I comunisti sono un “elemento esterno” alla classe?

Le contraddizioni sono di classe a classe e non di partito a partito, perché infine la forza di eversione dialettica è la classe e non il Partito. Il Partito sensibilizza e potenzia, rende cosciente e guida all'azione rivoluzionaria. In questo senso il partito è parte della classe nella classe, non fuori della classe e distinto da questa. Il rovesciamento dialettico è operato dalla classe nel suo insieme, non dal partito in funzione della classe; solo che non avverrebbe il passaggio dalla classe in sé alla classe per sé dove questa mancasse del suo centro nervoso di preparazione e di guida che è poi il Partito.

Onorato Damen

Nota introduttiva

Con questo lavoro poniamo l’attenzione su un aspetto, per noi, fondamentale legato al tema del rapporto partito-classe. Facciamo ciò riproponendo ampi passaggi di due “vecchi” scritti prodotti da Onorato Damen e Mauro Stefanini jr. Ci riferiamo a “Spontaneismo e ruolo della personalità” (1), testo di Damen, e “Classe e coscienza: dalla teoria all'intervento politico” (2) di Stefanini, realizzato negli anni 1970.
Entrambi i lavori, non a caso, hanno come punto di partenza il “Che fare?” di Lenin. Questo testo rappresenta infatti, per diversi aspetti, un importante punto di riferimento teorico. In esso Lenin, muovendosi nel solco del materialismo storico e dialettico, sottolinea bene i limiti entro i quali inevitabilmente si esprime la lotta “spontanea” della classe ed indica l’azione del Partito come attività indispensabile affinché la classe possa andare oltre la semplice “coscienza tradunionista” – termine adoperato da Lenin – e maturare una coscienza rivoluzionaria.
Bisogna riconoscere al “Che fare?” di aver dato un notevole contributo teorico rispetto alla questione del rapporto che deve intercorrere tra i comunisti e la classe proletaria. Riconoscere questo non significa però prendere questo scritto come mito e modello. Il testo venne infatti scritto nel lontano 1902, quando ancora neanche in Russia si era organizzato il partito comunista. Inoltre il linguaggio adoperato risente molto – come sottolineerà lo stesso O. Damen – dell’aspra polemica condotta, giustamente, da Lenin contro le correnti “economiciste” e “populiste” (3).
Pur riconoscendo quindi il valore rivoluzionario del testo di Lenin, alcuni aspetti politici andavano approfonditi e chiariti. In questo senso, ci sentiamo di dire, si muovono i due articoli sopra citati. Abbiamo quindi deciso di riproporne alcuni passaggi (4), come si vedrà si tratta di materiale utilissimo per le riflessioni su questo tema.
Iniziamo riportando le osservazioni che propone O. Damen.

Le precisazioni di Onorato Damen

«Per chiarire la distinzione tra partito e classe in quanto momenti dello stesso processo [grassetti nostri, N.d.R.], va ricordato il noto riferimento di Lenin al pensiero di Kautsky, riferimento che trovava allora, era l'epoca del Che fare? (1902), la sua giustificazione nell'aspra polemica condotta contro la tendenza economicista e spontaneista. Kautsky negava che la “coscienza socialista sarebbe il risultato necessario, diretto della lotta di classe proletaria” e affermava che:

Socialismo e lotta di classe nascono uno accanto all'altra e non uno dall'altra; sorgono da premesse diverse. La coscienza socialista contemporanea non può sorgere che sulla base di una profonda conoscenza scientifica. Infatti, la scienza economica contemporanea è, al pari della tecnica moderna, una condizione della produzione socialista e il proletariato, per quanto lo desideri, non può creare né l'una né l'altra; la scienza e la tecnica sorgono entrambe dal processo sociale contemporaneo. Il detentore della scienza non è il proletariato ma sono gli intellettuali borghesi; anche il socialismo contemporaneo è nato nel cervello di alcuni membri di questo ceto ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato, dove le condizioni lo permettono. La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall'esterno e non da qualche cosa che ne sorge spontaneamente (5).

E di rincalzo Lenin:

La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia, con le sue proprie forze solamente, è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradeunionista, vale a dire la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc.
La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche ed economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali. Dal punto di vista della posizione sociale, i fondatori del socialismo scientifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano degli intellettuali borghesi. Anche in Russia la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; essa sorse come risultato naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra gli intellettuali socialisti rivoluzionari (6).

