L'immigrato usa e getta - L'ultima ricetta del capitale... ai fornelli, il sindacato

Uno degli argomenti centrali agitati dai due maggiori schieramenti in questa squallidissima campagna elettorale è sicuramente quello della "sicurezza dei cittadini", o, detto in altri termini, quello dell'immigrazione più o meno clandestina. Infatti, esplicitamente o implicitamente, i due poli alimentano e cavalcano l'opinione - smentita, però, anche dai dati ufficiali - che l'immigrato sia, di per sé, portatore di criminalità diffusa e renda insicura la vita degli onesti cittadini italiani. Ma come abbiamo già tante volte detto, l'alone di timore e di sospetto creato attorno agli immigrati non ha altro scopo, in ultima analisi, che quello di renderli ancora più docili al giogo del padrone e, per questa via, appesantire le catene dello sfruttamento a tutto il proletariato, di cui gli immigrati sono il settore più debole. Per questo, nella permanente strategia anti-operaia del capitale, la gestione della forza-lavoro migrante ha sempre avuto un'attenzione particolare, volta, com'è ovvio, a massimizzare i profitti e minimizzare le perdite, magari scaricandole sull'intera "società civile". Per questo, nel prossimo vertice europeo che si svolgerà in giugno a Goteborg (Svezia) - in cui si discuterà dell'allargamento dell'Unione Europea a una decina di paesi dell'Europa orientale - un posto di rilievo sarà riservato alla questione dei flussi migratori, che, nelle intenzioni dei governi, dovranno essere selezionati e selettivi. Insomma, per scongiurare - così dice la propaganda - una temuta invasione dei nuovi barbari proletari provenienti dalle terre d'Oriente, il documento preparatorio di Goteborg prevede che se quei paesi potranno entrare nel'UE nel 2005, fino al 2010/2012 resteranno comunque in vigore le norme restrittive sullo spostamento delle persone. Infatti, come ricorda il Sole24 ore del 17/4, il reddito medio dei "cittadini" dell'ex blocco sovietico è circa un terzo di quelli dell'Europa occidentale; da qui, dunque, la paura che un'apertura indiscriminata al proletariato di quei paesi causi più problemi che profitti, cioè che possa "approfittare" del cosiddetto stato sociale - o di ciò che ne rimane, diciamo noi - per darsi alla bella vita a spese dei bilanci statali.

Come conciliare, quindi, l'esigenza di avere manodopera a basso costo, disponibile ai lavori più faticosi e nocivi, e, allo stesso tempo, non provocare o aggravare tensioni sociali che potrebbero accompagnare un ipotetico massiccio spostamento di popolazione, nella fattispecie proletaria? La Confindustria, allora, attraverso il giornale citato, si lancia in un'audace (si fa per dire) proposta di ingegneria sociale, ispirandosi a quanto stanno già facendo la borghesia israeliana coi proletari palestinesi e quella statunitense con gli immigrati latinos.

Dopo aver preliminarmente specificato che, in ogni caso, la paura dell'invasione da Est deve essere alquanto ridimensionata, afferma di aver trovato la soluzione del problema nell'immigrato usa e getta: un bel contratto temporaneo - naturalmente a formazione lavoro o sotto altre forme simili di cui c'è solo l'imbarazzo della scelta - e così è risolto il problema. Non più clandestini e nemmeno vecchi e bambini; basta coi poco flessibili legami familiari che sono solo di spesa, ma solo forza-lavoro allo stato puro, da rimandare a casa una volta soddisfatte le esigenze dell'azienda. I padroni, per ridurre al minimo il rischio di creare nuovi clandestini, si renderebbero garanti dei nuovi assunti, anticipando una specie di cauzione allo stato, che la restituirebbe, con gli interessi, una volta che l'immigrato - ormai usato - è stato accompagnato verso il paese d'origine.

