I testi - Documento della C.C.I.

Questo testo è un contributo alla Conferenza dei gruppi detta sinistra comunista organizzata a Milano il 30 aprile e il 1 maggio 1977. Mediante questo documento la CCI tiene a sottolineare l'importanza fondamentale che essa accorda al problema del raggruppamento delle deboli forze comuniste che esistono oggi nel mondo nel momento di una ripresa storica delle lotte della classe operaia. Allo stesso tempo essa vuoi mettere in evidenza la necessità della discussione approfondita sui problemi essenziali che si pongono al proletariato, al fine di delineare con il massimo di chiarezza le posizioni rispettive dei differenti gruppi della sinistra comunista.

I punti che si affrontano in questo testo non sono stati scelti in maniera arbitraria ma riguardano i problemi cruciali che la classe ha dovuto affrontare dall'inizio di questo secolo. È per questo motivo che la CCI giudica necessario che su questi differenti problemi debba ingaggiarsi una discussione seria di cui la Conferenza di Milano non può costituire che un inizio.

1. Le acquisizioni programmatiche della classe operaia

«Una nuova epoca è iniziata! L'epoca della disgregazione del capitalismo, del suo crollo interno. L'epoca della rivoluzione comunista del proletariato.» (Piattaforma dell'Internazionale Comunista).

È su questa base che si è fondata nel 1919 l'Internazionale comunista. Lungi dall'essere un punto secondario del programma dell'I.C., come hanno preteso alcuni, questa analisi ne costituisce al contrario la pietra angolare. È essa che permette di affermare che i modi di azione e te tattiche dei partiti della II Internazionale sono diventati sterili per la classe operaia, che bisogna abbandonarli per adottare una prospettiva del tutto nuova: la preparazione diretta della rivoluzione proletaria. Oggi ogni definizione del programma della classe operaia passa dunque per L'esame delle differenze tra i due periodi del capitalismo: la sua fase ascendente e la sua fase di decadenza.

A. La lotta di classe nel periodo ascendente del capitalismo

Fino all'inizio del XX sec. il capitalismo è un modo di produzione progressivo per l'umanità. Questa prima fase del suo sviluppo traduce il carattere storicamente necessario dei rapporti di produzione che esso incarna, cioè della loro natura indispensabile per l'espansione delle forze produttive della società di cui la minore non è la classe operaia stessa. In queste condizioni, il capitalismo è capace di accordare dei miglioramenti sensibili e durevoli alla classe operaia. Nello stesso tempo, nella misura in cui esiste ancora davanti a lui tutto un campo di espansione, la rivoluzione comunista non è ancora all'ordine del giorno. Per queste ragioni le lotte operaie, seppure costituiscano una preparazione per il compimento del compito storico del proletariato, non possono darsi come fine immediato il rovesciamento del capitalismo e sono necessariamente limitate all'ottenimento di riforme all'interno di questo sistema.

Queste riforme hanno un doppio obiettivo:

  • il miglioramento delle condizioni di vita della classe, cioè un'attenuazione dello sfruttamento;
  • l'accelerazione del maturarsi delle condizioni oggettive che sole permetteranno che divenga possibile l'abolizione dello sfruttamento. In questo quadro la costituzione di sindacati, cioè di organismi di massa permanenti basati sulla difesa del prezzo della forza lavoro, è un compito fondamentale della classe operaia. Poiché essi possono permettere un miglioramento sensibile della condizione proletaria, questi organi sono un terreno in cui si esprime la vita della classe, in cui questa fa lezioni di unificazione, di solidarietà, in cui può svilupparsi una presa di coscienza dei suoi interessi immediati e storici. È perciò che i rivoluzionari intervengono attivamente nei sindacati per combattere in essi le tendenze riformiste e farne delle autentiche e scuole di comunismo».

