Cala il sipario sulla vicenda Atesia?

Il precariato è l’unico futuro che il capitale può garantire

Come i nostri lettori abituali sanno, ci siamo più volte occupati della lotta dei lavoratori del più grande call center d’Italia, poiché è quella che ha dato maggiore visibilità alle sorti che toccano e toccheranno a strati sempre più larghi di forza-lavoro. Anche l’accordo firmato il 13 dicembre 2006 tra i sindacati confederali e il gruppo Cos-Almaviva - proprietario di questo e di altri call center - sintetizza la direzione verso cui il padronato, con il concorso determinante di CGIL-CISL-UIL, intende orientare il mercato del lavoro.

Non aggiungiamo “in Italia” perché la strategia padronale volta alla flessibilizzazione, alias precarizzazione, di massa non è una prerogativa esclusivamente italiana, ma è parte di un’offensiva che il capitale sta conducendo da anni contro il lavoro salariato a scala mondiale.

Potrebbe sembrare una specificazione inutile, invece ci pare necessaria, in quanto troppe volte organizzazioni e “ambienti” di varia sinistra instillano nei lavoratori una visione asfittica, se non completamente sbagliata, tanto delle cause quanto delle soluzioni ai loro problemi, a cominciare da quello della precarietà.

Così, di volta in volta, la precarietà montante viene spiegata, per esempio, con la cattiveria del padronato, con il neoliberismo, con la mancanza di energia dei sindacati, ecc., ossia con motivazioni che, nella migliore delle ipotesi, sfiorano solamente il nocciolo della questione e/o prendono di mira gli elementi accessori del problema.

È normale, allora, che i rimedi indicati non centrino mai il bersaglio e siano invariabilmente destinati ad arricchire il repertorio delle pie illusioni riformiste. È veramente raro, quasi più delle introvabili mosche bianche, cogliere nei documenti della sinistra “antagonista” anche solo un accenno alla crisi che rode il capitalismo tanto da spingerlo a intensificare lo sfruttamento della forza-lavoro, per recuperare saggi del profitto adeguati e alimentare l’abnorme speculazione finanziaria, figlia della crisi medesima. Solo partendo da quest’ottica si può dunque inquadrare correttamente l’attacco padronale, la condotta sindacale - valletta del primo - e il perché del fatto che mai come in questo periodo i contratti e gli accordi sindacali non possano produrre significativi miglioramenti, ma tutt’al più, quando va proprio di lusso, scambiare i pesanti arretramenti proposti in prima battuta dal padronato con arretramenti solo un po’ meno marcati (forse...).

L’accordo Cos-Almaviva rientra perfettamente in questo discorso. Senza addentrarci nei particolari (vedi il manifesto del 14 e 24 dicembre 2006, il comunicato del Collettivo Atesia, ecc.) la stabilizzazione di circa 6.500 lavoratori a progetto (cocoprò) sbandierata dai sindacati e dai DS come una grande vittoria, impone agli ex cocoprò tali e tante contropartite da offuscare ampiamente quello che, di per sè, sarebbe un passo in avanti: l’assunzione a tempo indeterminato, appunto.

Intanto, l’assunzione, scaglionata in più tranches, è subordinata alle commesse future e ai piani di ristrutturazione (leggi: sfoltimento del personale) del gruppo; poi, i dipendenti saranno assunti a part-time, per quattro ore giornaliere (venti settimanali) con uno stipendio mensile che oscilla tra i 500 e i 600 euro. Per molti lavoratori di Atesia già questo è una fregatura, perché prima, da cocoprò, arrivavano anche a 1.200-1.400 euro e, in ogni caso, non meno di 800. Non è finita: il posto fisso è legato all’accettazione della liberatoria ossia alla rinuncia, a favore dell’azienda, di buona parte del salario pregresso degli ultimi cinque anni.

Tra l’altro, tutti coloro che negli ultimi anni sono stati apertamente licenziati - in primis per motivi politici - o che non hanno avuto il rinnovo del contratto (il che è lo stessa cosa) non vedranno un centesimo né dei contributi né di quel po’ di stipendio pregressi che andranno invece ai firmatari della liberatoria.

Questa clausola, oltre al danno, contiene anche la beffa, perché le ore di chi non accetterà la liberatoria-capestro saranno distribuite agli altri, i quali potranno così rimpinguare lo stipendio da fame: un buon modo per tutelare gli interessi di tutti, come sostengono i sindacati... Ma il cuore di questo vergognoso accordo è l’organizzazione dell’orario che incatena il lavoratore alle esigenze dell’azienda, se ai nuovi assunti a part-time verrà applicato quello dei lavoratori a tempo pieno: turni su tutte le 24 ore con la possibilità (da parte padronale) di cambiare turnazione con sole 48 ore di preavviso. È ovvio che in tal modo sarà più difficile fare un secondo lavoro, obbligatorio per sopravvivere: ne consegue una maggiore disponibilità al lavoro straordinario. Senza contare, infine, la probabile intensificazione dei ritmi e dei carichi di lavoro, stando almeno a quanto è successo in un altro call center, il Telecontact (Telecom), dove, per i motivi ora sinteticamente elencati, dopo la stabilizzazione si sono licenziati 300 lavoratori, su 1.200, nell’arco di un anno.

I sindacati, ricorrendo ai soliti trucchi (far votare capi e capetti) e contando sul fatto che negli altri centri Cos lo stipendio medio mensile va dai 200 ai 500 euro - per cui la stabilizzazione sembra comunque un risultato positivo - sono riusciti a far passare l’accordo, tranne in Atesia. Non a caso, là dove si è più lottato, anche contro i sindacati confederali, va da sé, si è sedimentato un più alto grado di coscienza “sindacale”: di questi tempi, non è poco. Ma non basta. A quanto ci è dato di sapere, è mancato quel salto politico che, però, il radical-riformismo, per es. dei Cobas (influenti nel Collettivo precari), di certo non può favorire: questo può farlo solo un’avanguardia politica coerentemente comunista.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.