Ultime dal riformismo - La via elettorale al "comunismo" del prof. Negri

Sul numero di agosto di Le Monde Diplomatique, per molti aspetti organo ufficiale del neoriformismo, è apparso un articolo del professor Antonio Negri dal significativo titolo "Rifondare la sinistra italiana".

Che le nuove circonvoluzioni intellettuali negriane fossero, di fatto, diventate la fonte da cui Rifondazione Comunista attinge teoria e prassi, non eravamo solo noi a pensarlo e l'articolo in questione, anche nel titolo, conferma questo punto di vista. Così come conferma il totale "sbracamento" riformista di Negri e della sua scuola di pensiero. Non che un tempo si collocassero su di un terreno coerentemente rivoluzionario, al contrario; il loro radicalismo verbale mascherava una sostanza politica di stampo radical-riformista, ma non certamente comunista, che contribuì a deviare prima e a disperdere poi - vanificandola - una genuina rabbia anticapitalista che alimentava la generosissima disponibilità alla lotta di tanti compagni (e compagne) dentro e fuori i luoghi di lavoro. Tuttavia, se la memoria non c'inganna, mai avremmo potuto scorgere nei fiammeggianti documenti dell'Autonomia Operaia degli anni settanta la preoccupazione di rivitalizzare il sindacato (nelle sue componenti di sinistra...) e la democrazia borghese, pervertita - testuali parole - dal governo di centro-destra di Berlusconi. Invece, in quell'articolo c'è questo ed altro ancora, tra cui una rilettura, se così si può dire, della storia nonché della natura e del ruolo del PCI e del sindacato in quasi sessant'anni di Italia repubblicana. Per esempio, il professore fa la stupefacente scoperta, a proposito di Genova, che "per la prima volta nella storia d'Italia, la polizia ha agito senza alcun ritegno"; evidentemente, l'illustre intellettuale dimentica o fa finta di dimenticare le centinaia di morti e feriti proletari (braccianti, operai, ecc.), ma anche studenti, lasciati sulle piazze dalle democratiche forze dell'ordine repubblicano, senza tenere conto delle botte e della galera distribuite "senza ritegno" a proletari e studenti in lotta. Le sanguinose repressioni di Napoli e Genova 2001 sono sì una manifestazione di inquietudine della borghesia di fronte ai primi timidi e politicamente molto confusi segnali di ribellione provenienti da strati sociali proletari o in via di proleta-rizzazione, tuttavia non costituiscono per niente una novità. È proprio il caso di ricordare al "nostro" professore che l'uso della violenza - anche estrema - da parte della borghesia non è per nulla un evento eccezionale, ma è parte integrante e permanente del sistema di dominio capitalistico?

Ma se vogliamo procedere con un po' d'ordine in questo vero e proprio campionario del neoriformismo, partiamo proprio dalla valutazione del movimento no-global e dai fatti di Genova espressa nell'articolo in questione.

Secondo Negri, l'estate del 2001 avrebbe aperto un nuovo "ciclo di lotte di lotte ininterrotte tanto contro la guerra quanto contro dosi via via più forti di neoliberismo nella società italiana. Genova ne è stato il fondamento e continua a funzionare da punto di riferimento". Questo "ciclo di lotte" avrebbe addirittura scosso dall'apatia burocratica la CGIL, che, per non perdere il contatto (o per instaurarlo) con le giovani generazioni operaie, sarebbe stata costretta a scendere sul "sentiero di guerra" contro il neoliberismo impersonato da Berlusconi e degni compari. La prima tappa di questo fantomatico "ciclo" si sarebbe quindi conclusa con la grande manifestazione promossa dalla CGIL il 23 marzo scorso. Purtroppo per Negri, questo discorso fa acqua da molte parti. Infatti, se è vero, come diciamo qualche riga addietro, che Genova è stata per molti aspetti la più significativa esplosione di una rabbia serpeggiante in certi settori del proletariato (specie giovane) e "zone limitrofe"; se è vero che nei luoghi di lavoro sembrano incrinarsi il fatalismo e la rassegnazione con le quali, finora, la classe operaia e salariata ha subito le pesanti mazzate provenienti da padroni e governo, con la complicità attiva del sindacato confederale, è però altrettanto vero che è ben difficile qualificare gli scioperi di questo ultimo anno come un vero e proprio "ciclo di lotte", anche se sono costati non pochi sacrifici a chi li ha fatti.