Come si vede i termini della questione sono stati posti in modo estremamente drastico e unilaterale quale si addice al linguaggio polemico ma come sempre una verità polemica è soltanto parziale e non esclude, non nega, anzi pone l'esigenza di una verità più generale e conseguente. Commetteremmo un grave errore se riducessimo i termini della questione alla distinzione rigida tra chi, per non avere ancora maturato la “coscienza del fine” è solo in grado di elaborare una coscienza tradeunionista e coloro, gli intellettuali della borghesia, che per essere detentori della scienza e della tecnica sono portatori della coscienza socialista, si finirebbe per cadere in una valutazione quanto mai scolastica, fondamentalmente dualistica, lontana perciò da una visione dialettica del problema.»

È importante sottolineare subito questa prima precisazione di Damen. Vero è infatti che il “materialismo storico e dialettico” così come la critica marxista dell’economia politica sono strumenti teorici sorti grazie all’attività degli “intellettuali” di estrazione borghese. Questo non significa però che oggi possano essere solo gli “intellettuali” di estrazione borghese ad avvalersi di tale metodo di analisi, a poter maturare quindi una coscienza rivoluzionaria anche in una fase di profondo dominio ideologico borghese. L’avanguardia comunista deve essere formata infatti da proletari, ma anche dai borghesi che abbandonando gli interessi della loro classe di origine, si mettono a disposizione della rivoluzione proletaria. Bisogna dire che lo stesso Partito bolscevico si alimenterà prima del 1917 con militanti di estrazione proletaria e questo vale per tutti i partiti comunisti che si sono formati in quel periodo storico. Resta assolutamente valida la conclusione che alla coscienza rivoluzionaria non si perviene semplicemente sotto la spinta della lotta di classe rivendicativa, dettata dalle condizioni materiali vissute, ma grazie all’acquisizione di uno strumento di analisi rivoluzionario, quello marxista appunto (7).
Ritorniamo al testo di Damen, in particolare al passaggio dove viene posta l’attenzione sulla genesi storica della teoria rivoluzionaria, la quale non è sorta come risultato automatico della lotta di classe ma con essa, certamente, va ad intrecciarsi.

«[...] Socialismo e lotta di classe, anche se sorgenti da premesse diverse, sono tuttavia il risultato dell'intrecciarsi di due momenti necessari di un unico processo, quello delle vicende di classe.

E più chiaramente: dal processo sociale sorgono, è vero, scienza e tecnica, ma non vi sarebbe processo sociale se in esso non operassero forze umane e se queste, a loro volta, non aderissero nella loro azione intimamente al processo stesso e, sotto la spinta di interessi diversi, non esprimessero situazioni di contrasto e di lotta. È in tale ambiente che è nato e si è sviluppato il senso della differenziazione tra le diverse categorie sociali fino a cristallizzarsi in antagonismi di classe. […]

In una parola al nesso delle cose si è intrecciato il nesso degli accadimenti umani. Il socialismo non è nato dalla scoperta di una formula, sia pur essa genialissima, non è il risultato di indagini di laboratorio, non è soltanto scienza ma è anche un nuovo modo di porsi il problema della vita, una nuova visione del mondo sorta dallo sviluppo del moderno capitalismo e maturata via via sotto il pungolo delle sue stesse contraddizioni.

Se il socialismo è la meta verso cui tende la dialettica della stessa organizzazione economica del capitalismo, è anche la meta a cui sono rivolti gli uomini nella loro insopprimibile aspettativa di uguaglianza e di libertà.

[…] Quand'anche considerassimo l'apporto di Marx e di Engels come opera di studiosi provenienti dalla borghesia, avremmo posto un problema di estrema banalità se mancassimo di situare storicamente la loro critica scarnificatrice e demolitrice del sistema capitalistico sottoposto ad esame. E situarla storicamente significa sentire l'opera critica di questi maestri non solo in termini di scienza ma come quella di uomini che partecipano da protagonisti alla vicenda storica, che considerano come propria la causa di quella classe nel cui destino vive in potenza il destino a venire di tutta l'umanità.

Sono gli uomini della polemica più aspra condotta contro il conformismo conservatore che hanno visto nello sviluppo storico del capitalismo la ragione d'essere dello sviluppo storico del proletariato; sono i sistematori della dottrina di classe, i teorici della eversione rivoluzionaria come sbocco naturale dell'insopprimibile lotta tra le due classi fondamentali della storia moderna. Chi ha scritto il Capitale è anche colui che ha scritto il Manifesto dei Comunisti e l'Indirizzo della I Internazionale dei lavoratori. L'uno è inscindibile dall'altro: si tratta in definitiva di transfughi della borghesia che han cessato di pensare e di operare secondo i canoni della cultura borghese ma pensano e operano alla stregua di coloro che sono soggetti al lavoro alienato, in vista della costruzione di una società socialista in cui il lavoro non sia più un peso per l'uomo ma la libera espressione della sua personalità.

