Penetrazione cinese in Africa e conflitti interimperialistici

Nel 2010 la Cina è divenuta il primo partner commerciale del continente africano, sopravanzando sia l’Europa che gli Stati Uniti. Il commercio bilaterale, pari al 10,4% del totale africano, si è decuplicato negli ultimi dieci anni, passando degli 11 miliardi di dollari, nel 2000, ai 129 miliardi di dollari nel 2010.

Gli investimenti diretti si aggirano, attualmente, intorno ai 9 miliardi di dollari e si stima che possano raggiungere i 40 miliardi di dollari entro il 2015. I principali partner commerciali sono rappresentati dal Sud Africa (25%), dalla Nigeria (11%), dallo Zambia (9%), dall’Algeria (8%) e dal Sudan (6%).

Il governo di Pechino, grazie alle ingenti disponibilità finanziarie, da anni è a caccia delle materie prime ed in particolare delle risorse energetiche, per far fronte alla tumultuosa crescita economica cinese. Gli investimenti maggiori, considerando il periodo compreso fra il 2005 ed il 2010, sono infatti concentrati nel settore dell’energia (19,3 mld di dollari), dei trasporti (15mld di dollari), dell’estrazione (13,9 mld di dollari) e le importazioni cinesi sono rappresentate, in gran parte (circa il 65%), da petrolio e minerali.

La Cina, comunque, oltre ad essere presente fra i principali produttori di petrolio del continente africano (Angola, Sudan e Nigeria), è anche attiva in Niger per l’uranio, in Zimbawe e Sudafrica per platino, diamanti ed oro, in Gabon, Liberia e Guinea Equatoriale per il legname, in Benin, Mali e Camerun per il cotone e nella Repubblica Democratica del Congo e Zambia per il cobalto.

La Cina è riuscita a sviluppare la propria influenza attraverso la realizzazione di infrastrutture, la cancellazione del debito ed offrendo supporto tecnologico.

I 1800 chilometri di ferrovie e gli impianti per la lavorazione del rame in Zambia, le autostrade in Sudan e Nigeria, la diga di Gibe III in Etiopia, sono solamente alcuni esempi delle numerose opere sostenute da Pechino.

Le relazioni con i governi africani sono inoltre facilitate dalla cancellazione del debito, parziale o totale, in 31 dei 47 paesi in rapporto diplomatico con la Cina (si tratta di 1,3 miliari di dollari, facilmente recuperabili attraverso l’incremento del commercio estero) e dall’abolizione delle tasse all’importazione accordata a 28 paesi su 190 articoli destinati al mercato cinese.

Unico limite posto dalle autorità di Pechino per intrattenere rapporti commerciali è rappresentata dal riconoscimento di “una sola Cina” e quindi dal non riconoscimento di Taiwan.

Stati Uniti ed Europa, seppure in un momento di relativa debolezza economica, stanno tentando di rafforzare al propria presenza sul continente africano e contrastare l’espansionismo cinese.

In questo senso la costituzione, nel 2008, dell’Africom (comando militare incaricato di coordinare le operazioni militari in Africa), sotto la presidenza di Gorge W. Bush, può essere considerata un’ iniziativa volta a rafforzare la presenza statunitense nel continente nero ed integrare le strategie di contenimento cinese.

Anche la costituzione della base militare a Gibuti, già nel 2007 (in un vecchio campo delle Legione Straniera), rientra nella medesima strategia.

Le macro-aree di maggior interesse, individuate dal governo americano, sono rappresentate dal Corno d’Africa (caratterizzata da un’elevata instabilità politica), dalla regione dei grandi laghi (ricca di risorse idriche) e dalla regione del Golfo di Guinea (per le ingenti risorse petrolifere).

Anche la Francia, attraverso la missione libica ed il sostegno, in Costa d’Avorio, ad Alessane Ouattara contro l’ex capo di stato Gbabo (appoggiato dalla Cina), tenta di rafforzare ed espandere la propria influenza nel continente africano.

D’altra parte la Cina, seppure ancora caratterizzata da un basso profilo dell’utilizzo della forza militare, sta incrementando i meccanismi di difesa dei propri interessi imperialistici.

Dopo che nel 2009 un cargo cinese (il De Xing Hai) venne sequestrato dai pirati somali, la marina militare di Pechino ha giustificato la presenza di tre unità navali in quelle acque.

Considerando che il greggio sudanese (destinato per il 65% all’esportazione in Cina) si imbarca a Port Sudan e scende lungo il Golfo di Aden, è lampante la rilevanza strategica che la regione riveste per Pechino. La stessa separazione (da alcuni, non impropriamente, definita balcanizzazione) del Sudan, può essere vista come un episodio della rivalità geopolitica tra Cina e Stati Uniti per il controllo delle forniture energetiche africane. Il finanziamento ed addestramento delle forze armate ostili al governo di Khartoum (quali la JEM, Justice and Equality Movement, e SSLA, Sud Sudan Liberation Army), così come il forte sostegno dimostrato dagli Stati Uniti, dall’UE e dagli ufficiali Israeliani alla secessione del Sud Sudan, rientra nell’attacco complessivo degli interessi cinesi nell’area. Il continente africano, ed in particolare l’Africa orientale, sono quindi destinate a divenire aree di confronto dei diversi imperialismi e lo scenario di nuove guerre indirette, tra Cina ed Occidente, per decidere la supremazia sulle materie prime nei prossimi decenni.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.