Integralismo islamico: nuovo volto dell'imperialismo arabo o retaggio medioevale?

Cominciamo dalla nascita dalle radici del movimento islamico odierno. La questione delle origini è da sempre dibattuta nella letteratura anti-islamista: da un lato abbiamo chi vuole insistere sulle radici di questo movimento collegandolo direttamente alla tradizione culturale medioevale araba, dall'altro chi insiste sulla discontinuità e sulle differenze fra l'islamismo pre-industriale e quello odierno. Noi comunisti dovremmo, a nostro avviso, favorire il secondo di questi approcci, non perdendo mai di vista il fatto che oggi lo scontro interborghese e interimperialistico si gioca sulla rendita petrolifera: vedi, per esempio, lo scontro tra Al Qaeda e la monarchia saudita, tra il governo russo e il movimento indipendentista ceceno ecc… Dunque, dal momento che non ci limitiamo ad una analisi formale dei movimenti, ritenendo, al contrario, pertinente un’analisi che sappia inquadrare il movimento nella formazione sociale data, ne conviene immediatamente che i califfati del medioevo arabo non sono i cosiddetti califfati che prefigurano gli islamisti di oggi. Un atteggiamento culturalista, diciamo pure superficiale, porterebbe similmente a voler forzare una continuità politica fra il fascismo italiano e il Principato di Augusto. Ovviamente, un’analisi responsabile della realtà non può certo fermarsi all'iconografia, all'estetica e alle frasi utilizzate dai fascisti o dagli islamisti d'oggi. Le radici dell'islamismo vanno necessariamente trovate nella storia recente della borghesia araba.

Spinti dal disegno di riunificare i paesi di lingua araba e dalle assicurazioni loro date dalle potenze europee, le borghesie arabe parteciparono alla prima guerra mondiale al fianco dell’Intesa, ma le loro aspirazioni vennero disattese dagli accordi di Sèvres, che divisero l’impero ottomano in diversi stati sottoposti all’influenza di Francia e Gran Bretagna. Nel tentativo di unificare il mercato arabo e costruire uno stato forte in grado di attuare un grande piano di industrializzazione sul modello stalinista, nascono i movimenti panarabisti degli anni cinquanta. Tali movimenti, ponendosi nel campo borghese dell'ateismo di stato di ispirazione illuminista, provocano l'opposizione di gruppi di intellettuali che associavano uno sfondo islamico al movimento nazionalista arabo. Dunque, in particolare in seguito al fallimento del piano nasseriano di riproposizione della via staliniana all'imperialismo (senza dimenticare che Nasser, prima di allearsi con l’Urss, aveva chiesto aiuto e finanziamento agli Usa, e solo dopo il loro rifiuto diventa “socialista”) emergono poco alla volta in seguito ad una ondata di diffidenza verso Mosca (si ricordi, a tale proposito, il tradimento sovietico durante la guerra dei Sei Giorni), borghesi che propongono una via tutta islamica, intanto guardando anche oltre il mondo arabo, proponendo un nuovo polo imperialistico che possa unificare sotto una unica forza politico-economica il mondo dall'Indonesia al Marocco.

In questo quadro vanno inseriti i padri fondatori del movimento islamico moderno quali Al Banna maestro di Qutb, Say'id Qutb, e Say'id Abu l-A'la Maududi. Un aspetto fondamentale dell'ideologia islamista è l'avversità totale verso un modello imperialistico ateista come quello stalinista: ciò rispecchia il fatto che la borghesia islamista sentiva forte la minaccia del blocco sovietico verso il proprio progetto di dominio intercontinentale. Il rapporto, in questo senso, fra il pensiero ba'athista (1) e l'islamismo si esprime proprio rispetto all'URSS. I primi riconoscevano nel modello sovietico un ottimo piano per una rapida industrializzazione e, in particolare, un ottimo impianto ideologico da sfruttare per convincere proletari di etnie e appartenenze culturali diverse a battersi per la causa del nazional-socialismo panarabista. I secondi mostravano totale diffidenza per un qualsiasi tipo di dialettica col modello russo, cercando al contrario di costruire l'unità fra le etnie partendo proprio dal denominatore comune islamico, e proponendo un modello particolare di sviluppo economico che per molti versi si distingue dal modello sovietico (approfondiremo questo aspetto in seguito). Una cosa tuttavia certamente accomuna entrambi i filoni di pensiero della borghesia araba: la forte intesa nel reprimere nel sangue ogni aspirazione di miglioramento delle condizioni di vita dei proletari arabi, per quanto questa spesso drogata dal mito sovietico. Occorre quindi che le avanguardie proletarie del mondo arabo abbiano chiaro il fatto che difendersi dall'islamismo non può significare difendere l'impianto altrettanto reazionario del ba'athismo.