Sotto questo profilo, e il problema non sopporta un'ipotesi diversa, Marx, Engels e più tardi Lenin e con loro e dopo di loro un esercito di pensatori, di politici, di intellettuali legati al marxismo, hanno tutti avuto il compito di “introdurre nel proletariato la coscienza della sua situazione e della sua missione” ma gli elementi formativi di tale coscienza hanno la loro matrice storica nella classe lavoratrice, si riflettono volta a volta nel cervello di alcuni uomini, come in un laboratorio di sistemazione scientifica, per ritornare quindi alla classe per aiutarla e far sua questa “coscienza del fine” in modo sempre più chiaro e distinto.»

Passiamo quindi al testo di Stefanini, dal quale saranno tratti i passi che comporranno i successivi paragrafi di questo nostro lavoro.

Le polemiche sul “Che fare?”

«[…] Plechanov in “La classe operaia e gli intellettuali socialdemocratici(8) sembra raddrizzare alcuni “eccessi” di Lenin del “Che fare?”. Fra i passi incriminati [del “Che fare?”, N.d.R.] sarebbe quello secondo cui: “in Russia la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente dalla crescita spontanea del movimento operaio, sorse come risultato naturale e inevitabile del pensiero negli intellettuali socialisti rivoluzionari.” (9)

A tanto, Plechanov risponde: “la crescita spontanea del movimento operaio esercitò su di esso [il movimento rivoluzionario, N.d.R.] un fortissimo influsso proprio quando la vecchia teoria populista cominciava a disgregarsi sotto la pressione delle nuove esigenze della vita, che essa non aveva previste. Nella pubblicistica rivoluzionaria della fine degli anni settanta si possono trovare alcuni esempi assai istruttivi del fatto che l'inattesa comparsa sulla nostra scena storica del proletariato con tutte le esigenze che gli sono proprie metteva in imbarazzo gli autori populisti e cosi avvicinava il momento della grande revisione del programma populista.” (10)

E più avanti: “Marx ed Engels hanno riconosciuto nel proletariato la principale forza rivoluzionaria del nostro tempo, una forza la cui missione storica è quella di sostituire il modo di produzione capitalista con quello socialista. Ma affinché potessero riconoscere nel proletariato questa forza erano necessarie due condizioni: prima di tutto l'antagonismo delle classi e la rapida 'crescita spontanea del movimento operaio', in secondo luogo, da parte loro, cioè da parte di chi era chiamato a porre il socialismo su basi scientifiche, un esame attento di questi fenomeni.”

Nel confronto scontro fra citazioni sembra uscire vittorioso Plechanov: Lenin ha ecceduto. Se il nocciolo del “Che fare?” stesse tutto in quella frase di Lenin citata e presa di mira dal suo rivale, quanti rifiutano “in toto” il leninismo e gli essenziali concetti leninisti riguardo il partito avrebbero ragione: quei concetti si fonderebbero infatti su una premessa metodologica errata. Ma così non è. La chiave di lettura del “Che fare?” non può affatto essere quella di comodo che fornirono Plechanov e – come vedremo – Martynov e via elencando i menscevichi.

Ed era stato lo stesso Plechanov a dirlo a Martynov nel corso del II congresso del POSDR (luglio-agosto 1903) che ebbe a centro di discussione proprio le tesi del “Che fare?”. Riportiamo la sua dichiarazione:

Lenin non ha scritto un trattato di filosofia della storia, ma bensì un articolo polemico contro gli economisti che dicevano: noi dobbiamo aspettare e vedere a che cosa arriverà la classe operaia da sola, senza l'aiuto del 'bacillo rivoluzionario'. A quest'ultimo era proibito dire qualunque parola agli operai proprio perché è 'bacillo rivoluzionario' cioè perché, ha una coscienza teorica. Ma se voi eliminate il bacillo, resta soltanto una massa inconscia, nella quale la coscienza deve essere immessa dall'esterno, se voleste essere giusti verso Lenin e aveste letto attentamente tutto il suo libro, avreste visto che egli dice proprio questo. Così parlando della lotta sindacale [lotta rivendicativa, N.d.R.], egli sviluppa la stessa idea che l'ampia coscienza socialista può essere immessa soltanto da oltre i limiti della lotta immediata per il miglioramento delle condizioni di vendita della forza lavoro (11).

