Successo di misura della SPD e dei verdi in Germania

Per una manciata di voti la sinistra ha vinto le elezioni in Germania. I socialdemocratici di Schröder con i verdi di Fischer hanno totalizzato il 47,1 per cento, contro il 45,9 per cento dei democristiani di Stoiber in coalizione con i liberali. Decisivo è stato l'apporto dei verdi, andato oltre le aspettative, che hanno guadagnato l'8,6 per cento. Al contrario hanno deluso i liberali che si sono fermati al 7,4 per cento. Per raggiungere la maggioranza parlamentare, il meccanismo elettorale tedesco prevede una specie di premio per i raggruppamenti maggiori che si spartiscono le quote dei partiti che non hanno superato lo sbarramento del 5 per cento.

Il risultato delle urne è stato mal digerito dalle destre internazionali, sicure che un governo amico si sarebbe insediato al potere in uno dei più importanti paesi del mondo. Viceversa, il cosiddetto popolo progressista ha tirato un sospiro di sollievo, stimando che finalmente è stato posto un argine all'ondata di piena della destra xenofoba e reazionaria, considerata una seria minaccia per le istituzioni democratiche.

Non c'è dubbio che negli ultimi anni, soprattutto a destra, il proscenio politico ha presentato personaggi inqualificabili, l'Italia è l'esempio più eclatante con Berlusconi e compari, ma va comunque sottolineato che nella sostanza chiunque deve gestire i rapporti di produzione borghesi ha di fronte a sé scelte obbligate. Infatti, in ogni nazione i governanti di turno, nessuno escluso, una volta al timone della macchina statale si sono preoccupati di predicare sacrifici e adottare misure politiche tutte incentrate a colpire il proletariato per sostenere l'economia capitalista sempre più in difficoltà.

Il bilancio dei primi quattro anni di governo rosso-verde in Germania segue perfettamente questo schema. È stato chiesto di stringere la cinghia in cambio di prospettive più rosee, soprattutto nella ex Germania orientale dove l'unificazione ha comportato enormi problemi per la popolazione. Ebbene, i risultati del primo mandato dicono che i disoccupati sono oltre quattro milioni, malgrado il mercato del lavoro sia stato deregolamentato a favore dei padroni, diminuendo l'indennità di disoccupazione per costringere i senza lavoro ad accettare qualsiasi impiego precario e sottopagato. Anche sul fronte della spesa sociale sono stati tagliati beni e servizi di cui godeva la collettività. Nei mesi scorsi questa situazione è stata sottolineata dalle proteste e dagli scioperi dei lavoratori.

Il programma attuato dal governo, dunque, non si discosta da qualsiasi altro progetto borghese e conservatore, anzi Schröder raccomandava prima delle elezioni un ulteriore spostamento verso il centro prendendo ad esempio il suo collega inglese Blair. Da anni per conquistare o mantenere il potere, lo sport preferito dalla sinistra borghese nei vari paesi è di volere apparire agli occhi dei rappresentanti del capitale come innocui centristi spogliati della benché minima veemenza anche solamente verbale e di facciata. Tale sbracamento non avrebbe dato frutti, le previsioni sino a non molto tempo fa davano nettamente vincente Stoiber, se le circostanze e la buona sorte non avessero lavorato a favore della coalizione rosso-verde.

Prima l'alluvione nel nord Europa, che ha colpito pesantemente la Germania, ha fatto riemergere l'annosa problematica ambientale, cavallo di battaglia dei verdi, mentre i tragici eventi hanno evidenziato la totale incompetenza e sensibilità sull'argomento della destra di Stoiber. Poi, cosa determinante, l'opposizione alla guerra contro l'Irak che Bush vuole a tutti i costi, ha fatto pendere il piatto della bilancia a favore della maggioranza quel tanto che bastava per ribaltare il pronostico.

Dietro quest'ultimo fatto non c'è un colpo di genio o il grande coraggio contro l'arroganza americana di Schröder o di Fischer, anche se certamente un calcolo elettoralistico c'è stato, ma la coscienza borghese che gli interessi nazionali, in questo caso legati alle fonti energetiche e al petrolio in particolare, vanno in direzione opposta rispetto a quelli del grande predone yankee. Consapevolezza caratterizzante la sinistra europea in generale, senza addentrarci qui nelle motivazioni storico-culturali, di una visione più lucida e lungimirante rispetto alla rozzezza dell'attuale destra.

Il pericolo di un nuovo coinvolgimento in una guerra al carro della Casa Bianca ha polarizzato l'interesse elettorale, e malgrado l'astensionismo prevalentemente di sinistra, la Spd ha perso 1,7 milioni di suffragi rispetto alle votazioni del 1998, le polemiche tra Berlino e Washington hanno dato i loro frutti. Oramai vasti settori di opinione pubblica internazionale, anche quella più prudente e accomodante, fa fatica a sopportare la costante prepotenza americana su qualsiasi questione.

Se da un lato la Germania, e in un quadro più ampio l'Europa, dovranno vedersela con gli Usa su un piano di contrapposizione interimperialistico, per quanto riguarda le politiche interne dei singoli paesi esse continueranno a essere improntate su manovre finanziarie di risanamento di bilancio per rispettare i limiti del Patto di Stabilità dell'euro, ovvero quell'insieme di misure avente per scopo la riduzione della spesa pubblica e dei salari, e di sostegno alla competitività del capitale nazionale.

Quanto fatto sinora dal governo è solo l'inizio, tutto sommato i livelli dello stato sociale sono ancora apprezzabili in Germania rispetto ad altri paesi, dove più pesantemente si è abbattuta la scure dei tagli. Però la direzione di marcia è quella ed è annunciata nei piani governativi per i prossimi anni. Per quanto riguarda il presunto pacifismo, è solo una questione di convenienze, di nuovi obiettivi in fase di consolidamento e di tempo. Ricordiamoci che nel 1999 il governo con il verde Fischer ministro degli Esteri, approvò l'intervento militare e fu partecipe insieme agli alleati dei bombardamenti contro la Serbia.

Il pacifismo borghese serve a mascherare, sino a quando le condizioni non sono mature, la natura guerrafondaia del capitale. Esso è figlio del capitalismo, ostile alla lotta di classe, e pronto a imbracciare il fucile appena la patria in pericolo chiama.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.