Cosa c'è dietro la riduzione delle imposte che vuole Berlusconi?

Far pagare meno i ricchi per il bene dei poveri?

Abbassare le imposte è sempre stata una propagandistica bandiera del cosiddetto "socialismo buono". Quello, per intenderci, che piaceva (e ancora piace, col proposito di tenere a bada quelle teste calde degli estremisti...) ai benpensanti, ai borghesi grandi e piccoli che sognano "l'accordo fra capitale e lavoro", la moltiplicazione della proprietà, la fine della povertà, eccetera. Tutto questo accadeva prima che nel mondo cominciasse ad aggirarsi quello spettro - "il socialismo cattivo", ovvero "la guerra del lavoro contro il capitale" - che ancora turba i sonni di borghesi e benpensanti, che si affrettano a definirlo una utopia, una follia. E fanno i dovuti scongiuri.

La riduzione delle imposte è ora diventata l'idea fissa del liberalismo economico che vorrebbe riaprire la strada - sempre più accidentata - allo sviluppo industriale alleggerendo le imposte a ricchi, capitalisti e finanzieri. Quanto al proletariato, ai lavoratori che secondo questi benefattori dovrebbero elevare canti di gioia al solo annuncio di una promessa di riduzione delle tasse (ma perché mai non lo fanno? perché sono così diffidenti, addirittura ostili? - si chiede il Cavaliere angosciato), una cosa è certa: "Il proletariato viene spinto un gradino più in basso ad ogni nuova imposta; l'abolizione di una vecchia imposta non eleva il salario ma il profitto". Lo diceva Marx 150 anni fa e lo verifichiamo oggi, sulla nostra pelle. Intanto, l'esaltato "taglio" delle tasse dovuto al primo modulo della riforma 2003 ha ridotto - si dice - il gettito di 4,7 mld di euro. La copertura finanziaria di tali mancate entrate prevedeva incassi di 3,7 mld nel 2003 con misure una tantum e con la mancata restituzione del famoso fiscal drag. Ma oltre ad aver già creato un buco di un miliardo, questi 3,7 mld una tantum verranno a mancare del tutto nel 2004. Di quella riduzione delle tasse nessuno di noi s'è concretamente accorto e per di più dovremo riempire domani i nuovi buchi di bilancio.

C'è chi mette le mani avanti, a cominciare dall'opposizione che teme un collasso generale delle finanze statali, cosa che - da bravi democratici borghesi carichi di "dello Stato" - non potrebbero mai permettere. Nella stessa maggioranza, qualcuno si azzarda ad accusare di "qualunquismo, demagogia e populismo chi parla di tagli alle tasse senza avere in mano i conti" (Udc). Le frecciate vanno al premier Berlusconi che, animato da spirito reaganiano, si aggrappa alla riduzione nella speranza che ne derivi un rilancio dei consumi e di un aumento del Pil e con la certezza di incrementare ancora il suo già consistente patrimonio personale e dei suoi amici. Lo segue una corte di apprendisti stregoni, i quali rincorrono scenari che solo fra quattro anni - nel migliore dei casi e ipotizzando una crescita dell'Azienda Italia - potrebbero dare al massimo un aumento di mezzo punto del Pil (Fonte: Cer - Prometeia - Ref).

La realtà fa a pugni con le promesse filantropiche di governi e opposizioni (destra, centro e sinistra borghese). Come imbonitori nelle fiere paesane tutti avevano promesso vacche grasse: circolano invece animali affamati, ridotti a pelle e ossa. Diamo la parola all'Istat che in questo caso rischia di esser visto da Berlusconi come un Soviet di statistiche: la pressione fiscale nel 2003 è aumentata dal 41,9 al 42,85%. Si tratterebbe - si dice - di un aumento dovuto in parte alle entrate per sanatorie, condoni e scudo fiscale. Ma ecco gli ultimi dati del rapporto annuale Ocse, che segnala più alte percentuali: dal 42,6 al 43,4%. Concordano tutti nel segnalare una diminuzione delle imposte sui redditi alti e sui patrimoni (in 20 anni le aliquote massime sono passate dal 60 al 40%), e quelle sulle società dal 45-50 al 35-40%. Sono diminuite l'Irpeg e le imposte sui capitali, come "à per essere competitivi", ma sono aumentata l'Irpef (+ 2,65%) e le imposte indirette (+ 1,8% nel 2003): Irap, Ici, accise sugli oli minerali, imposte su energia elettrica, ecc. (dati Istat). L'Irpef cresce grazie alle addizionali locali comunali, volte a coprire le decentrate spese sanitarie, con deficit che - ridotti i trasferimenti dello Stato alle Regioni - continuano a peggiorare. Cifre ufficiali alla mano, risulta che dal 2002 al 2003 l'addizionale regionale è aumentata del 24% e quella comunale del 43%, per un totale di 6,1 mld di euro nel 2002 e di 7,6 mld nel 2003. In aggiunta anche gli altri balzelli: Irap (33,6 mld), tassa rifiuti, Tosap, tariffe, Ici (10 mld di euro) ecc. Oggi,2004 - dopo una sospensione degli aumenti di imposte a favore degli enti locali temendo una sollevazione generale, ma continuando però a diminuire i trasferimenti statali a Regioni e Comuni - l'illusione di un momento di respiro per tutti noi svanisce di fronte al fatto che sindaci e governatori riducono o tagliano le spese per servizi pubblici in attesa del via per altri aumenti di imposte locali nel tentativo di evitare la bancarotta. Figuriamoci di fronte ad una eventuale riduzione fiscale di poche decine di euro per fasce di proletari, mentre per gli oltre 500 mila redditi supermilionari che circolano ufficialmente nel nostro Bel Paese si prospettano sgravi di decine di migliaia di euro a testa. Come sempre accade, in questa società di sfruttatori e di sfruttati, per i secondi è inevitabile il passaggio dalla padella alla brace.

Davide

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.