Le elezioni in Venezuela, in un paese ridotto alla fame

Confermando le previsioni della vigilia elettorale l’ex tenente colonnello Hugo Chavez è stato eletto a larga maggioranza presidente della repubblica venezuelana. Personaggio alquanto ambiguo, Chavez rappresenta il perfetto prototipo di quel trasformismo politico tipico della storia dell’America latina che nel corso degli anni non ha trovato di meglio che cambiare sistematicamente le proprie posizioni politiche. Il neo presidente del Venezuela è salito per la prima volta agli onori della cronaca nel febbraio del 1992 quando si è reso protagonista di un tentativo di golpe militare, miseramente fallito per la ferma opposizione della maggioranza dell’esercito rimasto fedele all’ordine “democratico” dell’allora presidente Perez. Il tentativo golpista del 92, compiuto da ufficiali di basso rango come tenenti colonnelli, maggiori, capitani e tenenti, sul piano politico è stato sostenuto esclusivamente dal “Movimento nazionalista bolivariano nazionalista”, un’organizzazione politico-militare fondata qualche anno prima dallo stesso Chavez.

Il fallito golpe del tenente colonnello non ha rappresentato un fulmine a ciel sereno nella politica venezuelana, ma s’inseriva in un contesto di estrema turbolenza sociale. Infatti e di qualche anno prima la grande esplosione di violenza urbana, in cui gli abitanti dei quartieri poveri di Caracas, i cosiddetti Ranchos, hanno letteralmente invaso la capitale saccheggiando tutto quello che era possibile saccheggiare. La rivolta della fame, come fu successivamente denominata, è stata dai militari tragicamente soffocata nel sangue lasciando sul campo oltre quattrocento morti e migliaia di feriti.

L’aggravarsi della situazione economica del paese e le voci sempre più insistenti di un nuovo tentativo di golpe militare, hanno portato nel 1994 il presidente della repubblica Cardera, rappresentante del Copei e sostenuto dal Movimento verso il socialismo (Mas) e dal piccolo partito comunista, ad aprire in fretta e furia le porte della prigione in cui era stato rinchiuso Hugo Chavez. Riconquistata la libertà, l’ex tenente colonnello non ha perso molto tempo e nel giro di qualche mese ha dato vita ad un nuovo movimento politico denominato in un primo tempo “Movimento quinta repubblica” e successivamente “Polo patriottico”. Dopo l’esperienza fallimentare del golpe, Chavez cambia radicalmente la propria strategia politica e cerca alleati politici nei partiti della sinistra venezuelana. Grazie anche ad uno spettacolare viaggio a Cuba, durante il quale Chavez è stato accolto come un eroe da Fidel Castro, il “Polo Patriottico” ottiene l’appoggio incondizionato dei partiti di sinistra, Mas e partito comunista, che in precedenza davano il loro appoggio al presidente Cardera. Da militare golpista, appoggiato dalle forze di destra più reazionarie, Chavez si trasforma in eroe popolare osannato dalle masse di diseredati venezuelani in cerca di riscattarsi da una situazione economico-sociale sempre più drammatica, uno sorta di moderno Bolivar.

La vittoria alle recenti elezioni presidenziali, ottenuta con l’appoggio di ben 13 diverse organizzazioni partitiche, consegna a Chavez un paese ridotto letteralmente alla fame dalla crisi generale del capitale; una crisi che si protrae da molti anni e che ha prodotto guasti sociali drammatici.

Sfruttando gli alti prezzi del petrolio il Venezuela per tutti gli anni settanta ha vissuto una lunga stagione di crescita economica, tale da assicurare al proletariato venezuelano uno standard di vita nettamente superiore rispetto a quello degli altri paesi dell’America latina, ma il crollo del prezzo del petrolio dei primi anni ottanta ha costretto la borghesia venezuelana a ridimensionare il Welfare e ad imporre al proletariato pesanti sacrifici. Le immense risorse finanziarie accumulate dalla vendita di petrolio (secondo delle stime ufficiali dello stesso governo venezuelano nel periodo 1973-83 il paese ha incassato circa 240 miliardi di dollari) anziché essere reinvestite nel mondo della produzione sono state riciclate nel mondo della speculazione.

La crisi finanziaria messicana del dicembre 1994, ha ulteriormente aggravato la situazione economica facendo sentire pesantemente i propri effetti sull’intera regione dell’America latina, con fughe di capitali e crolli verticali delle borse e svalutazioni selvagge delle varie monete. Anche in Venezuela l’effetto “tequila” (ossia il propagarsi a tutti i paesi dell’America latina degli effetti della crisi messicana) ha prodotti i propri guasti, contribuendo ad alimentare l’inflazione ed a svalutare il bolivar, la moneta venezuelana, rispetto al dollaro. L’aumento del valore del dollaro, se da un lato ha fatto innalzare i livelli d’inflazione e causato la fuga repentina di capitali all’estero, dall’altra parte ha frenato gli stessi effetti negativi della crisi finanziaria messicana, in quanto sono aumentate di conseguenza le entrate derivanti dalla vendita di petrolio. Ma per il Venezuela tale situazione di “privilegio” si è trasformata nel medio periodo in un’arma a doppio taglio che rischia di soffocare l’intera economia venezuelana.

Secondo dati pubblicati nei primi giorni di dicembre dalla Banca Mondiale, nel 1999 l’America latina sarà la regione che più di ogni altra risentirà degli effetti negativi della crisi finanziaria che ha colpito le tigri asiatiche nel 97 e la Russia la scorsa estate. Infatti, secondo le previsioni della Banca Mondiale il tasso medio di crescita dei paesi dell’America latina non dovrebbe superare nel prossimo anno lo 0,6%. Il Venezuela passa da un ritmo di crescita del 6% fatto registrare nei primi mesi del 1998 ad una crescita negativa dell’1%. È facile immaginare le conseguenze sul piano sociale di una recessione economica di tale portata in un paese come il Venezuela in cui l’80% della popolazione vive in condizioni di povertà.

Alle difficoltà derivanti dalla recessione internazionale, che si traduce in una contrazione della produzione ed in un repentino abbassamento delle condizioni di vita del proletariato, l’economia del Venezuela sconta il fatto di avere una struttura produttiva essenzialmente basata sull’industria dell’esportazione di petrolio. Tra i paesi fondatori dell’Opec, il Venezuela è uno dei principali esportatori di greggio; oltre il 70% del valore dell’export deriva dalla vendita del petrolio sui mercati internazionali, mentre ben il 25% del prodotto interno lordo è rappresentato dall’industria petrolifera. Il continuo calo del prezzo del greggio ha messo letteralmente in ginocchio l’intera economia venezuelana; il governo si trova nella critica situazione di non essere più in grado di onorare il pauroso debito estero con le entrate derivanti dalla vendita di petrolio. È in atto lo stesso meccanismo economico che ha portato la scorsa estate al collasso l’economia della Russia.

Con la prospettiva di una nuova crisi economico-finanziaria di vasta portata suonano ancor più beffarde le promesse elettorali del neo presidente Chavez di voler ridurre la disoccupazione (il tasso ufficiale supera il 20%), aiutare le fasce meno abbienti e sviluppare lo stato sociale (propaganda che ha irritato non poco il Fondo Monetario Internazionale e che probabilmente bloccherà eventuali sostegni per far fronte ad una più che probabile crisi finanziaria venezuelana). Nella realtà la borghesia venezuelana, così come quella internazionale, si prepara a sferrare nuovi e ancor più pesanti attacchi ad un proletariato attualmente incapace di opporsi alla politica dei sacrifici e di difendere i propri interessi di classe.

PL

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.