Note sulle società precapitalistiche e la nascita dello stato

Ma cosa direbbe old Hegel se sapesse nell'aldilà che l'Universale in tedesco e in nordico non significa altro che la terra comune, e il Particolare (Sundre) null'altro che la proprietà particolare separata dalla terra comune? Ecco che davvero, maledizione, le categorie logiche provengono dal “nostro commercio”.

Marx, lettera a Engels, 25 marzo 1868

Bugie, miti e il tempo che fu

Si sa. A furia di rivoltarsi nella tomba per le innumerevoli baggianate che sono state dette in buona e (molto più spesso) in cattiva fede a proposito del loro pensiero, i nostri poveri Marx ed Engels hanno ormai rinunciato a prendere sonno...

Una delle castronerie più eclatanti e più diffuse è quella secondo cui la Rivoluzione d'Ottobre si sarebbe verificata contro il marxismo e le sue previsioni, poiché la Russia del 1917 era ancora un paese contadino, arretrato, di gran lunga meno industrializzato del contemporaneo Occidente europeo. "La rivoluzione socialista in Russia contro le previsioni di Marx" (1) recita ad esempio il primo paragrafo del capitolo dedicato alla Rivoluzione d'Ottobre di "Storia e storiografia", un libro di testo per i licei ancora molto usato che, peraltro, nel complesso, non è affatto un brutto manuale. Figuriamoci gli altri.

Per ristabilire la verità, basti qui citare la prefazione all'edizione russa del "Manifesto del partito comunista" del 1882, in cui si dice:

oggi la Russia forma l'avanguardia del movimento rivoluzionario in Europa.

E più oltre:

se la rivoluzione russa servirà da segnale a una rivoluzione operaia in Occidente, in modo che entrambe si completino, allora l'odierna proprietà comune russa [le comunità rurali - ndr] potrà servire da punto di partenza per una evoluzione comunista. (2)

Ma già qualche anno prima, nel 1875, Engels pubblica un articolo su "Volkstaat" in cui sostiene che la Russia si trova ormai alla vigilia di una rivoluzione, e che essa può sfociare nel socialismo solo se...

nell'Occidente trionfa una rivoluzione proletaria che fornisca al contadino russo le condizioni preliminari e indispensabili di questo trapasso. (3)

Dunque non solo ritengono prossima una rivoluzione in Russia, ma riconoscono nell'espandersi della rivoluzione in Occidente la condizione irrinunciabile per poter gettare le fondamenta della nuova società! (4) Per i padri del materialismo storico non c'è davvero spazio per socialismi in un solo paese e stati operai degenerati.

Un'altra falsificazione ricorrente del pensiero marxista riguarda la presunta teorizzazione dei "cinque stadi" (comunismo primitivo, schiavismo, feudalesimo, capitalismo, socialismo) che tutte le società devono ineluttabilmente conoscere per approdare infine alla società senza classi.

Come già scrivevamo più di quindici anni fa:

quanti volessero riassumere il corso storico dell'uomo sul pianeta e le sue prospettive nella visione unilineare dello sviluppo dalla comunità primitiva al comunismo, rispetterebbero forse alcune citazioni isolate, prese qua e là, di Marx, demolendone però il metodo alla sua stessa base. (5)

E a ciò che abbiamo detto in proposito sullo scorso numero di Prometeo (6), vogliamo ora aggiungere alcune riflessioni. Innanzitutto è assolutamente necessario sfatare due grandi miti antitetici - ma altrettanto falsi e fuorvianti - che riguardano la cosiddetta "storia dell'umanità", la quale, in realtà, è stata per lunghissimo tempo un insieme di storie diverse. Questi miti sono "il lontano tempo che fu" e il "progresso": se il primo mitizza un bucolico socialismo delle origini (i reazionari si accontentano della "società tradizionale" spazzata via dal capitalismo...), il progresso mitizza invece l'avanzare tecnologico e scientifico in quanto tale, e vede quindi il cammino dell'uomo come un sentiero spianato e dritto che, nonostante gli ostacoli accidentali, corre sicuro dalle stalle alle stelle.

In realtà, le diverse forme di divisione sociale del lavoro elencate da Marx nella prefazione a "Per la critica dell'economia politica" (7), sono forme alternative della disgregazione della società comunitaria originale, e quindi non vanno intese come fasi storiche successive.

