Finita la guerra è l'ora del bottino

Non era mai successo nella recente storia dell'imperialismo, dalla fine della seconda guerra mondiale, che una potenza capitalistica operasse a suo piacimento sul terreno del perseguimento dei propri interessi, al di fuori e contro qualsiasi regola del diritto internazionale, producendo una serie di giustificazioni le cui falsità e menzogne sono pari solo all'enorme potere mediatico che le propone e al monopolio dell'arroganza della forza che le sorregge.

Certamente il crollo dell'Urss ha aperto praterie sconfinate alle scorribande militari americane. Il processo di riaggregazione imperialistico europeo e russo è ancora lontano dall'essere completato, sia sul terreno politico sia su quello militare. Facile dunque piegare gli alleati e gli avversari alle proprie necessità, un gioco da ragazzi inventare le scuse più false proponendole come verità assolute, lecito far passare le opposizioni a questa guerra, che pur ci sono state e consistenti, come rigurgiti di anti americanismo tanto pretestuoso sul terreno ideologico quanto crudele su quello morale dopo i fatti dell'11 settembre.

Tutti i grandi predatori della storia, pur giovandosi della superiorità militare, pur facendo della forza l'arma vincente, hanno dovuto inventare scuse e giustificazioni ai propri misfatti, e i predatori di Washington non hanno fatto diversamente.

Di Saddam si è affermato che fosse un pericolo per l'umanità intera perché in condizioni di produrre la bomba atomica. Menzogna perché già dal 1981 i suoi impianti di ricerca sono stati distrutti da Israele.

Si è proclamato, sull'onda emotiva dell'11 settembre, che il regime iracheno avesse avuto e mantenesse rapporti organici con la rete di Al Qaeda. Talmente falso e politicamente improponibile che gli stessi servizi segreti britannici prima, e la Cia poi, hanno dovuto smentire i rispettivi governi.

Il terzo livello di accusa riguardava la detenzione di armi a distruzione di massa, chimiche e batteriologiche, che il dittatore di Baghdad aveva usato ai tempi della guerra con l'Iran e contro la sua stessa popolazione di origine curda. Tutto vero ma ci si dimentica che le armi chimiche, in possesso di Saddam negli anni ottanta sino alla guerra del Golfo, sono state fornite dai paesi occidentali con particolare riferimento all'Inghilterra e agli Usa che le inviavano direttamente dagli stabilimenti del Maryland. I responsabili Onu, Al Baradei e Hans Blix non hanno trovato assolutamente nulla ma la guerra è partita ugualmente. Lo stesso Blix, a guerra conclusa, ha denunciato, in un'intervista rilasciata alla BBC, di aver ricevuto pressioni e false informazioni dagli Americani. Può essere che le armi chimiche le trovino, in quanto avanzi delle loro forniture o di fabbricazione irachena su ricetta americana, e in ogni modo occorre del tempo, quello necessario a costruire le eventuali prove, ovviamente senza la presenza di Blix o di altri osservatori neutrali.

L'ultima frontiera della menzogna, quella che in altri contesti e con il sufficiente distacco temporale, avrebbe fatto sorridere chiunque, è stata quella della esportazione della democrazia, contro il regime dittatoriale di Saddam per la liberazione del popolo iracheno, e qui siamo alla farsa. Primo perché gli Usa, così attenti al centesimo, mai e poi mai avrebbero investito decine di miliardi di dollari per liberare chicchessia, secondo, quando i dollari li hanno investiti lo hanno fatto finanziando e armando le più feroci dittature latino americane degli anni settanta e ottanta, la Grecia dei Colonnelli alla fine degli anni sessanta e buoni ultimi, i Talebani con il loro corollario di morte e di negazione dei diritti civili, prima di liberarsene ancora una volta con la forza, quando la loro permanenza al governo dell'Afganistan era d'impedimento alle politiche petrolifere del Caspio.

Non si era nemmeno mai data una situazione paradossale come quella che vivono gli Stati Uniti negli ultimi decenni. La loro economia, al di là delle crisi cicliche che la squassano come il resto dell'economia mondiale capitalistica, è andata progressivamente assumendo i caratteri del parassitismo finanziario. Pur restando la maggiore potenza produttiva al mondo, il suo Pil è di 9.882 mld di dollari, il doppio di quello del Giappone, cinque volte quello della Germania e nove volte quello dell'Italia, è il paese più indebitato al mondo. Questi dati del 2002 emessi dallo stesso Governo americano recitano che il debito pubblico è di 7.300 mld di $, quello estero è salito a 3.400 mld, il deficit nella bilancia dei pagamenti con l'estero sfiora i 500 mld. Il complesso dell'economia privata è esposto nei confronti delle banche e dei vari istituti di credito per 14.000 mld. Anche il consumo privato è drogato dai debiti, l'esposizione debitoria delle famiglie è di 7,700mld.