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Oggi, con la fine dell'URSS e con la mondializzazione dei mercati, risulta assai più adatto ad un piano imperialista il modello islamico piuttosto che quello classico ba'athista, essendo il primo rivolto alla creazione di un polo imperialista che va anche al di là dei paesi arabi e slegato dalla retorica socialisteggiante, antiquata e superflua nel lavoro di imbrigliamento proletario che si rende necessario.

Qutb è particolarmente conosciuto per aver rispolverato il concetto di jahiliyya (ribellione contro la sovranità di Dio). Lo recupera con l'attenzione propria dell'archeologo, certo non per scrupolo accademico, bensì per attaccare il marxismo, che viene raccontato come l'usurpatore più pericoloso dell'autorità divina (autorità padronale). Nella sua opera intitolata Pietre miliari (2), Qutb sosteneva sostanzialmente che è il capitalismo nella sua forma degenerata la causa dell'ideologia comunista, per cui questa va interpretata come un prodotto stesso del capitalismo: il suo prodotto più cancerogeno.

(...) questa teoria confligge con la natura dell'uomo e coi suoi bisogni. Questa ideologia prospera solo in una società degenerata o in una società che è diventata sottomessa a causa di qualche forma di prolungata dittatura... Il risultato di questa ribellione contro l'autorità di Dio è l'oppressione delle Sue creature. Così l'umiliazione dell'uomo comune sotto il comunismo e lo sfruttamento di individui e nazioni dovuto all'avidità di ricchezze e all'imperialismo sotto i sistemi capitalistici sono solo un corollario della ribellione contro l'autorità di Dio.

Say'id Qutb, Pietre miliari, § 2,4

L'attenzione va proprio concentrata in quel “qualche forma di prolungata dittatura”. L'opportunismo che emana questo paragrafo e che caratterizza i suoi scritti si distingue proprio in quei toni vaghi e per niente delineati con cui si dovrebbe dire semplicemente capitalismo. Infatti, non precisando in nessun modo le specifiche di questa forma prolungata di dittatura, ne conviene che il signor Qutb non mette in discussione le fondamenta della società borghese - la proprietà privata, la merce, il salario, ecc. - bensì si limita a giudizi etici e moralistici, come del resto fanno opportunisticamente anche i cosiddetti anticapitalisti cristiani d'occidente. Ma come abbiamo più volte sottolineato, l'imperialismo è una fase necessaria del capitalismo, non è affatto una scelta politica! Lo sfruttamento è la condizione di esistenza del capitalismo: senza sfruttamento, non c'è accumulazione. Se non c'è accumulazione, non c'è capitalismo. Insomma, nulla di nuovo sul fronte orientale:

l'individualità di una persona si esprime in vari modi, come la proprietà privata, la scelta del lavoro... e l'espressione in varie forme di arte; e ciò la distingue dagli animali o dalle macchine...