Così Plechanov ci fornisce nel 1903 la migliore risposta ai propri scritti anti-Lenin del 1904.

Ma è interessante ripercorrere le successive contorsioni di Plechanov che meglio ci aiuteranno a comprendere la sostanza del problema. Egli scrive, appunto nel 1904 (12), in falsa polemica con Lenin: “Il socialismo istintivo deve, secondo Kautsky, portare alla rivoluzione sociale” e prosegue, citando il tedesco là ove questi spiega la base della sua opera “Die Soziale Revolution”:

Volevo sapere quali conseguenze scaturiscano necessariamente dal dominio politico del proletariato in forza dei suoi interessi di classe e dei bisogni della produzione, del tutto indipendentemente dalla base teorica in cui si venisse a trovare il proletariato durante la sua vittoria. Ho quindi eliminato ogni ipotesi sull'influsso delle idee socialiste sul proletariato [“ascoltate duri, ascoltate!”, è un inciso di Plechanov rivolto ai leninisti, N.d.A.]. Al principio della mia ricerca mi sono posto la domanda: quale uso dovrà fare del proprio potere il proletariato? Non quello che vorrà in base ad una determinata teoria o a un determinato stato d'animo, ma quello che dovrà intraprendere mosso dai suoi interessi di classe e dalla forza della necessità economica (13).

La citazione completa fatta dallo stesso Plechanov dimostra due cose:

(a) Kautsky ha esaminato con il suo libro (molto stimato dallo stesso Lenin) “La rivoluzione sociale” le necessarie misure economiche e politiche perché la rivoluzione assumesse il carattere comunista che solo la rende “rivoluzione sociale”. In questo senso l'astrazione che Kautsky fa dal partito e dalle condizioni di coscienza della classe, non solo è perfettamente legittima, ma scientificamente necessaria, come è necessaria astrarre dalle particolari condizioni sperimentali (appositamente più volte mutate in laboratorio) per giungere alla definizione scientificamente corretta di una qualsiasi legge (per esempio termodinamica). La equazione di stato dei gas (PV = RnT), ci insegna Fermi, vale indipendentemente dal fatto che: nessun gas reale obbedisce esattamente alla equazione. Si chiama gas perfetto o ideale una sostanza che obbedisce esattamente alla equazione. Le leggi della termodinamica ci dicono quali sono le condizioni ideali del gas che verificherebbero esattamente la equazione. Ma per poter proseguire nella esposizione dei principi di questa disciplina è necessario astrarre dai concreti casi sperimentali per poter enunciare quelle leggi che ci consentiranno di tornare ad essi con il bagaglio di cognizioni necessario allo stesso progredire della tecnica produttiva, (macchine termiche, calcoli relativi al rapporto altezza/tempera tura dell'aria, fisica delle soluzioni, ecc.) […]

Ogni qualvolta si tratta di arzigogolare in politica per sfuggire alle ferree posizioni marxiste, si dimentica il carattere scientifico che le contraddistingue. Plechanov fa altrettanto giungendo a darsi la zappa sui piedi. Infatti:

(b) la citazione di Kautsky non dimostra ciò che Plechanov avrebbe desiderato.

Kautsky cioè insiste sulla necessità: il proletariato, indipendentemente da se vorrà, dovrà intraprendere quel che scaturisce dalla necessità economica. Ma proprio astraendo dalle condizioni reali di coscienza, egli lascia per un attimo aperto il problema del come “il socialismo istintivo, deve portare alla rivoluzione sociale”. È esattamente ciò a cui risponde Lenin nel “Che fare?” che Plechanov accetta al II Congresso del P.O.S.D.R. come già visto.

Nel “Che fare?” si trova la risposta chiara al problema che così possiamo formulare: posto che la coscienza teorica del socialismo è il prodotto della elaborazione esterna alla dinamica quotidiana della classe di quanto concretamente emerge come problema o questione politica, come si realizza la congiunzione fra l'una e l'altra?

14 mesi dopo l'uscita del libro (20-3-1902/4-8-1903) al secondo congresso, seduta nona, Martynov disse: “Il compagno Karskij ha detto che la mia concezione del rapporto della classe operaia e della ideologia socialista si riduce alla tesi che la classe operaia da sola giunge ad elaborare la teoria del socialismo scientifico. Io non ho mai detto niente di simile. Io ho soltanto rilevato che i vari strati del proletariato hanno elaborato autonomamente le forme della lotta economica e politica di classe e hanno trasformato le idee del socialismo borghese in idee comuniste.”

