Venezuela: la fine di un'illusione

Giovedì 11 aprile in Venezuela sembrava si stesse rappresentando l'ultimo atto di quello che in altri articoli abbiamo chiamato "la commedia nella tragedia". Un pronunciamento civile-militare aveva rovesciato Chavez e consegnava le "redini del governo" a una giunta militare e padronale guidata dal capo dei capitalisti venezuelani, il signor Pedro Carmona (presidente di Fedecamaras e anche membro attivo della Conindustria, le due principali associazioni capitaliste). A poche ore dal suo insediamento dichiarava annullata la "costituzione bolivariana", scioglieva le camere e i corpi politici del chavismo - così come tutti i meccanismi e le istanze politiche che organizzavano la massa dei suoi sostenitori - annullava le riforme militari, sociali ed economiche del capitalismo di Stato. Venerdì 12, nella notte, la Giunta attraversava già la sua primi crisi e verso la sera del sabato declinava, spirando alla mezzanotte di quel medesimo giorno.

Il colpo di stato contro Chavez ha alcune somiglianze con i rovesciamenti di Jacobo Arbens in Guatemala e di Salvador Allende in Cile: come in Guatemala il golpe contro Chavez è stato in primo luogo mediatico, virtuale, per concretizzarsi in seguito nel colpo di stato reale; e, analogamente al golpe cileno, il rovesciamento di Chavez è stato preceduto da una prolungata e dura campagna di boicottaggio e sabotaggio economico e pubblicitario da parte degli imperialisti yankees e dei loro lacchè locali, che hanno scatenato una grande mobilitazione sociale contro il governo. Non c'è un solo genere di crimine o tradimento del quale Chavez non sia stato incolpato. La sedicente "stampa libera" ha orchestrato una campagna i cui direttori, nascosti dietro le quinte, sono stati la CNN, la CIA e i servizi segreti locali da questa controllati. Il golpe contro Chavez era, dunque, annunciato. Oggi è completamente confermato che esso era stato preparato mesi prima a New York dal governo yankee in una riunione alla quale assistettero i leader di Fedecamaras e Conindustria, con la partecipazione aggiunta dei grandi proprietari terrieri e la copertura "sociale" offerta dall'aristocrazia operaia della CTV (sindacato venezuelano, n.d.r.). Per ragioni di convenienza militare e strategica si è inserito anche l'ultrareazionario governo colombiano.

In termini di popolarità, Chavez ha potuto durare solo finché serviva oggettivamente alla ricostituzione del regime politico borghese distrutto dalle pratiche dei vecchi partiti (AD e COPEI) e al contenimento dello scontento generato dall'evoluzione del capitalismo e dalla corruzione delle amministrazioni clientelari. Ma le sue stravaganze "terzomondiste" e stataliste, che, appoggiandosi al nascente polo impe-rialista europeo e ai conflitti petroliferi innescati dal capitalismo arabo, imitavano i modelli di Castro, Gheddafi e Saddam Hussein, lo hanno condannato agli occhi del polo imperialista egemonico nella regione e a quelli dei potenti gruppi borghesi e proprietari terrieri locali legati ad esso. Agli occhi dei rappresentanti locali del capitalismo, perché i suoi tentativi di riforma agraria con espropriazioni di terre e la loro consegna ai contadini poveri, fecero temere una estensione delle riforme alla gestione dell'industria, il che provocò prima la sua aspra condanna mediatica come "comunista" e, di seguito, il massiccio trasferimento del denaro della borghesia in conti correnti sicuri collocati all'estero. Agli occhi dell'imperiali

smo yankee, perché per quest'ultimo, oggi più che mai, di fronte all'evoluzione della situazione in Medio Oriente e al fantasma di una rivalità europea, il predominio sull'America latina e l'urgenza di riserve e fonti di approvvigionamento - in Venezuela, Colombia e Messico - che gli garantiscano una posizione decisiva sugli equilibri mondiali che concorrono a regolare i prezzi e la rendita petrolifera, sono questioni nevralgiche. Però, il "capo del governo venezuelano" si alienò anche la simpatia iniziale della parassitaria "classe media" e dello strato superiore della piccola borghesia perché minacciava di privarla delle sue fruttuose rendite fondate sul petrolio. Tutto questo, insomma, ha contribuito a frustrare o, quanto meno, ad abbreviare le pretese bonapartistiche del chavismo, che fino a quel momento aspirava a governare e a fare da arbitro al di sopra delle classi e dei loro conflitti, attendendo essenzialmente agli interessi della sua congrega populista e alle voci stridenti della plebe, sul cui effetto dissuasivo voleva far poggiare la sua facoltà di pressione sulla borghesia.