Say'id Qutb, Pietre miliari, § 41
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La solita alitata d'infamia. L'individualità di una persona si esprime quando è libera dal lavoro salariato, ossia quando è libera di impiegare il proprio tempo per sviluppare la propria personalità e interagire con le altre individualità. Nel comunismo esisterà la proprietà! Lungi, noi comunisti, dal voler abolire la proprietà: noi intendiamo abolire quella privata! Ma è bene spendere due parole. Come direbbe Brecht, “Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà!”, perché questo è centrale per la comprensione di ogni modo di produzione, e in particolare di quello capitalistico, data la sua peculiare forma e capacità occultatrice. C'è, infatti, sinonimia fra il termine proprietà ed il termine produzione:

Ogni produzione è un’appropriazione della natura da parte dell’individuo, entro e mediante una determinata forma di società. In questo senso è una tautologia dire che la proprietà è una condizione della produzione. Ma è ridicolo saltare da questo fatto a una determinata forma della proprietà, per es. alla proprietà privata.

Karl Marx, lntroduzione a “Per la critica dell’economia politica” del 1857

“L'espressione in varie forme d'arte” si può leggere come una concessione borghese volta a raccogliere simpatie fra la piccola borghesia araba, che rappresenta ancora una fetta molto grande della popolazione. Una malevola predica del venerdì che vorrebbe semplicemente velare la forma capitalistica della proprietà privata per tornare indietro a quella, ugualmente privata, ma individuale, che la storia ha già conosciuto, nelle forme medievali e rinascimentali dell’artisanat furieux: una nostalgia mediterranea.

Citiamo infine quest'ultima frase del signor Qutb per completezza, se non altro.

Il comunismo vuole inoltre stabilire un nuovo tipo di società, abbattendo i muri di razza e colore, nazione e regione geografica, ma non è basato su "relazioni umane" bensì su un "sistema di classe" [...] una società egoistica e vendicativa non può fare altro che eccitare emozioni indegne nei suoi membri.

Say'id Qutb, Pietre miliari, § 24

Anche qui l'arma usata è quella del depistaggio. Mettiamo confusione per sminuire una teoria, utilizzando appositamente espressioni prive di senso: se non è basato su relazioni umane, su cosa sarebbe basato questo comunismo? Relazioni aliene (sic!). Inoltre, come si può dire che il comunismo è un sistema di classe, se è il movimento che abolisce la società divisa in classi?! Non si prendono in considerazione nemmeno i passi più famosi, talmente famosi da esser diventati quasi luoghi comuni, definendo il comunismo una società egoistica! Insomma, verrebbe da dire che proprio dalla goffaggine di questi nostri nemici nel voler confutare le nostre tesi si dimostra la nostra giustezza!

Argomentazioni niente affatto dissimili vengono fuori dalla penna pachistana Say'id Abu l-A'la Maududi (1903-1979). Il fondatore del famoso partito Jamaat-i-Islami, nella sua opera Economic system of Islam (1970) arrivò a sostenere che la proprietà privata sui mezzi di produzione è giusta, il profitto moderato è lecito e il libero mercato è cosa buona finché guidato da un disegno morale preciso. Per questo motivo non dobbiamo stupirci se arriva a dire che:

Sotto un tale sistema [quello comunista n.d.r.] non vi può essere alcuna opportunità per gli individui di sviluppare la propria personalità... Ciò che richiede sopra ogni cosa la personalità umana per evolversi e migliorarsi è che dovrebbe avere libertà, alcune risorse finanziarie a sua disposizione che possa usare a sua discrezione e secondo la sua volontà e così facendo sviluppare le sue potenzialità nascoste. Ma nel sistema comunista non vi sono tali possibilità... tutti gli individui di una società diventano schiavi di pochi.

Say'id Abu l-A'la Maududi, Economic system of Islam, p. 29

Sorprende l'assurdità e la contraddittorietà di questi signori. Ma vale la pena comunque commentarli. Le risorse finanziarie di cui parla Maududi non sono uguali per tutti. Questo non è il frutto della corruzione della morale occidentale, bensì la naturale conseguenza dell'esistenza stessa della proprietà privata. Il capitalista possiede capitali. I proletari posseggono solo la propria forza-lavoro. Ne conviene che mentre i primi posseggono i mezzi di produzione e vivono di sfruttamento, i secondi in cambio di prestazioni lavorative hanno il necessario per sopravvivere. Nessun proletario deve essere convinto sul fatto che il proprio salario serve giusto giusto a campare, e che il tempo che resta di una giornata di lavoro non permette uno sviluppo libero delle proprie potenzialità nascoste.