Inoltre, come già notava Hobsbawn, dire che le formazioni asiatica, antica, feudale e borghese sono progressive non implica...

una concezione semplicemente lineare della storia, né la concezione semplicistica che tutta la storia sia progresso. Si limita a constatare che ognuno di questi sistemi è, nei suoi aspetti fondamentali, sempre più distante dallo stadio primitivo dell'uomo. (8)

Nei Grundrisse, comunque, ci pensa lo stesso Marx a dire quale sia l'elemento recuperabile delle società precapitalistiche e in quali termini. Lasciamo parlare lui:

... la vecchia concezione secondo cui l'uomo, anche se inteso in un senso molto limitato dal punto di vista nazionale, religioso, politico, è sempre lo scopo della produzione, appare molto elevata nei confronti del mondo moderno, in cui la produzione si presenta come scopo dell'uomo e la ricchezza come scopo della produzione.
Ma in fact, una volta gettata via la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l'universalità dei bisogni, delle capacità, dei consumi, delle forze produttive ecc. degli individui, creata nello scambio universale? Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell'uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non l'estrinsecazione assoluta delle sue doti creative senz'altro presupposto che il precedente sviluppo storico, la quale rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l'uomo non si riproduce entro un modo determinato, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualche cosa di divenuto, ma è nell'assoluto movimento del divenire? (9)

Nessun paradiso da ripristinare, dunque, né progresso obbligato a cui attenersi. Ma lotta contro "la limitata forma borghese", nell'assoluto movimento del divenire.

Centralità del contesto storico

Abbiamo visto, dunque, che secondo Marx ed Engels già negli anni '70-'80 dell'Ottocento sarebbe stata possibile una rivoluzione socialista in Russia, nonostante il paese fosse ancora contadino e privo delle grandi concentrazioni industriali che nasceranno solo nei decenni successivi. Perché?

Il motivo ha un'importanza che va ben oltre la previsione che i due studiosi fecero in quel frangente. È infatti il generale contesto storico dominato dal modo di produzione capitalistico in cui si trova immersa anche la Russia di fine Ottocento, che rende possibile la rivoluzione socialista in un paese agricolo; posto che a quella segua una rivoluzione operaia nei paesi industriali. In Russia vi è inoltre la presenza della comune rurale, che, rimasta immutata per millenni, potrebbe fungere da punto di partenza per il socialismo nelle campagne, senza necessariamente passare prima sotto le "forche caudine" della proprietà borghese.

La proprietà comune del suolo - scrive Marx a Vera Zalusiè nel 1881 - gli offre [alla comune russa - ndr] la base naturale dell'appropriazione collettiva, mentre il suo ambiente storico, la contemporaneità della produzione capitalistica, mette a sua disposizione le condizioni materiali per il lavoro cooperativo organizzato su vasta scala. Essa si trova dunque in grado di incorporare tutte le acquisizioni positive elaborate dal sistema capitalistico senza passare sotto le sue forche caudine. (10)

Si pensi all'odierna situazione internazionale. Si pensi alle tante guerre che, dall'Africa all'Asia, dal Medio Oriente al Sud America, si combattono in contesti economici molto arretrati rispetto allo sviluppo complessivo raggiunto dal modo di produzione capitalistico. E si pensi a quanto ancora oggi questo argomento sia utilizzato opportunisticamente da tante forze sedicenti comuniste e internazionaliste, per motivare l'appoggio a questa o a quella borghesia nazionale - spesso camuffata sotto il generico e ambiguo nome di "popolo" o di "masse islamiche" ecc. ecc. - in funzione di un necessario sviluppo industrial-capitalistico dell'area, quale base irrinunciabile per il grande passo comunista, che, certo si farà, ma in un lontano e imprecisato futuro. Forse nell'era post-atomica... allora sì che ritorneremmo tutti al comunismo primitivo!

