Crisi tra Hamas ed Israele - La barbarie dei due nazionalismi continua

Hamas e Israele sfruttano le reciproche debolezze per rilanciare il proprio ruolo all'interno dei rispettivi quadri nazionali e della sempre più critica area del medio oriente

Gli analisti si stanno dando da fare per spiegare la “solita” crisi tra Hamas e lo Stato d'Israele. Nulla di nuovo ci dicono, Hamas attacca e Israele si difende con gli interessi. Tre giovani morti da una parte, uno, più 100 dall'altra, dopo i raid israeliani. All'azione di provocazione di Hamas, Israele risponde, come al solito, con l'ennesimo eccesso di dimostrazione di forza. Cose tragiche, ma ripetitive, già successe ai tempi dell'Olp di Arafat, poi riprese da altre organizzazioni per la conquista di tutta la Palestina sino ad Hamas, contro e per la distruzione dello stato d'Israele. In realtà le cose non stanno in questi termini, sia per le condizioni politiche degli interpreti che per la cornice politica internazionale. Innanzitutto il contesto. In tutta l'area mediorientale e nel nord Africa esiste una situazione pesante in termini economici e di tensioni sociali, che va dall'incertezza politica di alcuni paesi a vere e proprie guerre civili in altri, sempre con lo zampino delle grandi centrali imperialistiche. In Egitto, la situazione è parzialmente sotto controllo solo “grazie” alla mano pesante del governo di al Sisi, che continua a eliminare i suoi avversari della Fratellanza musulmana. In Siria, è guerra civile con l'interessamento periferico di Russia, Stati Uniti, Iran e Turchia. La Libia, dopo i devastanti interventi francesi e americani sotto il patrocinio della Nato, è un paese allo sbando, alle prese con una guerra civile strisciante per il controllo del petrolio e delle sue vie di commercializzazione. In Iraq, le cose stanno ancora peggio. Lo scontro tra l'attuale governo sciita di al Maliky e il revanscismo dell'ala sunnita della borghesia irachena, sotto la guida di Abu Bakr al Baghdadi per una fantasiosa riedizione del “Califfato di Iraq e Siria”, sta mietendo vittime a decine di migliaia. Sullo sfondo, come sempre, la questione energetica che va dai giacimenti del Kurdistan a quelli della zona di Bassora, passando attraverso la gestione degli oleodotti che attraversano il centro del paese da nord a sud e da est a ovest. Il rischio è che la crisi dell'area possa coinvolgere anche la Giordania, dove sono presenti alcune cellule dell'Isis (Stato islamico in Iraq e nel levante). Non a caso, il re di Giordania Abdallah ha rafforzato il controllo delle frontiere e chiesto aiuto all'alleato Israele. La gravità della situazione è rappresentata anche dal fatto che l'Isis, operante in Iraq, controlla circa il 90% dei confini con le alture del Golan, territorio strategico da sempre (1967) conteso tra Israele e la Siria, a cui è stato sottratto nella guerra dei sei giorni. Questo giustifica l'invio in Iraq di 200 unità speciali americane che si sommano alle 500 già presenti a Baghdad a difesa dell'ambasciata di Washington.

E' in questo scenario che va inserita la crisi politica e di autorevolezza del governo di Hamas nella Striscia di Gaza. La crisi internazionale si è abbattuta sulla gracile economia di Gaza come un uragano. Negli ultimi cinque anni, grazie anche alla chiusura dei passaggi sia verso l'Egitto che verso Israele, voluto dal governo di Tel Aviv per tamponare l'afflusso di armi, ma anche di rifornimenti di tutti i generi, derrate alimentari comprese, la disoccupazione è arrivata a livelli statisticamente improponibili. La stragrande maggioranza della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Il governo di Hamas, dopo il ritiro o il drastico ridimensionamento degli aiuti da parte dei Fratelli musulmani d'Egitto, della Siria, impegnata in ben altre questioni e del nuovo governo iraniano, si è trovato con l'acqua alla gola. Non solo non ha potuto proseguire la politica del “mini welfare”, che tanto aveva giovato alle sue sorti politiche e al radicamento nella popolazione palestinese ai tempi della vittoria elettorale del 2006, ma non è più nemmeno in grado di pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici. I generi di prima necessità scarseggiano, altri beni non si trovano, i già miseri servizi sono arrivati allo zero assoluto; l'unica abbondanza riguarda la miseria e la fame che, al contrario, sono dilaganti.

In condizioni non migliori si trova l'altra ala della borghesia palestinese, quella laica dell'ANP di Abu Mazen (Mahmud Abbas), che non ha trovato di meglio da fare che stabilire una alleanza con Hamas in una sorta di “governo di unità nazionale”, contribuendo ad accelerare il proprio declino e quello di Hamas presso l'opinione pubblica palestinese, stremata dalla crisi e disillusa dalle pratiche politiche di una borghesia corrotta, inconcludente e velleitaria. Non per niente, lo Jihadismo di una miriade di piccoli gruppi armati ha preso il sopravvento, sfuggendo di mano ai vertici militari della stessa Hamas. Non è escluso, quindi, che la recrudescenza degli episodi riguardanti il rapimento e l'uccisione dei tre giovani israeliani possa essere opera di uno di questi gruppi di “Lupi solitari”, per mettere in difficoltà Hamas, tacciato di codardia nei confronti dello storico nemico e di compromissione politica con l'imbelle e “filo israeliano” Abu Mazen. Il che ha avuto come conseguenza quella di costringere il governo di Gaza a tentare di riprendere il comando delle operazioni e quella autorevolezza all'interno del popolo palestinese che sta velocemente perdendo.

Israele non aspettava altro. Netanyahu, in crisi di consensi e attaccato anche all'interno del suo partito, ha immediatamente colto la palla al balzo, tentando di trasformare la debolezza di Hamas in un momento di forza del suo governo. Ha innanzitutto intimato ad Abu Mazen di interrompere l'alleanza con Hamas, di rinunciare al progetto di “un governo di unità nazionale” con una formazione “terrorista”. Poi ha dichiarato d'interrompere i lavori negoziali, che peraltro Israele ha sempre rifiutato nei fatti, per la costituzione di uno stato palestinese fino a che questo stato di cose non cessi definitivamente. Per una simile scusa, se non ci fossero stati l'episodio del rapimento e dell'uccisione dei tre giovani israeliani e quello del lancio dei missili kassam a sfiorare la periferia di Tel Aviv, bisognava inventarseli.

Ecco i nuovi scenari entro i quali va collocato il vecchio scontro tra i due nazionalismi in “terra santa”.

Ciò che purtroppo non cambia è l'asservimento delle masse proletarie palestinesi, come quelle israeliane, alle rispettive borghesie e ai loro programmi di conservazione attraverso politiche belliche di attacco e di difesa, a seconda dei punti di vista che, comunque si valutino, sono sempre all'interno di un quadro economico capitalistico dalla cornice borghese, sia in confezione laica, integralista o sionista. O le masse mediorientali iniziano il percorso di una soluzione autonoma, antiborghese e anticapitalistica, sotto la guida della loro avanguardia politica, il partito rivoluzionario, oppure la barbarie della guerra, delle guerre civili, degli attentati e dei raid punitivi saranno il presente e il futuro del loro destino politico.

FD, 2014-07-11
Sabato, July 12, 2014