Inutile dire che è una smaccata falsità usata a fini propagandistici, l’affermazione che nel comunismo la quasi totalità degli individui diventa schiava di un’esigua minoranza. Nel comunismo non ci saranno classi e la transizione al comunismo è la dittatura del proletariato (che costituisce la stragrande maggioranza della popolazione mondiale). Proprio la società capitalista è di fatto una società in cui sempre più individui vengono sottomessi a pochi altri: e questo non viene in alcun modo minato dall'economia politica islamista (purtroppo, l’esempio di riferimento è quello dell’Unione Sovietica).

La dottrina islamica non si accorda né con il capitalismo... né con il socialismo... Essa ammette nello stesso tempo le differenti forme della proprietà... È un principio che crede nella proprietà privata, nella proprietà pubblica e nella proprietà dello Stato.

Mohammed Baqir al-Sadr, La nostra economia, 1961, §I.1

È interessante notare che a conclusioni niente affatto dissimili sono arrivati i fascisti quali Peron... Del resto, su una cosa siamo sicuramente d'accordo con al-Sadr: la dottrina islamica non si accorda col socialismo. Dobbiamo però correggerlo quando pretende di dire che non si accorda nemmeno col capitalismo. Proprietà privata, proprietà pubblica e proprietà statale dei mezzi di produzione e di distribuzione sono gli ingredienti di una società capitalistica matura. Non serve un al-Sadr per teorizzare la proprietà statale, il capitalismo di stato non è certo una novità, nel 1961. Quanto alla proprietà pubblica, supponendo che ci si riferisca in qualche modo ai servizi pubblici: non occorre una scienza per capire che si è scoperta l'acqua calda, ossia l'esistenza di un salario indiretto e differito. Del resto, una proprietà veramente pubblica, di tipo comunistico, non può esistere oggi, dal momento che potrà svilupparsi solo attraverso il grande atto violento di centralizzazione e socializzazione che ha luogo con la rivoluzione proletaria.

Così, contrariamente al marxismo che fa dipendere i rapporti di distribuzione, e di conseguenza tutto il sistema sociale, dalle forme della produzione, noi possiamo separare i rapporti di distribuzione dalle forme della produzione. Perché è possibile che uno stesso sistema sociale fornisca alla società umana dei rapporti di distribuzione convenienti alle differenti circostanze e forme della produzione, e questo contrariamente a ciò che afferma il marxismo quando dichiara che ogni tipo di rapporto di distribuzione è legato a una forma determinata di produzione.

Mohammed Baqir al-Sadr, La nostra economia, §I.5

Gli islamisti possono separare i rapporti di distribuzione da quelli di produzione! Questa si che è bella! Non occorre essere marxisti per sapere che il prodotto del lavoro non è proprietà del lavoratore salariato bensì del capitalista (anche se ideologi borghesi laici, religiosi e di ogni variante possibile, fanno di tutto per confondere le acque). Quanto al fatto che i rapporti di distribuzione sono indipendenti alla forma di produzione è puro idealismo, è palese che, al contrario, la distribuzione sia condizionata dall'accumulazione stessa capitalista o, in generale, dal modo particolare di produzione. Del resto, se in età antica la distribuzione del cibo alla schiavitù non avveniva con il salario ci sarà stato un motivo!