Scherzi (amari) a parte, l'arretratezza economica e sociale dei paesi della periferia capitalista, flagellati da guerre e da miserrime condizioni di vita, è la giustificazione che i vari presunti seguaci dell'ortodossia marxista tirano fuori per dare un fondamento teorico al loro appoggio incondizionato alle tante lotte "progressive" o di liberazione nazionale sparse per il mondo, quando invece proprio il vecchio Carlo sarebbe stato il primo a dire loro che, così facendo, dimostrano solo di non avere assolutamente compreso la centralità del contesto internazionale in cui si svolge la lotta di classe e il carattere mondiale, onnicomprensivo del modo di produzione capitalistico.

A questo si aggiunga il fatto che, in realtà, nella stragrande maggioranza dei paesi economicamente arretrati non ci troviamo di fronte a residui di feudalesimo - che, secondo una visione meccanicista e quindi distorta delle categorie di Marx, giustificherebbero l'appoggio alle borghesie nazionali di turno per giungere anche in quei paesi allo stadio capitalista - ma a particolari forme di sfruttamento integrate nel sistema capitalistico mondializzato.

Il fatto che la mano d'opera contadina di questi paesi...

venga pagata magari in natura per il lavoro che svolge nei latifondi, a latere del lavoro sui magri campicelli in suo possesso, non ha nulla a che vedere con una situazione feudale. Innanzitutto non di corvée come tributo istituzionale di lavoro si tratta, bensì di supersfrut-tamento imposto dalle condizioni di estrema miseria in cui questi piccoli contadini sono gettati dalla dominazione sul mercato dei prodotti della grande azienda. Secondariamente, il loro lavoro non costituisce un tributo al feudatario quale pluslavoro da esso consumato, bensì è il lavoro a costo irrisorio che entra nel meccanismo della produzione-accumulazione capitalista. (11)

Altro che liberazione nazionale e lotta anti-feudale. La vita dei contadini della periferia capitalista, tanto come quella dei proletari di tutto il mondo, è schiacciata dalla stessa macina borghese.

Le due anime della comunità primitiva

Torniamo ora alla questione della comunità agricola russa che, secondo Marx, si sarebbe potuta evolvere in comune socialista anche senza conoscere prima lo stadio della proprietà borghese. Indipendentemente dal fatto che questo fosse possibile o meno nello specifico quadro storico della Russia di fine Ottocento, ci interessa qui evidenziare il fatto che, nella visione di Marx, la comune rurale e quindi la comunità primitiva in genere (12) avesse una natura storico-materialista e non fosse quindi sempre e comunque destinata a essere spazzata via dal sorgere della proprietà privata.

La comune agricola, infatti, è secondo Marx:

fase di transizione verso la formazione secondaria, di conseguenza transizione dalla società basata sulla proprietà comune alla società basata sulla proprietà privata. La formazione secondaria contiene, beninteso, la serie delle società basate sullo schiavismo e il servaggio. Ma ciò vuol forse dire che il carattere storico della comune agricola fatalmente dovrà sfociare in questa direzione? Niente affatto. Il suo dualismo fondamentale permette un'alternativa: o il suo elemento di proprietà privata prevarrà sul suo elemento collettivo, oppure quest'ultimo prevarrà sull'altro. Tutto dipende dall'ambiente storico in cui esso si trova. (13)

È dunque l'ambiente storico, l'insieme di tutte le particolari condizioni in cui determinate comunità agricole originarie si trovano calate, che in ultima istanza determina l'evolversi di queste in società classiste fondate sulla proprietà privata.

Nell'Anti-Dühring Engels ci dice che nelle comunità primitive:

domina una certa eguaglianza delle condizioni di vita e per i capifamiglia anche una specie di eguaglianza della posizione sociale: in ogni caso un'assenza di classi sociali, che perdura ancora nelle comunità naturali agricole dei popoli civili del periodo posteriore. In ognuna di tali comunità esistono sin dal principio certi interessi comuni, la cui salvaguardia deve essere delegata a singoli, se anche sotto il controllo della collettività: decisioni di litigi, repressione di prepotenze di singoli che vanno al di là dei loro diritti, controllo di acque, particolarmente in paesi caldi e, finalmente, data la loro primitività, attribuzioni religiose. Siffatti incarichi si trovano in ogni epoca nelle comunità primitive, per esempio nelle antichissime marche tedesche e ancor oggi in India. Sono ovviamente dotati di una certa autonomia di poteri e costituiscono i primi rudimenti dello Stato. (14)

Ora, visto ciò che abbiamo fin qui detto, secondo noi quest'ultima affermazione di Engels non è del tutto esatta. Se infatti la comunità primitiva è giustamente ritenuta senza classi, essa non può certo contenere in sé già "i primi rudimenti dello Stato". Questo perché, come lo stesso Engels ci insegna, lo Stato...