A queste cifre, che hanno dell'incredibile, vanno aggiunti altri due dati, il governo americano ha bisogno di due miliardi di dollari per il suo fabbisogno giornaliero di spese ordinarie e straordinarie (spese civili e militari) a fronte di entrate che non superano il miliardo e trecento milioni di dollari. In termini semplici si potrebbe affermare che la società americana nel suo complesso vive ben al di sopra delle sue possibilità, e che per il momento la giostra gira, alla sola condizione che l'economia Usa continui a pompare dall'estero sempre maggiori quote di capitale, cioè di valore, in altre parole di plus valore prodotto altrove, attraverso il debito pubblico, con l'invenzione dei più sofisticati strumenti finanziari, imponendo il dollaro quale coefficiente universale di scambio tra le merci per tutti gli atti di compra - vendita delle materie prime, di tecnologia e di petrolio, con l'imposizione delle teorie liberiste nei confronti dei paesi terzi e proteggendo il suo mercato interno dalla concorrenza estera, con la forza delle armi su qualsivoglia mercato, preferibilmente quello petrolifero, quando occorre.

È un'economia sempre più parassitaria che ha assolutamente bisogno di due cose, che il flusso di capitale finanziario proveniente dall'estero continui, e che il petrolio, materia prima energetica strategica sia sotto il suo controllo. Sul primo fronte occorre mantenere il ruolo del dollaro quale divisa principale negli scambi internazionali, attirare la speculazione internazionale verso i titoli di stato americani, ma anche impedire con tutti i mezzi, quello del ricatto e della forza compresi, che l'area dello Yen rimanga sotto il controllo di quella del dollaro, che quella del rublo, nel settore dell'Asia centrale, non decolli soprattutto grazie alla sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e di petrolio, e che l'Euro, che già tanti problemi sta creando al dollaro, venga ridimensionato o messo in condizione di non nuocere ulteriormente.

Se il flusso dei capitali, che oggi affluiscono all'interno dell'economia americana prendesse un'altra strada, per la potenza americana scoccherebbe l'ora della bancarotta e del declino economico sociale. I Fondi pensione si ridurrebbero a una questione finanziaria domestica, la speculazione internazionale, orientandosi su altre divise, deprimerebbe il dollaro togliendoli quel ruolo di bene di rifugio monetario che oggi svolge, i titoli di stato americani si ridurrebbero ad obiettivo di risparmio del piccolo speculatore e non ci sarebbero più capitali a sufficienza per sostenere il debito che a sua volta funge da volano per l'economia pubblica e privata, per gli armamenti e per la superiorità imperialistica degli Usa. O il trasferimento di valore dalla periferia dell'impero verso il suo centro continua, oppure, se questo trasferimento diminuisce o si inceppa, ne va della sopravvivenza di tutta la struttura economico finanziaria della più grande potenza capitalistica dell'ultimo secolo.

Sul secondo fronte, quello petrolifero che in parte sorregge e contribuisce a determinare il primo, si sono combattute tre guerre, due in Iraq, una in Afganistan, e la vicenda non sembra essere chiusa viste le minacce all'Iran e i ripensamenti nei confronti dell'ex alleato di ferro, l'Arabia Saudita. Petrolio significa innanzi tutto garantirsi l'approvvigionamento energetico. Il suo controllo su scala planetaria consente agli Usa di contribuire a determinarne le quantità di estrazione e il prezzo di vendita, di stabilire a chi darlo e a chi non darlo; di escludere l'Europa, la Russia e la Cina da autonomi approvvigionamenti se non per mercati secondari. Gli permette di continuare a mantenere il dollaro quale divisa degli scambi petroliferi, e quindi anche sugli altri mercati commerciali e finanziari, incrementando la rendita parassitaria. Così facendo si relegherebbero le altre divise, Euro innanzi tutto, a ruoli regionali o di area, non consentendo loro di giocare con efficacia una partita in termini di competitività con il dollaro.

Il petrolio e il controllo dei suoi prezzi di commercializzazione concorrono anche a controllare i flussi e l'entità delle masse monetarie che giornalmente si spostano da un'area economica all'altra, ciò significa influire suoi costi di produzione delle merci e sui macro meccanismi di appropriazione dei petro dollari, e più in generale per le ragioni prima espresse, della rendita parassitaria. Questo e non altro è lo scenario che fa da sfondo alla recente guerra in Iraq. Se si tiene in debito conto che la campagna petrolifera dell'Afganistan non ha prodotto per il momento gli effetti sperati, pacificazione della società quale condizione per costruire la pipe line che dai giacimenti del Kazakhistan dovrebbe portare il greggio sulle sponde dell'oceano indiano, che il Venezuela, rifornitore degli Usa per il 14,7% del suo fabbisogno energetico e che l'Arabia Saudita con il suo 15% è il maggiore fornitore degli Usa non danno più le garanzie di una volta, e che infine le proiezioni sui giacimenti iracheni non sfruttati, pari a 122 miliardi di barili ne fanno il secondo paese petrolifero al mondo, si comprende come mai gli Usa abbiano fortemente voluto questa guerra contro tutto e tutti.