Gli avvenimenti del Venezuela non si possono capire fuori dalle relazioni che determinano l'attuale sviluppo dell'im-perialismo. La disputa per il potere che si svolge oggi tra le diverse frazioni della borghesia è inseparabile dalla contesa mondiale e risponde ai rapporti che la regolano. Chavez impersona, da un lato, ambizioni nazionaliste soffocate dall'imperialismo - e, in questo preciso e limitato senso rappresenta la sovversione dello status-quo nell'area - e, dall'altro, forme di mobilitazione e di democrazia "popolare" di tipo radicale piccoloborghese molto simili al giacobinismo rivoluzionario. Sebbene nelle sue modalità classiche queste forme conducano la "massa popolare" sul terreno interclassista del movimento nazionale democratico, oggi il movimento giacobino non può conquistarsi una base di massa senza scuotere dal loro letargo le forze antagoniste delle classi e produrre livelli non sempre controllabili di polarizzazione sociale, conducendo spesso a urti violenti delle masse impoverite contro i monopolisti e i grandi proprietari terrieri locali.

È necessario, dunque, cogliere nonostante le molte analogie che possiamo incontrare con altri casi storici, la specificità che presenta la dinamica del conflitto sociale e politico in Venezuela. Questa specificità si origina tanto nella combinazione della natura bonapartista del chavismo con i metodi di coinvolgi-mento sociale e di assisten-zialismo simili a quelli impiegati dal capitalismo di stato a Cuba e in alcuni paesi arabi del Nord Africa a del Medio Oriente, quanto nell'estrema acutezza della crisi del capitalismo internazionale, dalla quale deriva una dinamica sociale e politica esplosiva nella periferia, dove il capitalismo trasferisce le ripercussioni più brutali delle sue contraddizioni. Dunque, supponendo che lo scontro aperto dalla rottura sociale e politica approfonditasi in questi giorni abbia tratteggiato più chiaramente i due campi nemici della società e la loro lotta prosegua avanzando verso posizioni inconciliabili, il movimento di massa, oggi più cosciente della sua forza, premerà sempre più verso sinistra? Legato a questo aspetto, in quale direzione si sposterà il governo Chavez? Se cambia indirizzo sociale, corre il rischio di perdere l'appoggio delle masse ed essere alla fine rovesciato. Ora, un cambiamento di direzione politica non si può scartare del tutto, però solo alla condizione di usufruire della mediazione di un presunto arbitro "imparziale" in ambito interamericano - probabilmente l'OSA, Organizzazione degli Stati Americani - che permetta di arrivare a un accordo istituzionale con l'opposizione di destra e questa, in cambio di garanzie per esercitare le sue attività, si impegni a rispettare il governo fino alla fine del suo periodo costituzionale o alla convocazione di nuove elezioni. Questo lavoro è già stato cominciato a livello diplomatico dalla presidenza dell'OSA, però non è ancora finito. Nel caso in cui questa mediazione fosse coronata dal successo, Chavez dovrebbe sospendere bruscamente le riforme e operare in modo aperto come un repressore sociale, distruggendo il capitale politico del suo movimento e del suo proprio futuro.

Sebbene quest'ultima opzione vada guadagnando un buon margine di probabilità, non si può escludere completamente l'accentuazione degli scontri interni, dato che gli appetiti popolari sono stati violentemente risvegliati, con il corrispondente incremento della pressione delle masse per ampliare le realizzazioni sociali del governo. Quindi, anche facendo retromarcia nelle sue politiche più controverse per quietare la borghesia, a Chavez risulterà sempre più difficile sostenere le sue posizioni. È molto probabile che, preso dall'affanno di concludere il suo ciclo politico senza contrattempi e con l'intento di evitare rotture più traumatiche, Chavez si veda obbligato a rinunciare al "chavismo", lasciando così solo la sua demagogia. In ogni modo, noi siamo inclini a pensare che il tentativo di golpe ha radicalizzato le posizioni e approfondito il fosso che le separa. Malgrado i tentativi del chavismo di migliorare i suoi rapporti con l'avversario, dobbiamo dare per certo che i gruppi capitalisti privati e l'imperialismo attaccheranno in modo ogni volta più aggressivo l'attuale regime, perché per essi la sua via verso un maggior peso economico dello stato - sebbene non sia altro, nel migliore dei casi, che keynesismo puro - e un gradino più alto di "organizzazione popolare" equivalgono al socialismo. Così, dunque, tutti i segnali indicano che la pressione dell'imperialismo si va intensificando ed estendendo e non vediamo nessuna via d'uscita possibile salvo lo schiacciamento di una delle due parti.