è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi. (15)

E quindi...

è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tenere sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. (16)

È dunque evidente che una società senza classi è anche una società senza Stato. Ma ciò che Engels intendeva mettere in luce, e che infatti specificherà alcune righe più avanti in quella stessa pagina dell'Anti-Dühring, è che:

il dominio politico ha avuto a suo fondamento l'esercizio di una funzione sociale, e che il dominio politico ha continuato a esistere per lungo tempo solo laddove ha mantenuto l'esercizio di questa sua funzione sociale. (17)

È dunque solo in un secondo momento, a causa delle specifiche circostanze storiche in cui non tutte, ma determinate comunità primitive si svilupperanno, che i rappresentanti di queste funzioni sociali inizieranno a maturare interessi particolari, fuori e contro il resto della società.

La culla della civiltà classista

Sono ormai passati più di centoventi anni da quando Marx ed Engels scrissero le loro analisi sulle società precapitalistiche.

Centoventi anni di scoperte archeologiche che, per molti aspetti, hanno messo in discussione i quadri storici fondati sulle conoscenze precedenti. Senza contare che molti dei passi compiuti dall'umanità nella sua storia millenaria, sono ancora oggi da rintracciare.

Rispetto a ciò di cui i padri del materialismo storico erano inevitabilmente all'oscuro, basti pensare che né Marx né Engels potevano conoscere la civiltà cretese, quella micenea e quella ittita, giacché le rispettive scritture e città furono scoperte solo in epoca successiva. (18) La decifrazione del cuneiforme persiano, inoltre, risaliva appena al 1846, e a quell'epoca la conoscenza delle numerose lingue mediorientali antiche non era che all'inizio. Non è quindi un caso che sia Marx che Engels, negli scritti in cui analizzano la nascita dello Stato e delle società classiste, prendano in esame soprattutto la storia di Roma antica, la Grecia classica e le istituzioni del mondo germanico.

Come ben sappiamo, invece, la cosiddetta "culla della civiltà", ossia il luogo dove per la prima volta, intorno alla metà del IV millennio a.C. (5500 anni fa circa) comparvero la città, la scrittura e l'organizzazione statale, fu la Mesopotamia, e...

le indagini sulla rivoluzione agricola, lo studio dei miti, le immagini e i reperti provenienti dai luoghi più disparati del continente europeo e del bacino del Mediterraneo, gli scavi archeologici condotti in Anatolia (Çatal Hüyük) e in Palestina (Gerico), ulteriori contributi della genetica e della linguistica hanno iniziato a scandagliare strati più remoti del nostro passato, fino a raddoppiare praticamente il nostro orizzonte temporale. (19)

Ciò che avviene in Mesopotamia più di cinquemila anni fa segna davvero in modo irreversibile gli sviluppi storici successivi. La forza-lavoro inizia ad essere impiegata (e sfruttata) con sistematicità, e così il tempo...

viene reso omogeneo e sessagesimale: anno di 360 giorni, con 12 mesi di 30 giorni ciascuno. È lo stesso ordinamento che è giunto fino a noi, pur attraverso aggiustamenti progressivi; e lo stesso dicasi per la suddivisione interna del giorno in ore e minuti [...]. Reso omogeneo e sessagesimale, il tempo è facilmente inseribile nei calcoli, soprattutto quelli relativi alla fornitura di razioni. (20)

Ed è l'aumento della produzione agricola che:

consente il mantenimento di specialisti a tempo pieno mediante la costituzione di un polo redistributivo centrale. Il "salto" più appariscente sarà quello demografico e urbanistico, ma il più sostanziale è quello organizzativo. L'origine della città significa origine dello Stato e della stratificazione socio-economica. (21)

Ma, cinquemila anni fa come oggi, per consolidare e mantenere la società stratificata...

occorre introdurre delle motivazioni di carattere ideale per convincere coloro che sostengono il peso maggiore che le disparità sono funzionali allo sviluppo complessivo, e che insomma lo sfruttamento va a beneficio degli stessi sfruttati. (22)

Per cui:

il nucleo dirigente deve operare su due fronti, operativo e ideologico, che sfociano nella costituzione rispettivamente di una burocrazia e di un clero. (23)

Ed ecco che la divisione in classi, con tutti i suoi annessi, è cosa fatta.

