Calabresi e Il Pendolino

Le guerre interne alla borghesia e la guerra della borghesia contro il proletariato

Quando le frazioni e fazioni della borghesia combattono fra loro nella assenza del soggetto di classe proletaria, i colpi bassi non si contano.

La sentenza della Corte Suprema a convalida della condanna di Sofri, Bompressi e Pietrostefani per l’omicidio del commissario di PS Calabresi rientra fra questi.

In realtà di chi abbia fatto fuori Calabresi non interessa a nessuno dei giudici. Essi sanno benissimo che già allora si diceva da più parti (con l’eccezione degli entusiasti fessi di Lotta continua) che anche lì c’era lo zampino dello Stato e si parlava di delicate piste su traffici d’armi e droga che il commissario stava seguendo quando fu ammazzato. Sanno benissimo, i giudici, che la credibilità del teste pentito Marino è pressoché azzerata da una nutrita serie di circostanze - che vanno dalla discordanza fra le sua versione dei fatti al momento dell’omicidio e quella fornita allora dai testimoni oculari, alla mancanza di riscontri oggettivi anche su molti altri aspetti della sua testimonianza, fino alla inspiegata permanenza del teste per 18 giorni nella caserma dei carabinieri, prima che si recasse alla magistratura per pentirsi. Ma il punto è proprio qui.

In alcune fasi ed episodi del complessivo iter processuale, ha giocato certamente anche la squallida volontà vendicativa di qualcuno verso il Sessantotto e i suoi leader, ma non è credibile che anche la Suprema Corte si abbandoni a simili bassezze, considerato che una sua precedente sentenza andava in senso contrario.

La caratteristica essenziale della sentenza più recente sta proprio nel riconoscimento, anche in forme risibili dal punto di vista del diritto borghese e della sua celebrata certezza, della credibilità assoluta di Marino, teste pentito.

Si tenga a mente la polemica tuttora in corso fra frazioni politiche - ma talvolta anche trasversalmente ad esse - della borghesia sull’impiego dei pentiti in quei processi che platealmente attengono alla lotta per bande della borghesia (dai processi di mafia a quelli della cosiddetta tangentopoli) e si avrà il terreno nel quale questa sentenza affonda le proprie radici e la propria ragione.

Bompressi, Pietrostefani e Sofri sono le vittime civili, per quanto “illustri” e interne all’establishment (Sofri e Pietrostefani), di una guerra per bande alla quale forse erano estranei (e il forse è doveroso nel caso di Sofri, divenuto consigliere di Craxi quando questi imperava).

La sentenza su di loro è un messaggio della maggioranza di questa Corte Suprema: i pentiti, come tali vanno creduti.

La guerra per bande ha assunto caratteri violenti: sbattere in galera per 22 anni tre signori più che probabilmente innocenti del fatto specifico contestato, è sempre stata e sarebbe moneta corrente nello scontro fra borghesia e proletariato, ma se è un fatto interno alla classe dominante, la sua violenza appare moltiplicata.

Rientra però nel clima complessivo di violenza connaturato alla crescente barbarie della società borghese, a mitigare la quale soccorrerebbe la premurosa osservazione di un giudice, forse conscio dell’enormità della sentenza: per scansare la prospettiva della galera c’è sempre la possibilità di ricorrere alla grazia del Presidente della Repubblica! Come dire: fatto il danno aggiungiamoci la beffa.

Violente e squallide vicende interne alla borghesia, che se le può permettere. Può cioè permettersi di dividersi in fazioni in guerra accanita fra loro, una guerra che come tutte lascia tante vittime civili, perché il proletariato tace; subisce bastonate e tace. E in questo clima la borghesia, altrimenti detta “i padroni” può ancora unire alle bastonate gli insulti e le beffe ai danni dei lavoratori.

A qurantacinque giorni dalla “tragedia annunciata” del pendolino (8 morti e 29 feriti) un legale delle Ferrovie (e tutta la stampa che dà risalto alle sue dichiarazioni) avanza la “fondata ipotesi” che i due conducenti, Lidio de Santis e Pasquale Sorbo, anch’essi morti e dunque non in grado di difendersi direttamente, fossero ubriachi. Che la moglie di Lidio urli disperata che il marito era addirittura astemio, conta poco. L’importante è avanzare l’ipotesi, sui giornali e alla televisione. Intanto, da una parte, si contribuisce ad addossare ai lavoratori le responsabilità della tragedia, e dall’altra si copre con la densità dei fumi, il ritardo “inspiegabile” della perizia tecnica.

Ha ragione la figlia di Lidio a dire che il caso del pendolino è “un secondo caso Ustica”. L’unica differenza sta nel fatto che Ustica è da attribuire a qualcuno degli organismi di “difesa” e repressione della borghesia (esercito? servizi? nazionali? stranieri?) mentre nel caso di Piacenza è implicata una azienda.

Hanno smantellato i sistemi di sicurezza pre-esistenti, risparmiano su manutenzione e servizi di sicurezza; è ovvio e scontato che gli incidenti accadano.

I ferrovieri, quantomeno i più sensibili e attivi, dicevano da tempo che prima o poi qualcosa sarebbe successo, visto il passaggio delle ferrovie da servizio ad azienda e la conseguente adozione di logiche in conflitto con l’interesse collettivo e dunque la sicurezza e visti i concreti passi “al risparmio” adottati.

La verità è che la responsabilità della tragedia e tutta e solo dell’azienda e delle sue logiche. Certamente ci sono responsabilità personali, in questa o quella decisione di “taglio” o di omissione direttamente legata alla meccanica dell’incidente. Ma la responsabilità maggiore, anche personale, certo, è quella di adottare in qualità di dirigenti aziendali, le logiche dell’impresa.

E poiché sono queste in realtà le vere imputate, di fronte alle quali il lavoratore sta disarmato e passivo, la borghesia e i suoi servi devono coprirle, cercando di rovesciare sul lavoratore le colpe dei danni.

E qui, statene certi, le bande borghesi si ritrovano unite: c’è da salvare la loro ideologia; questa è la vera guerra. La guerra di classe, nella quale il proletariato subisce attacchi inauditi senza reagire, e che lascia, ancora, i suoi morti civili.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.