La farsa della rielezione di Napolitano

... e i teorici del “suicidio istituzionale” che urlano al golpe

«Il suicidio si è compiuto!», urlano gli indignati e i moralisti di ogni latitudine politica davanti all’ennesimo teatrino istituzionale (l’ultimo era stato il richiamo alle urne di circa un mese e mezzo fa…) consumatosi con la rielezione di Napolitano a presidente della italica repubblica.

Quelli, per intenderci, che hanno seguito e seguono le terremotate vicende istituzionali di questi mesi tra il morboso interesse per il “chi vincerà” e l’assoluta incomprensione delle dinamiche reali che esse nascondono.

La massima possibile “intuizione” di tali elementi è presagire e gridare al complotto, all’inciucio che “da vent’anni” (solo venti?! e perché prima cosa c’era e c’è sempre stato?!) si consumerebbe alle spalle del “sovrano cittadino”. E giù tutti a difendere, ciascuno con l’entusiasmo che gli è proprio, le “sacre istituzioni” dall’ennesimo infangamento perpetrato e subito: «Ci avete privato anche della democrazia!», urlano colpiti da tanta indignazione. Ma quale democrazia?!

Grillo e i politici del Movimento cinque stelle hanno proposto addirittura una “marcia su Roma” – ma che sia pacifica, morigerata e austera, raccomanda! – per manifestare democratico ma fermo dissenso.

Quello stesso M5S che si è incaricato di raccogliere e tenere a bada dissenso e disperazione sociale perché non strabordino dai limiti della legalità tanto cari al dominio sociale ed economico, il dominio borghese del capitale e del profitto come unica finalità di produzione e distribuzione della ricchezza sociale, contro cui l'uno e l'altra iniziano magari ad indirizzarsi senza comprenderne, però, né l’origine né soprattutto la vera sede. Tale dominio infatti non proviene semplicemente dalla servili aule istituzionali della “casta” (alter ego delle antiche corti d’altri tempi) ma dai consigli d’amministrazione di imprese, multinazionali, banche, società finanziarie e robaccia varia, dove ciascun borghese opera nell'anarchia della concorrenza internazionale più spietata per il profitto, per perseguire il proprio interesse scontrandosi con l'altrui.

Quello stesso M5S propositore delle ricette (?!) anti-crisi che ben conosciamo, assolutamente non risolutive di alcunché, mentre l’avanzare crescente di miseria, precarietà, disperazione – che crisi capitalistica producono – ci danno l’ennesima dimostrazione dell’impossibile e da sempre osannato “perfetto equilibrio” che il capitalismo assicurerebbe, in virtù del libero mercato per qualcuno, in virtù del saggio intervento statale per qualcun altro. I comunisti, invece, ben sanno – come la secolare storia del capitalismo ha dimostrato – che con o senza il libero mercato, con o senza l’intervento statale, il capitalismo persegue esattamente la stessa finalità che lo contraddistingue.

Quello stesso M5S, infine, che continua a spargere il secolare fumo ideologico secondo il quale l’inferno capitalistico sia riformabile in virtù di “sommatorie di io” più o meno pensanti che entrano nelle sacre stanze del Palazzo – da sempre specchietto per le allodole per i soliti ingenui – nelle quali si assumerebbero autonomamente e liberamente le scelte politiche. Ergo: basta sloggiare da essi la famelica “casta” ed il gioco è fatto!

Lungi dal comprendere come ogni casta politica, da sempre, non abbia altro ruolo che servire gli interessi di chi ha il potere reale, quello economico e sociale. E per tale ruolo è, più o meno ampiamente, remunerata in denaro e privilegi. C’è chi si “accontenta” di poco – è vero – come nei morigerati Paesi in cui la cd. casta limita i propri emolumenti e si comporta più o meno “onestamente”, chi invece pretende troppo (traffici di corruzione inclusi): ma, al di là di questo, la sostanza non muta, resta solo una questione di sopportabilità sociale, quella che nel nostro Paese ha presentato sinora indici piuttosto elevati (e dunque: perché non approfittarne?!). Oggi quella sopportabilità – davanti alle lacrime e sangue dell’austerità – è scesa e dunque è necessario concedere qualche “buon esempio”. Da qui a risolvere la crisi scorrono oceani di menzogne, urlate o meno che siano su plebiscitarie e indignate piazze…

Oggi tutti costoro inneggiano al suicidio istituzionale. Ma quale suicidio?!

Hanno apparecchiato per se stessi la miglior tavola e lo chiamiamo sucidio?! La tavola che consentirà a lor servi politici del Capitale di sferrare insieme, col prossimo governo di “unità ed emergenza nazionale”, la botta finale, senza che (in forza del sacro e superiore interesse nazionale “bene comune” che tutti dovrebbe accomunare), ci sia dato distinguere chi di loro abbia sferrato il colpo decisivo. Che abilità! Altro che suicidio!

Ma quando capiremo che la politica e ogni suo apparato istituzionale (democratico o meno che sia) è al servizio degli interessi esclusivi di chi ha il potere economico ed è perciò classe dominante nella società?!

Lor signori, lor politici, sanno bene – almeno quanto noi comunisti - che chiunque di loro dovesse o si candidasse a condurre la baracca politica al servizio degli interessi del capitalismo in crisi non potrà che fare ciò che chi lo ha preceduto ha fatto: massacrare le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, dei senza riserve, dei senza altra merce a disposizione se non la loro forza-lavoro, da vendere sul mercato al miglior offerente-pagatore.

Peccato che in piena crisi del sistema, gli offerenti-pagatori non sono affatto in condizioni di acquistarla (se non precariamente, saltuariamente e al prezzo più basso) nè di offrire alcunché, ma solo di arroccarsi (i più forti e più grandi) nella difesa dei loro interessi contro i disperati che, magari, iniziano ad alzare la testa (e le manganellate – per ora solo quelle... – sulle teste dei lavoratori stanno tutte lì a dimostrarlo!) o di perire (i più piccoli e deboli: piccole imprese, artigiani, piccoli commercianti) schiacciati dallo strapotere dei primi.

È il capitalismo bellezza: prendere o lasc... ehm abbattere!

PF
Lunedì, April 22, 2013