Che, fra l'altro è esattamente ciò che gli aveva rimproverato Karskij. La specifica successiva infatti puzza lontano un miglio di opportunismo, poiché al comunismo arrivano non meglio specificati “vari strati del proletariato” però... anche gli “ideologi” sono serviti. Dice infatti: “La funzione degli ideologi è consistita nell'aver sintetizzato questi elementi della lotta di classe, nell'aver dato un fondamento teorico a questa lotta. Questo lavoro è stato compito, si intende, non dagli operai, ma da Marx e da Engels ed è consistito nella trasformazione delle passate teorie filosofiche e scientifiche nella teoria del socialismo scientifico.”

Dunque, procedendo con il buon metodo delle astrazioni sistematiche:

  1. non ci sono gli ideologi come momento distinto. In questo caso i “vari strati” del proletario trasformano ancora le idee del socialismo borghese in idee comuniste? Dalla seconda parte della citazione si direbbe di no.
  2. cambia la forma ma il problema è lo stesso. Senza “fondamento teorico” alla lotta di classe, la trasformazione delle idee da borghesi a comuniste ad opera di quella stessa lotta è ancora possibile? Sempre Martynov ci dice di no.

Conclusione, Martynov, come poi Plechanov, gira attorno al problema senza venirne a capo, tanto meno a soluzione.

Per Lenin, quando si accingeva a scrivere il “Che fare?”, era chiaro il rapporto dialettico che lega la “vita” della classe con la sua dottrina politica. La sua colpa fu eventualmente di averlo dato per scontato e di essersi accinto esclusivamente a una opera… “interamente dedicata alla critica dell'ala codista della socialdemocrazia di allora, alla indicazione e alla confutazione degli errori particolari di quest'ala” (14)

Prime conclusioni

«Le premesse implicite collimano perfettamente con l'intervento citato di Plechanov al II congresso e con gli stessi insegnamenti del Kautsky della “Rivoluzione sociale” oltre che con la tradizionale impostazione esattamente marxista del problema. Sono le seguenti.

L'esistere obiettivo della classe e la sua lotta quotidiana contro i capitalisti pongono da una parte le premesse oggettive alla elaborazione scientifica della dottrina comunista e del programma per il comunismo, d'altra parte sono il terreno concreto di cultura dell'istinto di classe del proletario stesso che può giungere sino ad una indistinta volontà di sovversione della società. Sulla base della esistenza (la “vita” di Plechanov) del proletario si sviluppa il pensiero comunista in forma di strumento di critica, principi politici e organizzativi per la realizzazione del programma. Marx ha sì elaborato la fondamentale tesi relativa alla dittatura del proletario sulla base della esperienza del proletariato parigino, ma quella tesi non sarebbe stata tale senza un Marx, soggetto della elaborazione dottrinaria. Lo stesso Lenin avviò (e lasciò incompiuta) la tesi relativa alla forma sovietica del potere (il potere dei consigli) sulla scorta della esperienza russa del 1905 e più ancora nella tempesta del febbraio 1917. Ma che sarebbe stato della lotta successiva senza elaborazione da parte di Lenin delle Tesi di Aprile e senza l'immediato operare del partito bolscevico su di esse?

Il “fattore esterno” alla classe, che riprenderemo ampiamente più avanti, è dunque un prodotto del moto spontaneo della classe nel senso che questo fornisce il materiale grezzo di esperienza e di dati che quello elabora in dottrina-programma per renderlo in questa forma al movimento reale del proletariato. La necessità del “fattore esterno” è data dal quadro storico medesimo dominato dallo scontro, dall'urto fra le classi, poiché non esiste realtà sociale che non trovi la sua espressione politica.»

Partito come strumento

Partendo dalle conclusioni di sopra, Stefanini, in polemica con la CCI, sottolinea alcuni aspetti che riguardano le funzioni del partito di classe. Di seguito riportiamo una sintesi di queste osservazioni.
* Il partito è lo strumento politico della lotta di classe. Esso non rappresenta semplicemente un acceleratore, un catalizzatore, del processo di presa di coscienza rivoluzionaria della classe operaia. Se riducessimo la funzione del partito a quella di un semplice acceleratore staremo affermando che la coscienza è già tutta nella classe medesima e resta solo da accelerarne la crescita.
* Se affermassimo che il partito è solo un catalizzatore, sosterremmo che esso non è indispensabile. Secondo questa erronea impostazione arriveremmo infatti ad affermare che senza partito la classe può giungere comunque a trasformare in senso socialista la società; il partito, al limite, ridurrebbe semplicemente i tempi di questo processo.