Perché diciamo questo? Perché, in linea di massima, gli scioperi, cioè i lavoratori, sono rimasti strettamente sotto il controllo confederale prima e della CGIL poi, senza mai collocarsi, nemmeno per un momento, in una reale prospettiva di lotta anticapitalista. I metodi e gli obiettivi perseguiti sono sempre stati quelli tipicamente sindacali: scioperi spezzettati, prima di arrivare a quello generale - e, in ogni caso, annunciati con grande anticipo - ma per il "rilancio degli investimenti e dell'occupazione" (nel quadro, cioè, dell'economia capitalista), per la "difesa dei diritti", quali l'articolo 18, senza mai accennare al fatto, ovviamente, che altri "diritti", non meno importanti, erano già stati calpestati mille volte dagli stessi sindacati. E difatti, mentre i confederali e la CGIL portavano avanti queste "lotte", continuavano a firmare i soliti vergognosi contratti di categoria o i non meno truffaldini accordi intercategoriali, come quello del pubblico impiego (a proposito: che fine ha fatto il contratto?). Che la CGIL abbia lanciato una nuova stagione di "lotte" per non allontanarsi dai giovani precari e non invece (essenzialmente) per giochi del e nel centro-sinistra (in ogni modo, mai per obiettivi di classe), lo può vedere solo chi non ha la capacità di inquadrare correttamente la natura e il ruolo dei partiti di sinistra e del sindacato. È appunto il caso di Negri, anche se, visto quello che diceva un tempo, fa un certo effetto sentirgli sentenziare, a proposito del vecchio PCI, che i "postcomunisti [...] a partire dagli anni 1970 hanno represso i movimenti sociali, soffocato i sindacati, burocratizzato la rappresentanza parlamentare...". Il PCI stalinizzato e i suoi degni eredi hanno sempre represso i movimenti sociali, da un bel pezzo il sindacato ha smesso di essere il difensore dei lavoratori: chi ha qualche dubbio, vada a vedere, per esempio, ciò che i sindacati e i partiti di sinistra hanno concretamente fatto negli anni della "ricostruzione" dopo la seconda guerra mondiale; quanto poi alla burocratizzazione della rappresentanza parlamentare, beh, sinceramente, è l'ultima cosa chi ci può far perdere il sonno, se non per il troppo ridere...

Ma Negri, pur riconoscendo dignità e rispettabilità alla CGIL, ritiene che questa organizzazione soffra di un handicap che la rende inabile ad aggregare il nuovo "soggetto sociale", rappresentato dal precariato - meglio se "cognitivo" (?!) - e dai poveri: in poche parole, Cofferati e soci sarebbero troppo imbevuti di cultura operaista, quindi incapaci di vedere che la classe operaia non può più essere "portatrice di valori 'egemonici'". Ecco allora che dal cilindro (lo stesso di Bertinotti) estrae il decrepito coniglio del "nuovo" progetto politico: la nascita di un organismo che, raggruppando i movimenti, la sinistra sindacale e tutti coloro che si oppongono al "mercato mondia-lizzato" (e a quello di quartiere?, n.d.r.), sia in grado di recuperare i delusi, gli schifati della sinistra, cioè una fetta notevole dell'astensionismo, per rivitalizzare la partecipazione elettorale, la democrazia borghese e il welfare state. Cittadinanza universale, reddito di cittadinanza, mercato equo e solidale, rispetto dell'ambiente, insomma tutto il baraccone illusionistico del moderno riformismo, anche in versione radicale; ma, se non altro, Negri ha il pregio di chiamarlo col suo borghesissimo nome, cioè welfare state, appellativo che i discepoli del professore rifiutano sdegnosamente, perché probabilmente il discorso perderebbe di appeal, di fascino, agli occhi dei giovani "incazzati" sociali.

Invece, bara sapendo di barare, là dove tira in ballo Marx, distorcendolo - è un vecchio vizio, del resto... - quando afferma che questo programma di "cittadinanza universale", di "una repubblica fondata sulla più larga cooperazione possibile dei cittadini e sullo sviluppo di beni comuni" sarebbe una fase "più avanzata della rivoluzione comunista [...] un programma di 'democrazia assoluta' come lo avrebbe detto Spinoza e come si augurava Marx". Del filosofo di Amsterdam in questa sede non ci importa; ma, per quanto riguarda Marx, è un fatto incontestabile che abbia mosso i primi passi di rivoluzionario proprio criticando alla radice i concetti di democrazia borghese e di cittadinanza (altrettanto borghese): dove i fondamenti della società sono lo sfruttamento e l'oppressione, dove cioè non possono esistere interessi comuni tra gli esseri umani, democrazia e cittadinanza significano solo inganno e ipocrisia per mascherare il dominio del più forte.

Ma per conquistare una poltrona in parlamento o in qualche consiglio comunale, si sa, non bisogna andare tanto per il sottile; e il 20% dell'elettorato, indicato espressamente da Negri come "target" della "nuova" sinistra, è un boccone decisamente allettante, di fronte al quale qualsiasi politicante non ha scrupoli a raccontare le storie più inverosimili: anche che Marx era un innocuo democratico piccolo-borghese, anche che può esistere un capitalismo buono e riformabile, magari con un 20% alle elezioni.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.