Ancora, durante questo periodo, la lotta per il suffragio universale, la partecipazione alle elezioni e al parlamento, malgrado le illusioni riformiste che esse possono comportare, sono possibili e necessarie per la classe operaia. Essa permette da una parte l'utilizzazione di questi strumenti come tribuna dalla quale i partiti operai possono metterà in avanti ciò che distingue il proletariato dalle altre classi della società, d'altra parte permette di apportare un sostegno ai settori più dinamici della classe dominante contro i residui della feudalità allo scopo di accelerare lo sviluppo del capitalismo e quindi delle condizioni della sua scomparsa. In un tale quadro, è possibile che vengano a realizzarsi delle convergenze momentanee e limitate tra classe operaia e alcuni settori più dinamici e avanzati del capitalismo - particolarmente i settori democratici - , ciò a condizione però che il proletariato conservi la sua organizzazione e la sua indipendenza di classe.

Infine, nella misura in cui la nazione costituisce il quadro approprino allo sviluppo del capitalismo nella sua fase ascendente, il proletariato di questo periodo poteva portare un sostegno a certe lotte nazionali, non perché esse avessero checché di e proletario», ma perché la tendenza alla costituzione dello Stato nazionale e centralizzato in questi paesi andava nel senso di un maturarsi delle condizioni materiali del socialismo.

La costituzione di sindacati, la partecipazione alle elezioni e al parlamento, così come a certe lotte nazionali, l'alleanza con certi settori della borghesia erano dei compiti del proletariato del secolo scorso. E le correnti come i proudhoniani o gli anarchici che si opponevano ad alcune di queste politiche non facevano che tradurre degli interessi estranei a quelli della classe operaia.

Invece, con l'entrata del capitalismo nella sua fase di decadenza, ogni prospettiva di questo tipo detta lotta di classe diventa sterile.

B. La lotta di classe nel periodo di decadenza del capitalismo

Con la prima guerra mondiale, il capitalismo è entrato nella sua fase di decadenza. Dopo aver permesso all'umanità di compiere un progresso considerevole nello sviluppo delle forze produttive, i rapporti di produzione che esso incarna sono diventati un pesante intralcio a questo sviluppo. Da allora il sistema non sopravvive che attraverso delle autodistruzioni successive in un ciclo di crisi guerra-ricostruzione-nuova crisi... spingendo l'umanità nella più grande barbarie della sua storia. I differenti blocchi imperialisti, quando non si fanno una guerra diretta, stanno a preparare la seguente attraverso un'accumulazione sempre più fenomenale di armamenti e attraverso l'utilizzazione di conflitti locali permanenti.

In una tale situazione, in cui, nella stessa misura dei rapporti di produzione capitalistici, la nazione è diventata un quadro troppo stretto per lo sviluppo delle forze produttive, la costituzione di nuove nazioni non presenta alcun carattere progressista. In un mondo diviso in grandi blocchi imperialisti, la «liberazione nazionale» non ha alcun senso e le lotte che portano questo appellativo non sono niente altro che un momento dei conflitti interimperialistici.

In linea generale, non esiste oggi alcun settore «progressista» della borghesia: come i rapporti di produzione di cui essa è l'emanazione, è a livello globale che questa classe è reazionaria. In questo senso, per la classe operaia, ogni politica di sostegno, anche critico, ad una frazione della classe dominante contro una altra frazione non può portare che ad una capitolazione di fronte a questa. Che ciò avvenga al nome del «Fronte Unico», del «Fronte Popolare», dell'«antifascismo», non può esistere per il proletariato alcuna possibilità di utilizzare le divisioni interne della borghesia: la storia ha mostrato che nella «epoca delle guerre imperialiste e delle rivoluzioni» questa classe riscopre e si ritrova un'unità fondamentale di fronte alla minaccia proletaria.