Gli strumenti della classe

«Il proletariato non manca nei momenti ascensivi della lotta di classe di darsi strumenti adeguati alla conduzione di questa. Effettivamente sono gli stessi operai che “si danno uno strumento” quando si organizzano in comitato di sciopero, coordinamenti di lotta, casse di resistenza, ecc. Il concreto muoversi della classe, il concreto rapportarsi degli operai alle situazioni che vivono, si configura in un darsi materialmente da parte del proletariato organizzazioni speciali, ciascuna delle quali avente scopi ben definiti e limiti precisi. […]

Nella conduzione dello sciopero, è prassi comune, anche se non sempre verificata, che gli operai si diano strumenti adeguati come i comitati di lotta. Essi esauriscono la loro funzione con l'esaurirsi della lotta e con essa scompaiono, o vengono riassorbiti dalle normali organizzazioni sindacali.

Il proletario russo, nel 1905, all'apice della sua lotta contro l'autocrazia zarista e contro i capitalisti che lo legavano a condizioni spaventose di miseria, consegnò alla storia la prima formazione dei Soviet. Così ne parla Trotsky: “_I_l Consiglio dei deputati operai fu costituito per rispondere ad una necessità obiettiva suscitata dalla congiuntura di allora: occorreva avere una organizzazione fornita di autorità indiscutibile, libera da ogni tradizione che riunisse subito le moltitudini disperse e prive di legami; questa organizzazione doveva essere il punto di confluenza di tutte le correnti rivoluzionarie all'interno del proletariato; doveva essere capace di iniziativa e di controllarsi automaticamente – l'essenziale infine era di poterla mettere in piedi in 24 ore.” (15)

La classe dunque si è data, e si darà le proprie organizzazioni di combattimento per l'assalto proletario prima e di esercizio del potere poi (16).

Ma sulla base di quell'organismo nato dalla classe, il partito bolscevico elaborò la propria linea che, prontamente affinata, di settimana in settimana, fra il febbraio e l'aprile del 1917, culminando nelle Tesi di Lenin, consentì la vittoria di Ottobre.

Il 1905 fu il laboratorio storico in cui la classe espresse i dati concreti della propria esperienza e la propria tensione rivoluzionaria. Il partito bolscevico fu l'elaborazione cosciente e il momento attivo del congiungimento fra istinto e coscienza, fra spinta dal basso e programma storico del comunismo.»

L'elemento esterno

«Indubbiamente il partito bolscevico esisteva. Non è il 1905 ad averlo originato. Altrettanto indubbiamente dal 1905 esso ha tratto nuovo elemento teorico, politico e organizzativo. Come coniugare i due fatti? […] Ancora una volta si tratta di riandare al punto essenziale della dottrina comunista […] in base al quale esiste una profonda differenza fra “istinto di classe” e “coscienza di classe”.

L'uno nasce e si sviluppa all'interno delle lotte operaie come patrimonio dei proletari medesimi; è posto in essere dall'antagonismo degli interessi materiali e si nutre delle crescenti contraddizioni economiche, sociali e politiche originate da quello stesso antagonismo; chiede infine, per esserci, che i rapporti fra proletari e capitalisti siano sufficientemente tesi da comportare una certa generalizzazione delle lotte operaie e una certa durezza degli scontri. L'altra, la coscienza, nasce dall'esame scientifico delle contraddizioni di classe, cresce con il crescere della conoscenza delle contraddizioni; vive e si nutre con l'esame e la elaborazione dei dati promananti dalle esperienze storiche della classe. Ora, sebbene possibile, il passaggio dall'istinto di classe alla coscienza di classe non è affatto automatico, né bastano ulteriori radicalizzazioni degli scontri o pluralità di esperienze negative […].

