Guerre, inondazioni, uragani

Tra i leader a capo dei paesi a maggiore produttività, non ve ne è uno che ignori che l`impossessamento delle materie prime, cioè la contesa imperialistica per il controllo globale delle risorse del pianeta, non sarà solo frutto di pacifici accordi diplomatici. Si, infatti! Mentre i padroni stanno seduti dietro ai tavoli decisionali, le loro contese e i loro eserciti portano la morte di milioni di proletari in tutto il mondo. Le loro rotture diplomatiche in poche ore possono provocare  la trasformazione di interi territori in campi da guerra, piegando alla fame e alla miseria le popolazioni che li abitavano. Questo il capitalismo non lo può evitare, perché solo tramite il conflitto, un polo imperialistico può conquistare la supremazia su di un altro e prendersi o difendere ciò di cui ha bisogno. Sta a significare che il capitalismo non può funzionare senza che vi sia tra i vari poli uno stato di guerra permanente. E quel che non distrugge la guerra con il fuoco, viene giornalmente logorato dalle conseguenze della brusca accelerazione che i cicli produttivi hanno subito nelle ultime decadi, quindi non subisce solo il pianeta ma anche chi lo abita. Che il mondo inizia a scuotere quando si oltrepassa una certa soglia nell'accanimento produttivo lo sa bene l'UE. Lungo tempo è servito agli oppositori della globalizzazione per fare ammettere al padronato e alla comunità internazionale, la dannosità delle emissioni industriali nell'atmosfera. Ma una sanzione dopo l'altra, non sembrano fare cambiare idea ne ai grandi centri produttivi in Italia, ne a quelli situati nel resto dell'Europa, che una volta bypassati i problemi logistici e di controllo (più rigidi che nel bel paese) fanno filare tutto liscio con tacito consenso dello stato. D'altro canto anche per lo stato gli affari sono sempre affari e così la bagarre produttiva e le sue emissioni possono tranquillamente continuare a turbare l'equilibrio geologico del nostro pianeta. Ma da quando la terra ha iniziato a farsi sentire, il proletariato ha sempre avuto di che preoccuparsi. Infatti già dal principio ogni catastrofe ambientale ha dei risvolti di classe che precludono al proletariato una concreta possibilità di salvezza dalle calamità. Resta travolto da esse solo chi non ha i mezzi e i soldi per fuggire, chi non ha niente per difendersi. Ricchi e benestanti possono senza grossi problemi ricostruirsi una vita, ma chi è povero e ha perso tutto non può che uscirne definitivamente immiserito.

Tendopoli e baraccopoli diventano così per molti anni l'unica dimora possibile per chi ha avuto la "fortuna" di scampare alla morte. Il pianeta ci ha già dato prova della sua furia in Indonesia, a New Orleans e nel intero arcipelago delle Filippine con inondazioni e tempeste, mentre proprio in questi giorni si stanno abbattendo su Haiti e Cuba una serie di urgani che si apprestano a spostarsi sulle coste del Golfo del Messico per travolgere nuovamente New Orleans, il resto dello stato della Louisiana e la Florida. Se il proletariato mondiale vuole fare rientrare il fenomeno delle catastrofi naturali, non può che inesorabilmente schierarsi contro le dinamiche di questo capitalismo arrogante e prepotente per decapitare le mire dei capitalisti accattoni del nostro pianeta e salvare l'intera specie umana.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.