Nel periodo di decadenza del capitalismo, ogni partecipazione alle elezioni o al parlamento non può che rivolgersi contro la classe operaia. Secondo le parole stesse della IC, «il centro di gravità della vita politica è uscito completamente e definitivamente dal parlamento». Incapace di mettere in pratica delle riforme che il sistema stesso è d'altronde incapace di accordare alla classe operaia, questa istituzione conserva essenzialmente una funzione di mistificazione e non permette alcuna utilizzazione «rivoluzionaria». Al contrario, la partecipazione a un organo che il proletariato deve distruggere non può che rinforzare le illusioni al suo riguardo e ritardare quindi la presa di coscienza della necessità di questa distruzione.

In un'epoca in cui il sistema non può accordare alcun miglioramento effettivo e duraturo alla classe sfruttata, il sindacato ha perso ogni possibilità di esercitare la funzione per la quale era sorto nel secolo scorso. Inoltre, come istituzione la cui vita stessa è subordinata all'esistenza del rapporto salariale, essa non può essere che un intralcio alla scomparsa di questo rapporto nel momento in cui questa scomparsa è il solo passo progressivo che la società possa fare. Perciò, dopo la prima guerra mondiale, le organizzazioni sindacali sotto tutte le loro forme (organizzazioni per mestieri, per branche, per fabbriche, gli shop-stewards, etc.) sono diventati degli organi dello Stato capitalista, degli agenti di questo all'interno degli operai. Così come per tutte le altre istituzioni borghesi, il proletariato dovrà distruggerli. Ogni politica di «riconquista», «formazione di nuclei», «raddrizzamento», «utilizzazione» portata avanti dagli elementi più avanzati della classe non può portare a ridar toro, e ciò a gran beneficio del capitale, una vita che a loro sfugge sempre più.

La decadenza del modo di produzione capitalistico è un fenomeno che tocca non una «era geografica» data, ma tutta un'era storica. È in maniera mondiale che il capitalismo ha esteso il suo potere costituendo il suo mercato a tale livello. Quale che sia la situazione particolare di ogni paese dal punto di vista del suo sviluppo industriale o del suo inserimento nel mercato, è ugualmente toccato dalla decadenza del capitalismo che è un fenomeno dell'insieme della società. In questo senso, non possono esistere «ere geografiche» dove fiorirebbe un «capitalismo giovane»: nei paesi sottosviluppati il capitalismo è altrettanto senile che in altre parti, là inoltre è nato morto. Allo stesso modo l'intervento totalitario dello stato nelle economie più deboli (Russia, Cina, Terzo mondo) non ha niente a che fare con una «accumulazione primitiva» ma costituisce l'espressione più accentuata della tendenza generale del sistema in declino verso il capitalismo di Stato.

È quindi a livello mondiale che la rivoluzione proletaria è all'ordine del giorno, che le rivoluzioni borghesi non sono più possibili, che non esiste più nessun settore progressista nella borghesia, che il sistema non può dare nessun vero tipo di riforma al proletariato. È quindi in tutti i paesi senza eccezione che la politica frontista, di sostegno ai movimenti nazionali, di partecipazione ai sindacati e al gioco elettorale sono controrivoluzionari.

Ogni analisi che oggi cerca di giustificare simili politiche in nome dell'esistenza di particolari «ere geografiche» non può condurre, in fin dei conti, che all'abbandono dell'internazionalismo, cioè a quella che è la pietra angolare del programma comunista.

2. Gli apporti fondamentali dell'internazionale comunista e suoi limiti

La fondazione nel 1919 dell'IC è una tappa fondamentale del movimento operaio. L'apporto teorico, programmatico, e pratico di questa organizzazione è considerevole. A essa spetta in particolare il merito:

  • d'aver restaurato il marxismo contro tutte le alterazioni e falsificazioni opportunistiche per farne un'arma efficace della lotta proletaria di fronte ai suoi nuovi compiti;
  • d'aver compreso il cambiamento di periodo nella vita del capitalismo, giacché l'entrata di questo sistema nella sua fase di decadenza metteva all'ordine del giorno la rivoluzione comunista;
  • d'aver rotto in maniera intransigente con i partiti della 2a Internazionale denunciandoli come organi del capitale;
  • di aver denunciato il ruolo controrivoluzionario della democrazia borghese e di tutti i partiti che prendono la sua difesa;
  • di aver compreso la necessità di distruggere da cima a fondo lo stato borghese e di stabilire a livello mondiale la dittatura del proletariato, dei suoi elementi più avanzati al momento della prima grande ondata rivoluzionaria della sua storia.

