, legata indissolubilmente alla Spagna e al suo posto nell'Unione europea. Dopo la crisi avviata dal “processo d'indipendenza” dei separatisti, 3000 imprese più o meno importanti – tra cui le due banche più grandi della Catalogna – hanno spostato la loro sede fuori dalla regione. La creazione di nuove imprese è caduta ai minimi dal 2011, quando gli effetti della crisi finanziaria si facevano sentire in pieno. Puigdemont e i suoi compatrioti ne sono coscienti, ma continuano a fomentare l'illusione nazionalista. In un video girato a Bruxelles, Puigdemont ha affermato che le grandi imprese potranno abbandonare la regione ma le «piccole e medie imprese sono quelle che non cambiano la loro sede sociale». Di fatto, come lui stesso sa bene, centinaia di piccole imprese abbandonano il paese, come le grandi (elpais.com).
Così dunque, il risultato delle elezioni non rappresenta altro che uno statu quo ante bellum e non ha risolto un bel niente. E' per questo che i compagni spagnoli qualificano gli eventi di Catalogna come un “giorno senza fine”, una storia infinita.

Nessun partito del parlamento catalano ci potrà difendere dallo sfruttamento, la precarizzazione e l'esclusione. Non è una questione di lingua o di patria. E' una questione di classe. Per uscire dal giorno senza fine nel quale si trovano la borghesia spagnola e la piccola borghesia indipendentista catalana, dobbiamo uscire dal quadro della nazione, del “popolo” e della “cittadinanza”.

  1. Le elezioni catalane si sono tenute ieri. La partecipazione è stata insolitamente alta. L'indipendentismo ha dato tutto quello che aveva e ha ottenuto 50.000 voti in più a suo favore. Gli “unionisti” si sono dati da fare per mobilitare i quartieri operai e sono riusciti a trascinare alle urne migliaia di lavoratori abitualmente astensionisti. Il bilancio finale è uno scacco per la borghesia spagnola. Secondo Bruxelles, un Puigdemont felice ha dichiarato che “lo Stato spagnolo è stato battuto”. Ed è vero: ignorare il risultato utilizzando la prigione preventiva per gli eletti indipendentisti non servirà che a scavare ancora di più il discredito dello Stato. Utilizzare di nuovo l'articolo 155 (che sospende l'autonomia della Generalità della Catalogna e permette a Madrid di dirigerla direttamente, ndt) “per tre mesi” come ha suggerito il candidato del Partido Popular (al potere a Madrid, ndt) Albiol, sarebbe peggio. Ma la piccola borghesia indipendentista non ha più la capacità di andare al di là della “indipendenza-bufala” dichiarata il 27 ottobre. Dire che la sua vittoria servirà a “rendere la Repubblica ancora più reale” come ha detto la candidata dell'ERC, M. Rovira (1) è chiaro. Questa dichiarazione come quelle di Albiol e di Puigdemont denotano l'impotenza di ciascuno dei due partiti d'imporsi o di sedurre l'altro. Né la borghesia spagnola,, né la piccola borghesia catalana sanno come uscire dal “giorno senza fine” nel quali si sono messe da sole.
  2. Quello che vediamo in Catalogna non è diverso da ciò che succede da altre parti, dentro e fuori la Spagna. Dopo tre anni di crisi, la borghesia non può soddisfare né contenere la piccola borghesia. Questa, che normalmente si situa o si allea dietro alla classe dominante, è oggi una forza senza bussola, reazionaria e utopistica nel suo insieme, un veleno puro per i lavoratori e una nuova forza centrifuga per la borghesia nazionale dello Stato.
  3. Nella fase attuale del movimento di classe, noi, i lavoratori, non esistiamo come soggetto politico indipendente. Tutto il “processo(2) ha cercato, ancora e ancora, di approfittare di questa assenza per cercare di trascinarci dietro una bandiera o l'altra. Per il momento, senza un reale successo. Questo fallimento delle due parti per trascinare sul terreno patriottico è molto importante. L'unica opzione che l'indipendentismo aveva per procedere nel conflitto era di mostrare la sua capacità di organizzazione e di guadagnare alla sua causa un imperialismo rivale all'asse franco-tedesco (Gran Bretagna? Stati Uniti?) per forzare lo Stato spagnolo ad accettare la sconfitta o a dare inizio ad una guerra. Il suo modello, e questo è stato detto più volte, era quello della Slovenia o della Croazia. Vale a dire che se i lavoratori avessero accettato di impegnarsi dietro l'una o l'altra parte, questo ci avrebbe probabilmente portati al sacrificio sull'altare delle due patrie.
  4. La mobilitazione e la pressione per fare votare i lavoratori a queste elezioni è stato l'unico successo da sottolineare per la borghesia spagnola. Per arrivarci, i suoi rappresentanti politici hanno dovuto rompere con un vecchio tabù che faceva parte del “consensus catalano”; vale a dire del “contratto sociale” tra la borghesia spagnola e la piccola borghesia catalana: hanno denunziato l'oppressione culturale e linguistica (catalana sui non-catalani che vivono in Catalogna, ndt) di cui soffre la grande maggioranza del lavoratori (la maggior parte è di origine del resto della Spana o di immigrati, ndt). Era una sfida a rischio: la concordanza tra classe e lingua è troppo vicina perché (questa sofferenza) non sia reale. Da parte indipendentista, non sono riusciti a trascinarli nello sciopero del 3 ottobre come si sarebbe potuto temere, Per definizione, il voto che è segreto chiede poco impegno attivo e , d'altra parte, non abbiamo visto delle vere grandi manifestazioni di entusiasmo per le strade.