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Ma i prezzi di produzione regolatori dal canto loro vengono regolati dal livellamento del saggio del profitto e dalla distribuzione del capitale fra le differenti sfere sociali della produzione conformemente a tale livellamento. Il profitto perciò si presenta qui come elemento principale non della distribuzione dei prodotti, bensì della loro stessa produzione, una parte della distribuzione dei capitali e del lavoro stesso fra le vere sfere della produzione. La suddivisione del profitto in guadagno di imprenditore e interesse si presenta come distribuzione di un medesimo reddito. Ma essa deriva in primo luogo dallo sviluppo, del capitale in quanto valore autovalorizzantesi, valore che genera plusvalore, deriva da questa determinata forma sociale del processo produttivo dominante. Essa fa nascere al suo interno il credito e le istituzioni di credito, e quindi la forma della produzione. Nell'interesse ecc., le pretese forme di distribuzione entrano nel prezzo come elementi di produzione determinanti.

Karl Marx, Il Capitale, libro terzo, sez. VII, cap. 51

Chiaramente al-Sadr sta di fatto facendo un discorso da vero populista: nonostante il capitalismo, la produzione di merci, i rapporti di produzione, noi garantiremo una giusta distribuzione di beni. Ossia questi signori garantiranno, a sentir loro, un giusto salario! Certo! Si rispolvera il trito luogo comune - laico o islamista - di un presunto patto fra forza-lavoro e capitalista: e meno male che questa dottrina non doveva accordarsi col capitalismo!

Ma oltre a dichiararsi anticapitalisti e antimperialisti, l'islamismo, nell'estremo tentativo di confondere il proletariato, è arrivato persino ad acquisire - distorcendole - alcune categorie marxiste. È il caso dell'iraniano Ali Shari'ati (1933-1977). Costui è riuscito a fare dei concetti quali lotta di classe e abolizione della merce, dei concetti reazionari, operando da vero dinamitardo del pensiero rivoluzionario. In due parole, arrivò a dire che il fine ultimo del comunismo è quello di rendere tutti uguali in partenza, affinché le differenze individuali possano emergere solo a livello spirituale nei confronti di Dio. L'operazione ideologica è poi servita principalmente a far accettare alle masse proletarie persiane in lotta contro lo Scià le parole d'ordine islamiste e nazionaliste di Khomeini.

Khomeini stesso celebrava il primo maggio la Festa del lavoratore islamico. Citò anche un hadith ("detto" del Profeta) dal quale si ricava che, agli occhi di Allah, il sudore del lavoratore ha maggior valore delle preghiere del fedele.

Fred Halliday, Cento miti sul medio oriente, 2005, p.91
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Un hadith che, al di là delle considerazioni teologiche, che poco ci interessano, è sicuramente molto moderno: se non altro più che una mano tesa verso i lavoratori, sembra una frustata sulla loro schiena! Un detto che avrebbe sicuramente fatto sorridere più i borghesi iraniani che i proletari disincantati dal dubbio charme di questo clericale.

Balza all'occhio, anche solo attraverso questo breve viaggio nell'islamismo, che l'islamismo è un fenomeno politico niente affatto di origine medioevale, bensì del capitalismo moderno. Un fenomeno che risponde ai nodi ideologici della borghesia islamica, affrontando le questioni più scottanti di attualità quali il capitalismo di stato, il controllo sulla finanza, il wellfare; soprattutto, affronta frontalmente - permetteteci questo giuoco di parole - il nemico giurato del capitalismo: il comunismo. Insomma, lungi dal voler attribuire uno sfondo di arretratezza al movimento islamico, dobbiamo necessariamente associare a questo movimento la risposta più avanzata che la borghesia araba ha dato ai suoi piani di dominio.

L’islamismo, nella sua versione fondamentalista, è l’involucro ideologico nazionalistico ed imperialistico da dare in pasto alle masse arabe per orientarle verso il vero verbo degli interessi borghesi nello scontro tra le varie borghesie arabe e tra queste il mondo occidentale, sempre sotto la spinta della rendita petrolifera, momento principe del tutto, anche se non il solo.

MA

(1) Si tenga presente che Michel Aflaq, il fondatore del partito Ba'ath, era un allievo dello stesso Mazzini oltreché un cristiano.

(2) Titolo originale: Ma'alim fil triq, 1964.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.