Oggi ogni programma rivoluzionario deve far sue queste acquisizioni dell'I.C. Tuttavia non si può restare sulle posizioni tali quali sono state sviluppate da questa organizzazione. In effetti, se l'IC ha permesso di compiere un enorme passo in avanti nel pensiero rivoluzionario, è stata incapace di estrarne tutte le implicazioni. Questa debolezza che, al momento del riflusso dell'ondata rivoluzionaria del primo dopoguerra, ha costituito un potente fattore di questo riflusso e della degenerazione della IC, è consistita in un'insufficiente rottura con le vecchie tattiche e i vecchi schemi della II Internazionale.

È stato così ad esempio sulle questioni:

  • della «liberazione» nazionale e coloniale
  • del frontismo
  • della partecipazione alle elezioni e al parlamento
  • dei sindacati
  • del partito proletario.

Su questi diversi problemi è toccato alle frazioni di sinistra (in particolare quelle di Germania, Olanda e Italia) che sono apparse in seno alla IC e ne sono uscite al momento della sua degenerazione come reazione contro di essa, d'aver svelato le sue insufficienze e proseguito e approfondito l'opera di chiarificazione che essa aveva iniziato. Oggi nessun programma rivoluzionario può accontentarsi delle acquisizioni della IC ma deve necessariamente riprendere e integrare gli apporti delle frazioni comuniste di sinistra: il futuro movimento della classe non potrà svilupparsi che appropriandosi delle acquisizioni del passato movimento ma anche criticando le sue insufficienze e i suoi limiti. Un tale programma dovrà tenere conto dei contributi non di una sola di queste frazioni ma del loro insieme. Così, se si deve alla sinistra italiana l'analisi più pertinente sulla democrazia, il fascismo e la questione parlamentare, bisogna sottolineare l'apporto fondamentale della sinistra tedesca e olandese sulla questione nazionale e sindacale. Su una questione primordiale come quella del partito rivoluzionario il pensiero comunista deve oggi tener conto degli apporti delle diverse frazioni e integrarli in un tutto coerente.

Si deve alla sinistra tedesca d'aver compreso per prima che, contrariamente alla vecchia posizione che vigeva nella II Internazionale e che l'IC riprenderà al II Congresso, la rivoluzione proletaria non può obbedire allo stesso schema della rivoluzione borghese secondo cui la presa del potere da parte della classe operaia si riassume nella presa del potere del suo partito. I compiti della rivoluzione comunista sono tali che la dittatura del proletariato non può essere esercitata solo da una parte, anche la più cosciente, della classe, ma dall'insieme di questa organizzata in consigli operai.

Il partito non è né la «coscienza», né «lo stato maggiore», né il «rappresentante» detta classe. È uno strumento che la classe si dà nel suo processo di presa di coscienza per accelerare, generalizzare e approfondire questo processo. Raggruppando gli elementi comunisti della classe allorché

«le idee dominanti sono le idee delta classe dominante» (Marx)

esse, non può che costituire una,minoranza di questa. In questo senso, il concetto di «partito di massa», ereditato dalla II Internazionale e ripreso dalla IC, non può essere proprio del partito al momento della rivoluzione proletaria.

È a ragione che sia la sinistra tedesca che la sinistra italiana hanno rigettalo questa nozione.

