Un paio di considerazioni sull'uso dei forconi

Il movimento dei forconi, recentemente ribattezzato del 9 dicembre, lo definiamo inizialmente per quello che non è. Non è un movimento proletario, anche se piccole frange di classe sono qua e là presenti, ma in posizione minoritaria e subordinata. Non è un momento di lotta insurrezionale perché fa riferimento alla nazione, ai valori della patria e alla costituzione. Tanto meno è un movimento rivoluzionario, nel senso di proporre un qualunque sovvertimento dei rapporti economici capitalistici e di quelli sociali borghesi.

Quello dei forconi è semplicemente una protesta forte, anche se un po' enfatizzata da certa stampa, che si è espressa da nord a sud passando per le disastrate terre del centro Italia. È trasversale a molte categorie di lavoratori autonomi, politicamente informe e organizzativamente spontanea con tutti i limiti e i dubbi del caso. In sintesi è una protesta che è figlia della crisi, della tipicità del tessuto economico italiano e di altre cose che andremo ad elencare con un minimo d'ordine.

La sua composizione di classe è composita, c'è dentro di tutto, dai trasportatori (padroncini e dipendenti) agli auto- ferrotranvieri, ai contadini del nord est e della Sicilia, agli artigiani, al popolo delle partite Iva, con l'aggiunta di studenti nella grandi città. Pochi e di contorno i giovani cassa integrati, precari e disoccupati. La componente maggioritaria è rappresentata da una piccola borghesia in avanzato stato di proletarizzazione, che lotta per sopravvivere, che oscilla tra le due classi, con l'ambizione di riprendere il suo ruolo economico e sociale, ma con la paura di precipitare nell'inferno del lavoro subordinato. In più ci sono piccole frange di sotto proletariato giovanile e di studenti. La crisi ha distrutto il tessuto sociale, ha fatto chiudere centinaia di migliaia di fabbriche, la disoccupazione è arrivata al 12,5%, al 41% quella giovanile. Le banche continuano a investire nella speculazione senza dare ossigeno alla macchina dello sfruttamento capitalistico. Nove milioni di proletari vivono sotto la soglia della povertà, il 50% dei pensionati non arriva ai mille euro mensili, ed è quindi normale, anche se con grande ritardo e poca intensità, che qualcosa si muova. Si potrebbe recriminare che le masse proletarie stiano, per il momento, segnando il passo, che il movimento in realtà è meno consistente di quanto appaia e che la sua matrice sia palesemente piccolo borghese. Vero, parzialmente vero, discutibile a seconda della sponda di riferimento, ma due cose sono da sottolineare.

La prima è che, sulla spinta del perdurare della crisi qualche movimento tellurico è stato prodotto. Questo al momento passa il convento, i movimenti puri di classe non sono mai esistiti, inutile invocarli, molto meglio analizzare quanto avviene sul campo per trarne qualche indicazione. I movimenti tellurici sono la conseguenza, oltre che della devastante situazione economica, di una crisi della rappresentanza politica, sia di destra che di sinistra. Nelle piazze sono scesi i disillusi della politica della Lega, del Pdl e del Pd con il conforto delle organizzazioni del neo fascismo come Forza Nuova e Casa Pound. Si dichiarano a-partitici, non ideologici, anche se fanno l'occhiolino a quelle forze che si presentano più agguerrite sul terreno del radical riformismo borghese. Ne fanno testo alcuni slogan distribuiti per mezzo di volantini nella giornata di mercoledì 11/12 in tutte le zone d'Italia dove il Movimento 9 dicembre è stato in grado di mettere in campo la sua organizzazione:

Questa Italia si ribella e scende nelle strade e nelle piazze contro il Far West della globalizzazione che ha sterminato il lavoro degli italiani. Contro questo modello d'Europa, per riprenderci la sovranità popolare e monetaria, per riappropriarci della democrazia, per il rispetto della Costituzione, contro un governo di nominati, per difendere la nostra dignità.

Si chiude con un ecumenico “siamo tutti cittadini italiani”. Il che, se da un lato rappresenta meglio di ogni analisi il carattere nazionalista e conservatore del “movimento”, dall'alto mette in evidenza il pericolo che esso possa generare, oltre alla già presente disaffezione nei confronti della politica, la messa in crisi della pace sociale, non per volontà sua ma per “naturale” esondazione delle ragioni della protesta, e magari con una componente di classe in più.

La seconda è che, indipendentemente dalla composizione di classe del movimento, dal suo attuale livello di proposta politica, se non c'è una pur piccola bussola di orientamento politico proletario, non solo le componenti sociali della protesta non compiranno mai un passo in avanti, nemmeno sul terreno dal quale sono nati e destinati a rimanere, quello dell'idealismo riformista e rivendicativo, pur “contaminato” dal germe della lotta dura, ma correranno il rischio di essere fagocitati dal più becero populismo di destra o di sedicente sinistra, o di dichiarato promiscuo qualunquismo. Non a caso è visibile l'interesse politico dei grillini accomunati dallo slogan “tutti a casa” e dalla assoluta mancanza di un programma politico che non sia quello della conservazione democratica o della gestione “forte” del potere senza, ovviamente, un accenno alle cause della crisi, all'anticapitalismo e a una prospettiva rivoluzionaria che ponga il problema di una alternativa sociale nel modo di produrre e di consumare.

Oggi in piazza c'è un movimento spurio con un bagaglio ideologico piccolo borghese, domani si potrebbe presentare una ripresa della lotta di classe con forte presenza proletaria ma altrettanto debole da un punto di vista della strategia politica. Proprio per questo è più che mai all'ordine del giorno il rafforzamento del partito di classe, delle messa in campo di una strategia rivoluzionaria che, partendo dalla situazione reale, e non da quella che si preferirebbe avere, sappia dare un obiettivo, una strategia politica e una tattica conseguente. Altrimenti qualsiasi movimento, anche il più radicale, è destinato al fallimento, o perché risucchiato all'interno degli stessi meccanismi borghesi che lo hanno generato, o perché velleitario sul terreno degli impossibili obiettivi riformistici che si è confusamente dato.

Solo la ripresa della lotta di classe, solo il rafforzamento del partito rivoluzionario possono tentare di dare una soluzione all'attuale crisi del capitalismo, sia nella versione domestica che in quella internazionale. In caso contrario sarà sempre il vessillo tricolore a sventolare nelle manifestazioni, come in questi giorni, e mai un drappo rosso che aggreghi la sana rabbia proletaria.

FD
Venerdì, December 13, 2013