Sindacalismo alternativo e politica borghese

Come la sinistra alternativa cavalca le ancor deboli proteste proletarie

Il cosiddetto sindacalismo di base, dopo aver proclamato la sua indipendenza e autonomia da qualsiasi formazione politica (ovvero: il sindacato che non fa politica e quindi finisce col fare quella del capitale), è sempre più spinto alla ricerca di spazi politici. Una necessità per quanti, postisi in alternativa al sindacalismo ufficiale ma pur sempre praticando lo stesso "mestiere", si trovano presto o tardi alle prese con i soliti ostacoli: la legislazione sui diritti sindacali, le discriminazioni nelle trattative aziendali e nazionali, e infine i problemi reali, economici e sociali, che sorgono quotidianamente nelle relazioni fra capitale e lavoro e più in generale fra borghesia e proletariato, le due classi antagoniste della moderna società.

Fra i singoli esponenti e nei gruppi che dirigono i vari sindacati di base (dichiaratamente ostili al minimo contatto con qualsiasi organizzazione politica) si è fatta strada la ricerca di un rapporto preferenziale con Rifondazione e con il movimentismo massimalista di alcuni suoi settori. Si tratterebbe pur sempre - così si mormora - di avere un appoggio da sinistra: una "sinistra" istituzionale e parlamentare, e per di più sostenuta dalla speranza di un possibile ritorno nell'area governativa.

D'altra parte, nessuno dei dirigenti del sindacalismo alternativo si è mai pronunciato (e mai lo farebbe) per una trasformazione radicale della società borghese, neppure al di fuori del proprio orticello sindacale. Figuriamoci poi per un rivoluzionamento del capitalismo! In realtà, in questo ordine sociale e in questi rapporti economici, tutti si agitano per la richiesta (e per una ipotesi presentata ai proletari come perseguibile) di maggiore giustizia, equità, democrazia economica, eccetera. Una riforma, sì; una rottura, no, né oggi né domani.

Gli obiettivi restano quelli, vetero o neoriformisti, di una conquista di maggiori garanzie sociali, sempre sotto il dominio del capitale e attraverso rivendicazioni più spinte di quelle avanzate dai Sindacati ufficiali. Il tutto inserito in una prospettiva di democratica convivenza sociale tra capitale e proletari, tra profitti (equi) e salari (giusti). Dietro la facciata di una impossibile indipendenza politica, i dirigenti dei sindacatini di base (quasi tutti ex politici della vecchia o della nuova sinistra figliata dallo stalinismo) sono portati per loro natura all'attrazione verso le possibili coperture o mediazioni - addirittura fino a ieri di spessore governativo - dei Bertinotti di turno. L'importante è riuscire a cavalcare e contenere entro certi limiti la protesta delle frange più rabbiose del proletariato, legandola ad una logica rivendicazionistica e contrattualistica fondata su false speranze riformistiche, sempre dure a morire fra le masse operaie.

È chiaro dove vada a finire (e in compagnia di chi) il proclamato principio della indipendenza dei lavoratori da tutti i partiti, e la pratica della alternativa sindacale alla politica delle forze parlamentari. Conclusione inevitabile quando domina incontrastata, purtroppo anche fra larghi strati del proletariato, l'ideologia borghese nelle sue varie forme, con le sue menzogne interclassiste e le sue ipocrisie liberaldemocratiche.

A tutti i livelli, istituzionali e governativi, alternativi e... antagonistici, e nel rispetto delle logiche riformistiche-conservatrici a cui tutti si ispirano, è questo in definitiva il modo migliore per confondere i proletari e per paralizzare una loro vera e autonoma risposta di classe.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.