La “decrescita felice”?

Caratteristiche del Movimento per la decrescita

Con l'acuirsi della crisi prendono piede nuove teorie che, confondendo gli effetti con le cause, propongono come rimedio le solite illusioni riformiste. Tra queste nuove (?) interpretazioni troviamo la teoria della decrescita, spesso combinata con l'aggettivo “felice”.

Il Movimento per la Decrescita Felice (MDF) è cresciuto agli inizio degli anni 2000 facendo leva sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso. Successivamente, si è consolidato dando vita ad un'associazione fondata da Maurizio Pallante, esperto di risparmio energetico. Il movimento è chiaramente ispirato alla decrescita teorizzata da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della bioeconomia, ed è in linea con il pensiero di Serge Latouche. Tale movimento parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere dell’umanità non sia necessariamente positiva, ovvero che esistano situazioni frequenti in cui ad un aumento della ricchezza prodotta – in termini di PIL – si riscontra una diminuzione della qualità della vita.

L'obiettivo del MDF è molto chiaro: dare un indirizzo “autarchico” alla società, dove l'autosufficienza e l'autoproduzione giochino un forte ruolo. Il manifesto del movimento sostiene che un normale prodotto commerciale coinvolge un giro sproporzionato di risorse che andrebbero ad incidere non solo sul prezzo al consumo del prodotto finale ma ancora di più sul funzionamento generale dell’intera società. Si fa il paragone tra un vasetto di yogurt autoprodotto, al prezzo del solo latte, ed uno di produzione industriale. Si conteggia il costo di produzione, trasporto e smaltimento finale di contenuto, contenitore ed imballaggi, costi ecologici e sociali indotti, dal consumo di carburante, smaltimento e riciclaggio dei rifiuti agli aspetti sanitari ed ambientali derivati, considerando tutte le ricadute economiche collaterali.

Il MDF propone inoltre una visione di “transizione energica”. Nell'epoca condizionata da una predominante fonte energetica come quella petrolifera, i sostenitori di una “decrescita felice” sostengono che stiamo vivendo una decrescita economica causata anche dal raggiungimento del picco di Hubbert, dopo il quale aumenterebbero fortemente i costi di estrazione petroliferi.

Le attività del movimento si esplicano su tre filoni: “stile di vita”, politica e nuove tecnologie. Lo stile di vita prevede una trasformazione verso un consumo consapevole, autoproduzioni, “università del saper fare”. L’attività politica prevede la costituzione di circoli territoriali per avviare il dibattito sul cambiamento culturale nella società, corsi e autoproduzioni (pane, yogurt, orti sinergici con applicazione di agricoltura naturale, ecc...). Per quanto riguarda le nuove tecnologie, per il MDF esse dovranno ridurre l'impronta ecologica e migliorare la qualità della vita indipendentemente se il PIL aumenti o diminuisca. Secondo il movimento bisogna abbinare la riduzione della domanda con l'uso tecnologico di fonti alternative, la realizzazione di “smart grids”, reti di informazione che affiancano la rete di distribuzione elettrica per una gestione di questa più “intelligente”, eliminando sprechi energetici, sovraccarichi e cadute di tensione elettrica.

I sostenitori del MDF, tra cui anche Grillo, in sostanza, ritengono che vi siano casi piuttosto frequenti in cui attraverso processi di autoconsumo, di risparmio energetico e di relazioni di scambio che non transitino necessariamente per il mercato, si verifichi un incremento della qualità della vita materiale associata ad una diminuzione del PIL. Viene auspicato quindi l'aumento del benessere riducendo il PIL tramite autosufficienza e produzione in proprio.

Una “rivoluzione” senza la rivoluzione

Fin qui il MDF. Per quanto apparentemente tutto possa sembrare condivisibile, a uno sguardo più attento saltano subito all'occhio le contraddizioni di fondo. Questo movimento, di fatto reazionario, ha il sogno, anzi l'utopia, di potersi scavare una nicchia al di fuori del capitalismo, di poter produrre e consumare in maniera autonoma o al massimo in cooperative di stampo ottocentesco, dunque tornando agli albori del capitalismo, restando al di fuori delle logiche di mercato, cancellando così un secolo e oltre di storia economica. Per il MDF la soluzione a tutto sarebbe tornare alle cooperative agricole, al poco denaro, alla produzione autonoma, come se il capitalismo odierno non fosse sorto proprio da lì…

Ma questo sarebbe il minimo. Il MDF porta avanti le sue tesi senza mai mettere in discussione le classi sociali, la proprietà-gestione privata dei mezzi di produzione e il meccanismo di produzione capitalistico e senza mai inquadrare correttamente la globalizzazione, l'imperialismo e tutti i tratti fondamentali di questo sistema economico. Come vediamo, infatti, la sua critica si ferma alla sfera della distribuzione, giudica tutto fissando l’attenzione sulla qualità della merce, la loro provenienza e l'impatto sull'ambiente. Punta così il dito sul consumismo, sull'eccesso di consumo di merci “inutili” e superflue, non si azzarda neanche a mettere in discussione la sfera della produzione, non punta mai l’attenzione verso il rapporto conflittuale tra capitale e lavoro. Semmai, come abbiamo visto, per il MDF tale conflitto sarebbe risolto (si fa per dire…) con un ritorno agli albori del capitalismo, consumando poco e bene, non inquinando, eliminando le merci inutili, specialmente quelle prodotte dalle mefistofeliche multinazionali tipo McDonalds, Apple e Nike.