Inoltre, e in barba alla tanto sbandierata autosufficienza energetica degli Usa, a giustificazione del fatto che, non avendo interesse alcuno a mettere le mani sul petrolio iracheno poiché autonomi, l'unica ragione che avrebbe spinto l'esercito imperiale a scendere bellicosamente in campo, sarebbe stata solo ed unicamente la volontà di portare la democrazia in una terra di dittatura e di negazioni dei diritti umani. Nulla di più falso, talmente falso da sfiorare il ridicolo.

Secondo gli stessi dati forniti dal Doe (il dipartimento americano che si interessa delle questioni energetiche e che dipende direttamente dal governo) l'economia americana è sempre più esposta al petrolio estero per i suoi fabbisogni energetici. La violenta progressione della sua esposizione ha tolto il sonno a più di un'amministrazione. Sul finire degli anni sessanta, l'autosufficienza riguardava il gas naturale, mentre per il petrolio l'economia americana doveva importarne circa il 12% del suo fabbisogno. Ne 73 si sale al 35%, nel 2001 al 54%. Di cui, come si è già detto, il 15% dall'Arabia Saudita e il 14,7% dal Venezuela, paesi non più affidabili politicamente e quindi un rischio energetico per gli Usa. Sempre secondo il Doe, con un incremento medio dell1,3% all'anno e un diminuzione dello 0,7 della scorte domestiche, nel 2020 la dipendenza dell'economia americana dal petrolio estero sarà del 67%.

Gli Usa sono da sempre i maggiori consumatori di petrolio e dei suoi derivati, attualmente bruciano l'equivalente dell'intera produzione Opec, mentre le loro scorte vanno progressivamente in esaurimento, soprattutto quelle del Texas. Le uniche che garantistico un futuro per i prossimi decenni sono quelle dell'Alaska ma coprono a mala pena il 35% del fabbisogno interno. Ecco perché l'Iraq è rientrato nel mirino dell'amministrazione Bush, adesso e subito e con la più brutale delle aggressioni imperialistiche. Tutto il resto, giustificazioni comprese, fa parte del solito bagaglio di menzogne e giustificazioni che come dei parassiti ideologici accompagnano le guerre.

La guerra si è conclusa sulla base di quelle istanze che proditoriamente ne sono state alla base. Il regime iracheno doveva essere abbattuto e l'obiettivo è stato raggiunto. Mentre negli anni passati, la sua permanenza al potere giustificava la presenza militare americana nell'area, oggi occorreva mettere direttamente le mani sul secondo giacimento perlifero mondiale, e questo obiettivo non poteva che passare per l'abbattimento del regime di Saddam Hussein.

La Francia, la Germania e la Russia non avranno nessuna possibilità di accedere al petrolio iracheno nemmeno sulla base di vecchi contratti sottoscritti con il vecchio regime. Per la Russia il discorso potrebbe essere leggermente diverso se il suo governo ha stabilito con Bush un qualche accordo sotterraneo di cui si parla da tempo.

L'Onu come da programma, e nonostante le promesse di Bush e di Blair di un ruolo vitale nella ricostruzione della società irachena, sarà completamente emarginato. Al massimo gli sarà concesso di gestire l'emergenza umanitaria che l'indaffarato governo americano, teso al processo di distruzione e devastazione bellica, non ha mai preso in considerazione sia perché non è mai rientrato nei suoi programmi, sia perché costa, meglio quindi che sia la comunità internazionale a pagare. Il governo Bush non vuole tra i piedi nessuno, tantomeno un organismo internazionale che possa dire la sua in materia di ricostruzione e gestione del petrolio. L'Iraq è mio e me lo gestisco io, ci sembra di sentire risuonare il ritornello dai saloni della Casa Bianca.

Nei fatti il primo progetto di gestione transitoria dell'Iraq prevede un pro console americano responsabile di tutto quanto abbia attinenza con le questioni economiche e militari. I soldati presidiano il territorio compiendo operazioni di polizia e di repressione nei confronti di tutta la popolazione, sparando anche sulla folla al minimi accenno di ribellione o di insofferenza. A Nord nella zona curda il governo americano ha mandato un contingente di polacchi, neo asserviti all'imperialismo americano in cambio di un posticino nella Nato, innocui e fedeli servitori con il compito di far risparmiare uomini e mezzi all'esercito imperiale. A sud in zona sciita, molto più nervosa e pericolosa ma non importante da un punto di vista strategico ed economico, ci hanno mandato gli alleati britannici quale giusto compenso alla loro fedeltà.