Ed ora?

Non c'è dubbio che numerosi lavoratori abbiamo votato ieri pder Ciutadens (la “filiale” catalana del nuovo partito di destra Ciudadanos, che è anche il più anti-indipendentista, ndt) come mezzo per esprimere il loro disgusto per il disprezzo ostile della piccola borghesia catalana indipendentista nei confronti dei lavoratori di lingua spagnola – che sono la grande maggioranza nelle zone di forte concentrazione industriale - e che si è esacerbato lungo il processo. Ma gli aspetti linguistici e culturali non sono che la punta dell'iceberg. La divisione “nazionale” o linguistica, le “identità” e le “appartenenze”, non sono che il mezzo in più per escluderci o cercare di dividerci generando un sentimento stupido di superiorità in questa piccola borghesia sempre più disperata. Al fondo, questo attacco permanente non è diverso da quello che Ciudatans e tutti gli alti partiti portano avanti nei loro programmi economici e che mettono in opera una volta al governo.

Non è una questione di lingua o di patria, è una questione di classe.

Può darsi che molti lavoratori in Catalogna si rendano conto ora. Anche se questo non sarà loro facile. La borghesia, sotto tutte le sue forme e colori nazionali, vuole che ci sentiamo impotenti e ci bombarderà di disfattismo nei prossimi giorni, settimane e mesi. C'è solo una cosa che potrà segnare una rottura con la situazione attuale. L'apparire, non soltanto in Catalogna ma in tutta la Spagna, di lotte indipendenti che, anche se localizzate o “piccole” potranno prendere forma, mostrando che la classe operaia può lottare sotto la sua bandiera e fare scoppiare il recinto della nazione, del “popolo” e della “cittadinanza”.

Nuevo Curso, 22 dicembre 2017

(1) M. Rovira, la principale dirigente dell'ERC, la Sinistra Repubblicana catalana, in assenza del suo leader O.Junqueras messo in prigione dopo la dichiarazione d'indipendenza del 27 ottobre scorso, ndt.

(2) Processo indipendentista. Il “processo” è il nome comune utilizzato dai catalanisti quando parlano della loro lotta attuale per l'indipendenza, ndt.

Domenica, December 24, 2017