Per ora, questo è solo un progetto, realizzato in via sperimentale dagli industriali di alcune regioni del nord, tramite accordi con le regioni medesime e i paesi di partenza, riguardanti la selezione/formazione in loco della manodopera che aspira a emigrare; è un esperimento che deve servire da vetrina propagandistica, visto che, nel caso dell'Emilia Romagna, gli industriali fornirebbero anche l'alloggio assieme al posto di lavoro. È evidente, però, che la casa non potrebbe essere assicurata a tutti gli immigrati, se il progetto confindustriale uscisse dallo stadio sperimentale e si concretizzasse su grande scala; prova ne sia il fatto che non solo gli immigrati extracomunitari, ma anche i nuovi immigrati dal Mezzogiorno - assunti quasi sempre con contratti temporanei - fanno molta fatica a trovare un alloggio nelle "operose" città del centro - nord che non sia a prezzi di puro strozzinaggio. È altresì evidente che l'immigrato usa e getta sarebbe un'arma potentissima nelle mani del padronato da impugnare per aumentare l'insicurezza, quindi la ricattabilità e la debolezza, di tutta la forza-lavoro, senza distinzione di nazionalità né di qualifica. Infatti, la proposta della Confindustria riguarda sia i lavoro a bassa che ad alta qualificazione, tipo ingegneri e simili; in tal modo, si accelererebbe il processo in corso per cui la manodopera in tutte le sue stratificazioni, dalla più bassa alla più alta, viene cacciata nel frullatore della cosiddetta globalizzazione, di cui uno degli aspetti primari è la tendenza a livellare e a omogeneizzare verso il basso il valore e le condizioni complessive della forza-lavoro mondiale.

Oltre a ciò, lo stato trarrebbe un altro vantaggio dal furto dei contributi versati dagli immigrati. Già oggi, come sottolinea lo stesso Sole24 ore, il lavoratore immigrato, senza famiglia a carico, versa agli enti previdenziali più di quanto riceva (domanda: ma questo non dovrebbe valere anche per i giovani salariati con cittadinanza italiana, privati del diritto alla pensione?), figuriamoci allora se si dovesse diffondere la figura dell'immigrato temporaneo; si sa come vanno a finire queste cose: chi reclamerebbe - ammesso che ne avesse la possibilità concreta di farlo - i contributi di qualche mese o qualche anno di lavoro? E poi, cosa se ne farebbe, visto che comunque quei contributi non sarebbero nemmeno lontanamente sufficienti ad assicurargli una qualche forma di pensione?

Prima di chiudere, ci sembra necessario, anche a rischio di depistare il lettore su una questione apparentemente diversa, spendere due parole su un argomento che in questi mesi sta agitando le relazioni tra padronato e sindacati, vista la stretta relazione che ha con il progetto migratorio confin-dustriale. Ci riferiamo al tormentato capitolo riguardante l'accordo sui contratti a tempo determinato, che ha visto, prima, la CGIL abbandonare il tavolo delle trattative e, in questi giorni, prodursi una crepa nel fronte padronale, di cui un settore (commercio e artigianato) non condivide l'oltranzismo della Confindustria nel voler concludere l'accordo anche senza il maggiore sindacato italiano. Ma quest'ultimo, nonostante le fiammate "estremiste" degli ultimi tempi, non ha affatto cambiato idea sulla necessità di intensificare la flessibilità - ossia la precarietà - della forza-lavoro, vuole solamente che il sindacato non sia escluso dalla gestione della stessa, tant'è vero che ha valutato positivamente il preaccordo sul lavoro temporaneo raggiunto con la Confapi (piccola e media impresa). In esso, infatti, sono scomparse le causali "ossia le motivazioni per cui le aziende possono ricorrere ai contratti a termine - rimane solo - il rinvio alla contrattazione delle scelte sui contratti temporanei" (il Manifesto, 28-4-01).

Non c'è che dire, un altro bel contributo sindacale alla causa della globalizzazione...

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.