Al centro nella zona nevralgica di Baghdad, con l'estensione a Kirkuk e Mosul, dove guarda caso si estrae il 70% del petrolio iracheno e da dove partono tutti gli oleodotti per la sua commercializzazione, si sono insediati gli americani. Stando alla barzelletta che questa guerra sia stata combattuta all'unico scopo di portare la democrazia al popolo iracheno, verrebbe da pensare che proprio nella zona di Kirkuk e Mosul, ce ne fosse più bisogno che da altre parti, ma è solo un'impressione dettata da un eccesso di zelo democratico.

Sempre per rimanere in termini di democrazia, il governo americano ha concesso alla compagnia energetico petrolifera Halliburton, di cui sino al 2000 Dick Cheney è stato amministratore delegato, e che ancora oggi percepisce dalla sua ex società un emolumento di un milione di dollari all'anno, non si sa bene a quale titolo, i maligni sospettano per favorirla, ma sono soltanto dei maligni e invidiosi, la licenza per la manutenzione degli impianti, per l'estrazione e la commercializzazione del petrolio iracheno.

Per il futuro prossimo l'amministrazione Bush prevede di pagarsi le spese di guerra con i proventi del petrolio, di ricostruire le strutture e infrastrutture funzionali, non al paese ma ai propri interessi economici, ancora con il solito petrolio per poi gettare le basi del suo intero controllo in termini di estrazione e di commercializzazione. Potrebbe riaprire l'oleodotto che da Mosul portava petrolio in Palestina, chiuso dagli Iracheni nel '48 all'atto della nascita dello stato di Israele. La mossa avrebbe una doppia valenza, la prima di avere già a disposizione e su di un territorio amico, una via di commercializzazione verso il Mediterraneo, la seconda di avere una carta in più da giocare sul tavolo del conflitto arabo israeliano nel momento in cui fosse necessario rimettere mano all'antica questione nei termini confacenti alle necessità della pax americana e dei suoi interessi strategici nell'area.

Detto ciò va sottolineato come anche il più potente degli imperialismi trovi sul suo cammino ostacoli di ogni genere, primo fra tutti le popolazioni e le classi che sono l'oggetto della sua arroganza. Dopo la caduta di Baghdad la popolazione irachena non solo non ha inneggiato ai liberatori, in quanto chiara e sin troppo evidente era la sensazione che l'esercito di Bush fosse più simile ad un predatore che a un liberatore, ma ha fortemente richiesto l'immediato allontanamento delle truppe americane, ha rivendicato il diritto di darsi le proprie istituzioni di governo, e soprattutto, ha insistito sul fatto che il petrolio, dono di Allah alle popolazioni arabe, dovesse rimanere nelle mani di chi lo possiede e non di coloro che ne vorrebbero il controllo se non il possesso.

Non passa settimana che nei grandi centri urbani come nei piccoli paesi della provincia non ci sia una manifestazione anti americana, Sciiti e Sunniti hanno manifestato assieme sia a Bassora sia a Baghdad. Si stanno moltiplicando gli episodi di agguati e di attentati nei confronti di soldati e di postazioni militari americani. In alcuni casi folle inferocite, affamate, alla ricerca di qualcosa da poter mettere nello stomaco invocano alla amministrazione militare americana di distribuire acqua e generi alimentari di prima necessità. La risposta è nulla e in alcuni casi, quando le masse si fanno più minacciose, i militari sparano sulla folla rinfocolando odio e tensioni.

La giusta rabbia delle masse è, allo stato attuale delle cose, lasciata politicamente a se stessa o incanalata nelle organizzazioni del nazionalismo islamico. La strada di una ripresa della lotta di classe, per le vicende interne che internazionali, è ancora lontana e piena di ostacoli. Manca un partito, sia pur piccolo, manca un programma politico, mancano tutte le condizioni perché da una situazione di crisi devastante dovuta alla prima guerra, a 12 anni di embargo, alla recente seconda guerra, la rabbia per la mancanza di tutto possa trasformarsi in un inizio di processo politico in senso classista. L'assenza di tutte queste condizioni non deve però lasciare campo libero all'integralismo islamico, alle sue pratiche di feudale conservazione in sede economica e politica, al suo nazionalismo teocratico. Compito elementare delle sparute avanguardie di classe in loco, nell'area, come nei centri del capitalismo avanzato, è quello di contribuire alla loro formazione fuori e contro ogni tentazione di assecondare movimenti che non solo non appartengono né al presente né al futuro del proletariato, ma ne sono la negazione in termini di aspirazione di prospettive di lotta, perché altro non sono che la tomba della ripresa della lotta di classe in senso rivoluzionario.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.