A noi pare che, già da queste rapide citazioni, non è difficile evincere come anche i recenti studi sulla nascita della civiltà in Mesopotamia non facciano che confermare il metodo d'analisi di Marx ed Engels e le loro conclusioni generali sulla genesi dello Stato e delle società classiste.

Altre storie?

Vogliamo però aggiungere una questione. L'archeologia preistorica ci parla anche di comunità agricole risalenti al Neolitico (24) che, a differenza di quelle mesopotamiche, secondo parte degli studiosi non si svilupparono in società gerarchizzate per meccanismi interni, ma a causa di infiltrazioni, aggressioni, invasioni condotte da altre genti portatrici di una diversa organizzazione economica e sociale. È il caso, ad esempio, della florida civiltà neolitica del Danubio, sviluppatasi in Europa sud-orientale dalla metà del VII millennio a.C. alla metà del IV; una civiltà che, da quanto ci dicono le testimonianze archeologiche, non conosceva la guerra, non costruiva palazzi monumentali e grandi santuari (seppure vivesse in agglomerati semi-urbani e praticasse rituali religiosi), che aveva sviluppato una vasta gamma di attività economiche pur essendo fondamentalmente egualitaria, e che, forse, aveva elaborato una primordiale forma di scrittura (25).

Inoltre pare che anche note civiltà come quella dell'Indo e quella cretese fossero essenzialmente pacifiche ed egualitarie, oltre che ricche ed economicamente avanzate. L'organizzazione centralizzata che troviamo a Creta, infatti, non è da leggere immediatamente come segno della presenza di uno Stato e di una classe privilegiata: come sappiamo, un conto è la gestione degli uomini (lo Stato), un conto è l'amministrazione delle cose. Ora, le testimonianze archeologiche - e forse anche quelle mitologiche - lasciano supporre che la civiltà del Danubio, quella dell'Indo e la cretese non siano scomparse per effetto di crisi interne alle stesse, ma per il sopraggiungere di popoli conquistatori, più forti e organizzati militarmente, che, una volta instaurato il proprio dominio, hanno in seguito eretto società fondate sulla guerra e la gerarchia classista.

Ciò che qui stiamo cercando di sostenere non è che le cose siano andate senz'altro così, ma che da un punto di vista marxista non è affatto da escludere a priori, giacché in seno alla natura dialettica di queste società maturate in precisi contesti storici, non è da escludere che per lungo tempo abbia prevalso l'elemento collettivo su quello privato fino all'imporsi violento della società classista, portata dall'esterno.

Nell'Anti-Dühring Engels sostiene che:

in generale la proprietà privata non appare affatto nella storia come risultato della rapina e della violenza. Al contrario. Essa sussiste già, anche se limitatamente a certi oggetti, nella comunità primitiva naturale di tutti i popoli civili. Già entro questa comunità essa si sviluppa, dapprima nello scambio con stranieri, assumendo la forma di merce. Quanto più i prodotti della comunità assumono forma di merci, cioè quanto meno vengono prodotti da essa per l'uso personale del produttore e quanto più vengono prodotti per il fine dello scambio, quanto più lo scambio soppianta, anche all'interno della comunità, la primitiva divisione naturale del lavoro, tanto più diseguali divengono le fortune dei singoli membri della comunità, tanto più profondamente viene minato l'antico possesso comune del suolo, tanto più la comunità si spinge verso la sua dissoluzione e la sua trasformazione in un villaggio di contadini parcellari. (26)

I fatti, in generale, sono questi. Ma noi riteniamo che, sebbene nella maggior parte dei casi finora conosciuti la proprietà privata si sia sviluppata in seno all'originaria proprietà comune, questo non sia dovuto alla natura stessa della proprietà collettiva, fatalmente destinata a soccombere a causa del germe della proprietà privata già insito in essa. Abbiamo detto, infatti, che il prevalere dell'elemento privato su quello collettivo lo determina il contesto storico generale, e non l'esistenza di una via obbligata di stadi che ogni società umana deve inevitabilmente percorrere. Se così fosse, basterebbe sedersi e aspettare il trionfo del comunismo.