In secondo luogo dobbiamo considerare la possibilità che, nella misura in cui si complicano le cose per il regime, si ponga un'alternativa proletaria. Stando al comportamento delle masse durante il golpe, la decantazione rivoluzionaria potrebbe prodursi solo con la caduta del chavismo e/o l'esaurimento della sua esperienza politica populista. Questa decantazione partirebbe da una netta delimitazione di classe che provocherebbe la tracimazione degli attuali "circoli bolivariani" - vale a dire, delle istanze politiche nelle quali le masse hanno fatto il loro apprendistato politico e hanno sviluppato un senso di potere, anche dentro la camicia di forza governativa - e la sua sostituzione da organismi veramente autonomi, capaci di agire in armonia con le mete e le prospettive di classe, come sta succedendo, infatti, col movimento piquetero in Argentina. Però, non sarebbe ancora garantito il suo passaggio al comunismo, data l'assenza del partito e del programma che traccino questa direttrice nel movimento proletario, come lo dimostra una volta di più l'evoluzione socio-politica in Argentina.

Nonostante le sue debolezze, Chavez dispone ancora di punti di forza. Il più importante è che, a causa della disintegrazione del vecchio ceto politico clientelare e alla perdita del monopolio delle finanze pubbliche, i partiti storici borghesi mancano di consenso e di integrazione sociali che offrano loro un'ampia base di massa ai loro progetti. Senza mezzi per edificare strutture democratiche interclassiste, i partiti tradizionali - Accion Democratica (socialdemocratico) e COPEI (democristiano) - divennero rachitici apparati, fatti solo di capi senza seguito, che molto in fretta sprofondarono nel più profondo marasma. Con l'unica eccezione del chavismo, non esiste oggi in Venezuela un'organizzazione o una forza politica in grado di attirare e integrare le masse nel quadro istituzionale. Che abbia o no coscienza di questa funzione, la borghesia necessita ancora del chavismo. Dunque, bisogna sottolineare la lucidità con la quale quest'ultimo sfrutta i vuoti lasciati dai partiti oligarchici e i vantaggi dati dalla situazione: manipola i contrasti e le tensioni sociali a favore della neutralizzazione tanto di ciò che resta dei vecchi partiti politici, quanto degli interessi suscettibili di divenire conflittuali con la direzione del regime. Per il resto, non c'è dubbio che il chavismo ha una sua propria interpretazione delle classi e della lotta di classe, che riconosce come il dato elementare di ogni ragionamento e calcolo politico, ma a differenza del marxismo pretende di porsi al di sopra di esse e di cercare una "via di mezzo" che gli permetta di trovare l'equilibrio dentro uno stato di cose conflittuale di partenza. Chavez impersona il ruolo di un funambolo che cerca di mantenersi in equilibrio sulla corda del potere nonostante - o meglio, grazie a - le forze contrarie delle classi che tendono a farlo cadere.

Molti hanno creduto di vedere una curiosa somiglianza tra Chavez e Allende, ed è la sua incredibile rassegnazione di fronte ai piani dei suoi nemici. Certo, si potrebbe obiettare che Chavez, come Allende, aveva il governo ma non il potere. Tuttavia, mentre Allende può vantare, almeno, il merito di aver pagato le sue illusioni col proprio sangue, Chavez si è consegnato passivamente alla sua sorte, lasciando il suo destino nelle mani della soldataglia. Tecnicamente Chavez e la V repubblica si sono salvati grazie alla forte divisione dell'esercito e all'intervento della sua "ala sinistra"; l'altro fattore "salvatore" del chavismo è consistito nella partecipazione del "movimento popolare bolivariano" e dei suoi organismi armati. Dunque, la capacità di coordinamento del cosiddetto "Comando della Rivoluzione" - formato da una pluralità di organismi sociali e di partiti, tra cui il PC, per cooperare col governo e le organizzazioni di massa - e il potere di mobilitazione e di intimidazione dei "circoli bolivariani" sono bastati per fermare la meschina e codarda borghesia. Sì, almeno in questo Hegel aveva ragione: la storia si ripete due volte, la prima come tragedia, la seconda come commedia.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.