Valga a riprova di ciò il maggiore episodio di lotta di classe in Italia: l'occupazione delle fabbriche nel 1920. Da Mirafiori partivano telegrammi al sindacato e al PSI reclamanti l'avvio di azioni rivoluzionarie, l'istinto della classe era largamente orientato alla rivoluzione e molte altre cose erano pronte (armi e piani di armamento degli operai esistevano, la piccola borghesia era incerta e sull'orlo di schierarsi con il proletariato se la sua iniziativa fosse andata oltre, il disorientamento delle forze armate della borghesia era al giusto grado). Mancò tuttavia e non poteva originarsi dalle fabbriche, la forza che tempestivamente trasformasse la quantità di dati rivoluzionari in capacità politiche organizzative e militari per la vittoria proletaria. Esistevano nel PSI uomini e forze in grado di farsi carico di questo ruolo. Ma non furono allora pronte; non erano cioè ancora “elemento esterno” né alla classe né al... PSI. La frazione “astensionista”, maggiore componente delle forze che confluirono a Livorno nel P.C.d'I., non aveva avuto il tempo di svolgere quel lavoro nella classe che avrebbe comportato il convergere dell'istinto della classe e della coscienza scientifica dei suoi esponenti politici sul terreno delle sue indicazioni rivoluzionarie.

La coscienza è dunque esattamente un “elemento importato nella lotta di classe del proletariato dove le condizioni lo permettono” (Kautsky citato da Lenin) […]»

Mauro Stefanini conclude questo paragrafo, contenuto nel proprio scritto, prendendo in esame un aspetto già precedentemente trattato da Onorato Damen: la genesi storica della teoria rivoluzionaria.

«Sono o non sono le idee dominanti le idee della classe dominante? È vero o non è vero che i “detentori dei mezzi della produzione materiale detengono con ciò e in pari tempo i mezzi della produzione intellettuale” e che il proletariato è invece classe sfruttata e quindi anche ideologicamente dominata? Se è così, allora è anche vero che: “il socialismo contemporaneo è nato nel cervello di questi ceti (gli intellettuali borghesi) ed è stato da essi comunicato ai proletari più elevati per il loro sviluppo intellettuale, i quali in seguito lo introducono nella lotta di classe del proletariato” (ancora Kautsky e Lenin). Questo è un dato, indipendentemente dal fatto che il linguaggio qui usato sia scarsamente dialettico.

Passiamo dunque al secondo termine del rapporto dialettico.»

Il nesso dialettico

«Gli “intellettuali”, i “teorici” della classe non lavorano di fantasia o sulla scorta di principi astratti privi di nesso con la realtà del proletariato. Noi diciamo che: “l'intellettuale rimane l'intellettuale di sempre, legato cioè alla sua matrice socioeconomica se non si inserisce nella classe, se non diventa un elemento formativo portando il suo contributo nell'ambito della classe. L'intellettuale diventa l'operaio intellettuale che deve lavorare nella e per la classe.” (17)

È un altro modo per illustrare il medesimo concetto: la coscienza è il riflesso nel campo delle idee dell'obiettivo antagonismo proletari-borghesi; è quindi l'elemento soggettivo che consente il superamento della contraddizione mediante la distruzione rivoluzionaria del capitalismo. Lo scontro reale di interessi fra proletari e borghesi, la concreta esperienza di classe è la condizione “sine qua non” della coscienza e di ogni sua progressione.

Quando teoria, filosofia, morale ecc. entrano in contraddizione con i rapporti esistenti, ciò può accadere soltanto per il fatto che i rapporti sociali esistenti sono entrate in contraddizione con le forze produttive esistenti.

Marx

Non è dato alla organizzazione rivoluzionaria, al partito, elaborare dottrine al di fuori del movimento reale della classe e delle sue reali esperienze storiche. È quindi solo vivendo all'interno del fenomeno classe che il partito può elaborare le linee della propria azione politica.

Se va dunque rigettata la tesi per la quale l'identità fra socialismo e proletariato consisterebbe nel fatto che la teoria è meccanico prodotto della classe […] va anche rifiutata la tesi per cui la coscienza sarebbe un puro prodotto dello spirito di personaggi eccelsi.

Qui sta il falso problema: la coscienza socialista viene dalla classe o viene da coloro che sanno “riflettere le leggi della storia”? È un falso problema perché posto non in termini dialettici, in modo cioè da rendere davvero conoscibile la realtà sociale e storica. La sua soluzione sta infatti al di fuori dei termini alternativi in cui esso è formulato, e li comprende entrambi. La coscienza socialista è la riflessione scientifica sulle esperienze della classe e sui problemi che da questa emergono; condotta da quanti sono attrezzati a questa riflessione e si identificano politicamente nella classe. È questa identificazione il nesso dialettico fra coscienza teorica del socialismo e materiale esistenza del proletariato e del suo movimento. […]»

