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Home ›Il Kirghizistan al centro dello scontro Russia-Usa
Poche ore prima della firma dell’accordo farsa tra Medvedyev e Obama sul “disarmo nucleare”, in Kirghizistan scoppia virulenta le rivolta contro il governo del presidente filo-americano Bakiyev. Per le strade della capitale Bishkek rimangono quasi un centinaio di morti e un migliaio di feriti. Cade il governo che viene immediatamente sostituito da una reggenza nella persona di Roza Otumbayeva, ex ministro dello stesso governo.
A scendere nelle piazze, una massa di proletari, disoccupati, di disperati che la miseria atavica e l’aumento delle tariffe energetiche hanno reso ancora più poveri e disponibili ad azioni di forza con tanto d’armi in pugno. Senza però una guida politica che indirizzasse la rabbia contro il sistema capitalistico che è alla base di tanta miseria ed oppressione, la rivolta si è esaurita contro la facciata politica del governo in carica e lì si è fermata. In situazioni come queste è stato facile per le forze d’opposizione, tutte interne al sistema, strumentalizzare la rabbia delle masse ai propri fini, proponendosi come la nuova leadership, più democratica e più attenta alle necessità dal paese.
Ma questa è solo la facciata interna di ciò che sta accadendo nella più povera e diseredata delle ex repubbliche sovietiche. In gioco ci sono ben altri interessi che premono sul neo-insediato governo della Otumbayeva. Il vecchio governo di Bakiyev, salito al potere nel 2005 con la famosa rivoluzione dei tulipani, nato dalle mani di Washington, in chiave anti russa e cinese, doveva far parte di quella cortina di stati che avrebbero consentito agli Usa, questa era la speranza, di avere basi militari, logistiche atte a sostenere il programma energetico in centro Asia, dal Kazakistan al Pakistan, ovvero dal Caspio all’Oceano Indiano. L’altro imperialismo, quello russo, ha risposto per le rime. Dal 2005 in avanti ha operato con determinazione in quel territorio che prima le apparteneva, inscenando episodi di muscolare attività in tutta l’area. Con la Cina ha organizzato, per la prima volta nella storia dei due paesi, un’esercitazione militare in territorio asiatico, con la partecipazione e sostegno delle altre ex repubbliche sovietiche, che aveva il dichiarato scopo di “segnare” il territorio. Nello stesso periodo prende corpo la SCO (Shanghai Cooperation Organization di cui fa parte anche il Kirghizistan) sotto il controllo russo-cinese. Sempre nel 2005, la Russia premette presso il governo Karimov dell’Uzbekistan, perché la base militare americana di stanza a Karshi Khanabad venisse smantellata. In Kirghizistan sia la Russia (a Kant) che gli Usa (a Manas) hanno basi militari, quell’americana particolarmente strategica per via della vicinanza con l’Afghanistan.
La “combinazione” vuole che, un mese prima della rivolta, Otumbaeva, il futuro capo del nuovo governo, si trovasse a Mosca a colloquio con Putin. Quello stesso Putin che negli anni precedenti aveva fatto di tutto per corrompere il precedente presidente, offrendogli due miliardi di dollari perché rendesse difficile la vita alla presenza militare americana nel paese. Bakiyev seppe giocarsela bene, fece approvare dal Parlamento una legge che decretava la fine della concessione alla base militare americana, ma poi accettò di rinegoziarne l’affitto passando ad incassare 170 milioni di dollari al posto dei precedenti 63. Fu però impreparato a fronteggiare la reazione apertamente ostile di Mosca, che bloccò immediatamente la seconda tranche dei finanziamenti promessi e poi, proprio all'inizio di aprile, ha imposto i pesanti dazi sui carburanti che hanno provocato i rincari e la rivolta di massa. La stessa “combinazione” vede il nuovo capo del governo ancora a Mosca a trattare con Medvedyev sui destini futuri del Kirghizistan, sia in termini economici (sono già stati stanziati alcuni miliardi di dollari a sostegno del paese fratello), sia militari (150 parà sono stati aggiunti nella base militare di Kant). In più la Russia, per il momento unico paese al mondo, ha immediatamente riconosciuto il governo della Otumbayeva che, a sua volta, ha promesso di rinegoziare con gli Usa i termini di scadenza temporale della base militare di Manas, dove opera dal 2001 il 376o Corpo Aviotrasportato, che conta un organico di 1000 soldati, e che, tra l’altro, è rimasta l’ultima presenza militare americana in tutta l’area. L’imperialismo russo non fa sconti in quel che ritiene essere il suo territorio di caccia. Già due anni fa non ha esitato ad usare la forza contro il governo della Georgia per la questione dell’Ossezia del Sud. Allora come oggi in gioco tra i due imperialismi ci sono le fonti energetiche centro-asiatiche, il controllo delle vie di commercializzazione del petrolio e del gas naturale, la supremazia geopolitica nello spazio tra Russia e Cina. Il Cremlino non vuole interferenze, Washington, con le residue energie che le rimangono, tenta di rimanere aggrappata con le unghie e con i denti al business energetico. Il paradosso è che, nella Conferenza di Praga, dove si è firmato lo “storico” accordo sulle armi nucleari, con l’enfatica dichiarazione che “essendo la guerra fredda ormai finita” c’è più sicurezza al mondo, Obama e Medvedyev erano ai ferri corti sulla questione Kirghizistan. La guerra fredda è certamente finita, è finita un’epoca durata quarant’anni di scontri imperialistici indiretti, giocati sulla pelle del proletariato mondiale. Ma non sono finite le cause che determinano le nuove guerre, le tensioni nazionali, le guerre civili ecc. La crisi non fa altro che rendere questi episodi ancora più pressanti e determinanti per il processo in atto di ricomposizione imperialistica internazionale.
Questa è la guerra nera, del gas e del petrolio, di cui il Kirghizistan sta pagando il conto, al pari dell’Iraq e dell’Afghanistan e, in prospettiva di tutti quei paesi che, loro malgrado, rientrano nelle aree strategiche da un punto di vista energetico. E nella voce “conto da pagare” rientrano, come sempre, i proletari, sulle cui teste e sulla disperazione dei quali si gioca la partita degli interessi del capitale, mai come oggi in cerca di profitti, di fonti energetiche, di strumenti bellici necessari alla sua sopravvivenza.
FDBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
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