Non è dunque impossibile, secondo noi, che in diversi contesti storici sia stata proprio la violenza a segnare la fine della proprietà comune e della società egualitaria delle origini. Violenza commessa non certo da popoli feroci di natura, ma da genti che, per molteplici vicissitudini, non da ultime quelle geografiche-ambientali, avevano dovuto fare della guerra un'attività sociale indispensabile.

Giacomo Scalfari

(1) A. Desideri: "Storia e storiografia", volume 3, pag. 187, D'Anna 1990.

(2) Marx-Engels: "Manifesto del partito comunista", pag. 311, Einaudi 1962.

(3) Tratto dalla prefazione di M. Godelier a Marx-Engels-Lenin: "Sulle società precapitalistiche", pag. 74, Feltrinelli 1970.

(4) Si veda in proposito anche Hobsbawn, prefazione a Marx: "Forme economiche precapitalistiche", pag. 47, Editori Riuniti 1970, nota 1:

Engels ricorda le speranze dei due amici, verso la fine degli anni settanta, in una rivoluzione in Russia, e nel 1894 anticipa specificamente la possibilità che “la rivoluzione russa dia il segnale della rivoluzione operaia in Occidente in modo che entrambe si integrino reciprocamente”.

Werke, XVIII, pag. 668

(5) M. jr Stefanini: "Modi di produzione e formazioni sociali", Da Prometeo 12, serie IV, novembre 1988, pag. 59.

(6) Vedi "Sulla storia dell'oppressione femminile", Prometeo 9, serie VI, giugno 2004, pag. 31.

(7)

A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società.

Da Marx: prefazione a "Per la critica dell'economia politica", pag. 747, "Opere Scelte", Editori Riuniti 1969

(8) Hobsbawn, prefazione a "Marx: Forme economiche precapitalistiche", pag. 36, Editori Riuniti 1970.

(9) Marx: "Forme economiche precapitalistiche", Editori Riuniti 1970, pag. 87-88.

(10) Marx, "Lettera a Vera Zalusiè", da Marx-Engels-Lenin: "Sulle società precapitalistiche”, op. cit., pag. 276.

(11) M. jr Stefanini, op. cit., pag. 61.

(12) Nel primo abbozzo della lettera a Vera Zalusiè, Marx definisce la comune agricola "il tipo più recente della formazione arcaica della società". Vedi Marx-Engels-Lenin: "Sulle società precapitalistche”, op. cit., pag. 259.

(13) ibidem, pag. 275-276.

(14) Engels, "Anti-Dühring", pag. 171-172, Editori Riuniti 1985.

(15) Engels, "Nascita della famiglia, della proprietà privata e dello stato", pag. 202, Editori Riuniti 1993.

(16) ibidem.

(17) Engels, "Anti-Dühring", op. cit., pag. 172.

(18) Sir Arthur Evans iniziò gli scavi di Cnosso nel 1901, mentre la lingua ittita fu tradotta da F. Hrozn? nel 1917; il "lineare B", infine, ossia la scrittura usata dai micenei, venne decifrata da M. Ventris nel 1952.

(19) M. Ceruti, introduzione a R. Eisler: "Il calice e la spada", pag. 7, Pratiche editrice 1996.

(20) M. Liverani: "Antico oriente", pag. 126, Laterza 1991.

(21) ibidem, pag. 108.

(22) ibidem, pag. 135.

(23) ibidem, pag. 136.

(24) Il Neolitico (VIII-IV millennio a.C. circa) è l'epoca più recente dell'Età della Pietra. In questo periodo, con la scoperta dell'agricoltura e dell'allevamento, l'uomo inizia a produrre sistematicamente le proprie risorse alimentari.

(25) vedi in proposito M. Merlini: "La scrittura è nata in Europa?", Avverbi edizioni 2004.

(26) Engels, "Anti-Dühring", op. cit., pag. 155.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.