I conseguenti problemi politici

«Riprendiamo dunque il filo che lega la classe al suo partito. Se la coscienza si presenta nella sua forma più compiuta in veste di corpo di tesi e programma per il comunismo, come si esprime nel concreto la connessione fra questi e la classe la cui esistenza li ha originati? […]

La classe combatte le sue battaglie rivendicative, si scontra in vari gradi con il capitale, le sue leggi le sue compatibilità, maturando in quelle lotte il proprio generico orientamento anticapitalista, il proprio istinto di classe. Ciò avviene ove e quando altri ostacoli non frenino la crescita delle lotte medesime. In queste semplici condizioni, tuttavia, è relativamente facile al capitale deviare le spinte obbiettive provenienti dalle masse verso soluzioni parziali od obiettivi di falso “rinnovamento”. Per far ciò si serve di alcune delle sue forze, che meglio riescono a svolgere quelle funzioni mistificatrici. Alla loro azione di freno e di guida mediante l'uso di una appropriata demagogia, verso risultati di stampo riformista (peraltro chimerici) è affidato il compito di scaricare la prima ondata alla quale lo stesso Stato fa seguire iniziative direttamente repressive. È ciò che si è sempre verificato in assenza di un partito rivoluzionario adeguatamente preparato al suo compito e radicato nella classe (Italia del 1920-22, Germania del 1919 e dopo il 1923; Spagna del 1936, Cina del 1927, ecc.) È ciò che ancora si verificherà se i rivoluzionari non sapranno provvedere a tempo: le forze “clandestine” del capitale sono già dispiegate all'interno della classe, quando ancora questa riceve colpi durissimi senza sensibili reazioni.

La ripresa delle lotte quindi se è certamente accompagnata dalla caduta di fiducia nei confronti delle forze ormai tradizionali della socialdemocrazia – il che è reso possibile dall'accedere di queste direttamente nell'area del potere, come operatrici materiali degli attacchi antioperai – essa non è necessariamente coincidente con l'orientamento della classe in senso organicamente rivoluzionario, verso cioè la piattaforma dottrinaria e politica per il comunismo. Ma questo speciale orientamento non viene dal Cielo, ma dalla riproposizione nelle lotte della scienza rivoluzionaria da parte del Partito che ne è l'elaboratore e il ripropositore.»

NZ

(1) Contenuto anche nel libro “Gramsci tra marxismo e idealismo”, ed. Prometeo.

(2) Stefanini scrisse tale articolo in chiave polemica con la Corrente Comunista Internazionale durante gli anni delle “Conferenze internazionali”.

(3) Una traccia per la lettura del “Che fare?” è possibile trovarla su Prometeo n. 6, sesta serie.

(4) Le note contenute nel testo di origine sono segnalate come tali; le altre sono redazionali. I grassetti sono redazionali.

(5) Lenin cita nel “Che a fare?” questo passaggio di Kautsky, passaggio condiviso da Lenin.

(6) Lenin “Che fare?” [N.d.A.].

(7) Bisogna anche dire che, in generale, il termine “intellettuale” oggi può essere fuorviante, non si presta quindi molto bene per identificare un militante comunista, aldilà della propria origine sociale.

(8) Apparso in due puntate sul n. 70 e 71 di Iskra nel 1904. Ora su “Che fare? e scritti di Akimov, Aksel'rod, P1echanov. Trotsky e altri” – Einaudi – 1971 – pagg. 360 e segg. [N.d.A.].

(9) Ibidem pagg. 39 [N.d.A.].

(10) Ibidem pagg.363 [N.d.A.].

(11) Ibidem pagg. 376 [N.d.A.].

(12) Articolo su Iskra 70-71 citato [N.d.A.].

(13) La citazione di Plechanov è tratta da un articolo di Kautsky su “Die Neue Zeit” XXII vol. I n. 19 pag. 591. Le sottolineature sono di Kautsky [N.d.A.].

(14) Aggiunta da Lenin ad un articolo di Vorovskij apparso sul n. 11 del Marzo 1905 del Vpered – “Che fare?” Einaudi pag. 389 [N.d.A.].

(15) Trotsky – 1905 – Parigi 1923 – pag. 94 [N.d.A.].

(16) Per completezza bisogna precisare che i consigli saranno in grado di agire in senso rivoluzionario solo grazie all’operare, in essi, dell’avanguardia politica di classe, il partito; così come sottolinea dopo Stefanini riferendosi al ruolo svolto dal partito bolscevico.

(17) Prometeo 28-29 pag. 49 [N.d.A.].

Lunedì, January 20, 2014

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.