Questo movimento critica, timidamente e contraddittoriamente, il sistema di accumulazione del capitale solo per alcuni suoi effetti e propone un’alternativa futura basata sulla decrescita economica e sulla crescita umana, ma non dice in che modo combattere il sistema capitalistico nella sostanza.

L'errore teorico di fondo è proprio nel concetto di “accumulazione” e di “sovrapproduzione” indicato dal MDF. Il capitalismo, teso verso l’accumulazione senza limiti, produrrebbe troppe merci che di per sé non riescono ad essere assorbite dal mercato. Secondo i teorici del MDF questa contraddizione del capitalismo si risolverebbe con la spinta alla crescita dei consumi. La crescita in consumi però determinerebbe l’esaurimento delle risorse naturali, sarebbe tale esaurimento quindi la contraddizione fondamentale del mondo attuale. Peccato che questa interpretazione cozzi con la realtà, visto che negli ultimi anni si sono prodotte crisi sempre più profonde – fino a quella del 2008, che per intensità è stata paragonata a quella del 1929 – nonostante meccanismi di sostegno alla domanda (all’indebitamento) che nei decenni precedenti hanno prodotto un enorme debito privato delle famiglie in tutti i paesi capitalisticamente più avanzati.

Il vero punto debole del meccanismo dell’accumulazione, infatti, non è la scarsità della domanda, ma il tendenziale declino della redditività dei capitali investiti, che si manifesta nella legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto. La produzione capitalistica in teoria può anche tentare di estendersi quantitativamente quanto si vuole, nel tentativo di supplire a tale caduta, ma ciò non impedisce che, arrivati a un certo punto del ciclo di accumulazione, ogni capitale aggiuntivo investito abbia un rendimento decrescente o insoddisfacente rispetto al capitale impegnato.

La crisi non deriva, dunque, da una sovrapproduzione (o sottoconsumo) di merci, tale sovrapproduzione è una conseguenza. Come dice Marx:

"Il vero limite della produzione capitalistica è proprio il capitale, cioè è che il capitale e la sua auto valorizzazione si presentano come punto di partenza e punto di arrivo (…) che la produzione è produzione per il capitale, e non invece i mezzi di produzione sono semplice mezzi per l’allargamento del processo vitale per la società dei produttori (… ) Lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali entra costantemente in conflitto con lo scopo limitato, la valorizzazione del capitale esistente. Se dunque, il modo di produzione capitalistico è un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale (…) è allo stesso tempo la costante contraddizione tra questo suo scopo dato dalla storia e i rapporti di produzione sociali ad esso corrispondenti." (K. Marx, Il Capitale, III cap. p. 1083: ed. UTET, ottobre 2009).

Il MDF propone insomma la decrescita in un sistema che fa della crescita (in senso capitalistico…) non solo il suo modello di riferimento, ma che ne è condizione indispensabile di sopravvivenza. Non ci vuole molto a capire che sostenere questo significa sostenere una grossolana sciocchezza. Se poi queste ultime, le sciocchezze, producono reddito per chi le propugna, allora si possono intuire anche altre cose, come fa Grillo coi suoi gadgets, libri e dvd che puntualmente lui reputa utilissimi.

Nulla vieta, del resto, ai fautori del MDF di vivere asceticamente e in favore della loro decrescita personale (quindi non secondo i loro redditi) e niente ci impedisce individualmente di rifiutare, per quanto possibile, alcuni modelli di comportamento e di consumo, evitando di comprare certe merci piuttosto che altre, aderire ai GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), ecc ecc. Per quanto ci è limitatamente praticabile, possiamo anche decidere di comportarci individualmente per inquinare il meno che possiamo: molti già lo fanno, anzi, certi comportamenti, per i comunisti, sono persino ovvi. Il problema sorge quando tutto questo si trasforma in illusione riformista, quando si pretende di far passare questi comportamenti individuali come una rivoluzione, senza comprendere quanto limitata sia la nostra possibilità di “scelta”. Bisogna infatti tener conto, parlando in generale, che i comportamenti sociali dipendono ben poco dalla “coscienza” e dalla volontà dei singoli individui. Chiediamoci infatti una cosa: chi decide l’utilità di una merce e soprattutto: cos’è una merce? Una merce non ha solo un valore d’uso utile o inutile, ma nel capitalismo diventa un “bene” solo in quanto possiede un valore di scambio. Nel capitalismo solo lo scambio può “provare” che una merce è utile e dietro lo scambio c’è la valorizzazione del capitale. Perciò chi decide dell’utilità di una merce, di un “bene” come lo chiamano molti erroneamente, è il mercato e la necessità di profitto, non la “_coscienza uman_a”. È il capitalismo e non possiamo farci niente, se non adoperarci per smantellare questo modo di produzione.

Secondo i guru del MDF dovremmo insomma tornare all'agricoltura nel proprio giardino di casa, imparando a vivere con poco, elogiando la frugalità. “Che diamine – ci sentiamo ripetere in continuazione – consumiamo troppo!”. E allora forza: sciopero dei consumi, inquiniamo poco, non compriamo quasi nulla che non sia DOC, o prodotto in proprio, oppure che non sia il minimo per farci campare. Come se la “domanda” fosse colpa nostra e l'offerta solo una conseguenza. Come se la distribuzione non fosse indotta dalle leggi del modo di produzione stesso. Il MDF invita ogni persona a rivendicare una aumento di benessere e non – ci mancherebbe – un aumento di salario o stipendio, la soluzione per questi signori infatti è smettere di comprare, o comunque tornare a uno stadio primitivo del capitalismo.

“Decrescita” e socialismo

Dobbiamo dunque opporci fieramente alla “decrescita” in ambito socialdemocratico (genericamente inteso) perché anche se tutti (noi 99%, visto che ora va di moda) abbandonassimo il “consumismo”, soluzione proposta dal MDF, non avremmo risolto il problema della riappropriazione della humanitas, che rimarrebbe comunque calpestata dal sistema economico capitalista, dalla logica del profitto e dal meccanismo di produzione. Ecco perché crediamo fortemente che la “decrescita” – se rimaniamo a questo linguaggio – debba essere necessariamente condotta in un’ottica marxista. Nel socialismo - ed è questa la vera trasformazione rivoluzionaria - più che “decrescita” ci sarà una diversa crescita. Punto essenziale infatti dell’organizzazione socialista dell’economia è l’abolizione del mercato delle merci, ovvero delle merci stesse e dell’accumulazione di capitale. La produzione e la conseguente distribuzione saranno governata dalle necessità delle persone, non più divise in classi antagoniste, i prodotti saranno “giudicati” quindi per il loro valore d'uso e non per il valore di scambio così come accade oggi. Questo porterà da un lato la scomparsa per una quantità infinita di merci inutili e allo stesso tempo un aumento di produzione per mettere a disposizione quei prodotti utili per il soddisfacimento dei bisogni di tutta la società.

Marx, si sa, è sempre criticato da tutti, specialmente da quelli che non lo hanno mai letto. Di questa critica partecipano anche i fautori del MDF, gli ecologisti e gli umanisti in generale (tra i primi sostenitori di questo movimento), per i quali il marxismo pare infatti essere eccessivamente operaista e/o settario. Ma questo non è colpa di Marx, bensì delle storture che alcuni gruppi e tendenze hanno generato interpretandolo male (in buona o cattiva fede). Gruppi cioè che si dicono rivoluzionari ma sono tutto l'opposto, da una parte orientati verso un riformismo radicale perenne, che, tra le altre cose, non tiene conto nemmeno delle fasi di riflusso della lotta, e dall'altra bloccati in un arrogante e impolverato immobilismo. Senza addentrarci nella critica di queste posizioni, dobbiamo dire anzitutto che non è vero che Marx non fosse già cosciente dei problemi ambientali, come possiamo leggere, per esempio, ne Il Capitale (libro III, cap. 5°, par. IV: Utilizzazione dei residui della produzione).

Leggere Marx ci aiuta inoltre a capire, come abbiamo visto, che non dobbiamo rifiutare il concetto di “decrescita” in toto, non dobbiamo insomma buttare il bambino con l'acqua sporca, ma dobbiamo vederlo nell’ottica della trasformazione socialista che elimina lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoro salariato, il “consumismo” e il “produttivismo”, per una società senza classi e senza merci, realmente giusta e, di conseguenza, anche più rispettosa dell'ambiente. Una “decrescita” che non tenga conto di questo è destinata a fallire clamorosamente o a ridursi a un mero meccanismo di difesa, per altro debole.

Concludendo, la teoria della “decrescita”, intesa dal MDF, non è affatto una rivoluzione e non dice neanche nulla sulle pratiche di lotta, ovvero non dà una linea di condotta sociale classista. La strategia di difesa dagli attacchi spietati del capitalismo, proposta del MDF, è fallimentare alla lunga, non sarebbe per molti neanche praticabile (proprio perché non tutti abbiamo a disposizioni spazio e terra da coltivare…) e allo stesso tempo produce di fatto passività, passività verso la contrapposizione di classe da parte del proletariato.

Intanto, la decrescita forzata, chiamata austerity, imposta dai governi borghesi di tutto il mondo, ai proletari, ha come effetto – essa sì – un cambiamento dei consumi: più pasta, meno carne e frutta e ortaggi; meno pesce e più caffellatte. Più raro il dentista e molta attenzione al riscaldamento. Insomma, tutta gente che non cambia auto o arredamento una volta l’anno e che aderisce, suo malgrado, alla decrescita imposta dal capitale.

MR
Martedì, November 20, 2012

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.