L'apporto maggiore della sinistra italiana sulla questione del partito consiste nella sua analisi delle condizioni storiche che permettono la costituzione di questo organo e del modo per realizzare questa costituzione. In particolare il suo approfondimento del ruolo della frazione è uno degli apporti essenziali che essa ha dato al programma proletario. Contro le concezioni volontariste di un Trotsky, essa mette al centro il fatto che il partito non può estone in ogni momento della lotta di classe. Nei periodi di rinculo o di schiacciamento di questa, l'organizzazione comunista non può avere una influenza diretta sul corso immediato della storia. La sua funzione non è più allora di tentare di influenzare il movimento immediato, ma di resistervi al fine di non esser. avviluppata dalla controrivoluzione imperante. Se un tale periodo si prolunga, il partito non può mantenersi come tale: o scompare, o degenera e passa alla classe nemica. Il ruolo delle frazioni che si staccano dal partito in degenerazione o gli sopravvivono è quello di tirare al massimo le lezioni delle esperienze passate al fine di preparare il quadro teorico e programmatico del nuovo partito proletario che dovrà necessariamente risorgere nella successiva ripresa della lotta di classe.

È merito quindi delta sinistra italiana aver rigettato la confusione e l'opportunismo della nozione di «opposizione» all'interno dei partiti della IC sviluppata da Trotsky per sostituirvi la nozione di «frazione». Alla visione manovriera e volontarista difesa da questi che proponeva di fondare il nuovo partito in un qualsiasi momento e su delle posizioni vaghe, la sinistra italiana ha opposto una visione che insisteva sulla più grande chiarezza programmatica come condizione di ogni raggruppamento e sul fatto che il partito non può fondarsi che in un momento di ripresa storica della lotta di classe.

3. Il periodo attuale e i compiti dei comunisti

Dopo gli anni 1960 il capitalismo è entrato in una fase acuta della sua crisi permanente. L'aggravarsi della situazione economica si è prima manifestata sul piano monetario, poi con un'inflazione sempre più violenta, infine a partire dal 1974-75 con una caduta brutale della produzione che ha comportato un aumento considerevole della disoccupazione e ha rivelato la natura stessa della crisi: una sovrapproduzione generalizzata e insuperabile. Il capitalismo mondiale, sia nelle sfere arretrate che in quelle avanzate, sia nei settori dominati dall'imperialismo americano che nei settori dominati dall'imperialismo russo o cinese, non può sfuggire a delle oscillazioni sempre più frequenti e violente tra l'inflazione galoppante e la recessione. Con la fine del periodo di ricostruzione che segue la II guerra mondiale e che viene a smentire in maniera evidente tutte le chiacchiere sul «superamento del marxismo», si apre dunque di nuovo la prospettiva già posta dalla IC: guerra imperialista e rivoluzione proletaria.

Da parte sua, il capitalismo, sempre più incapace di dominare la sua economia malgrado tutti i differenti suoi piani di «austerità» o di «rilancio», rafforza sempre più i preparativi per la prima alternativa. Dall'inizio degli anni 60 si assiste a un moltiplicarsi degli scontri locali tra le grandi potenze imperialiste, spesso sotto la copertura di «liberazioni nazionali», ad una corsa sempre più sfrenata agli armamenti più terribili e a un rafforzamento dei blocchi intorno alle due grandi potenze imperialiste maggiori: gli USA e l'URSS.

Ma fin dalle prime manifestazioni della catastrofe economica, è cominciata la risposta proletaria che non lascia le mani libere al capitale per imporre la sua «uscita» dalla crisi. Contrariamente al 1929, in cui la crisi mondiale si ha in un momento di riflusso della classe, quella di oggi annuncia una ripresa storica delle lotte proletarie. Queste, così come la crisi stessa, conoscono un ritmo di sviluppo relativamente lento, un corso strisciante, ma la loro tendenza generale è verso una intensificazione e un approfondimento che va di pari passo con l'aggravarsi della situazione economica.

Di fronte ad esse il capitale reagisce mettendo sempre più avanti le sue frazioni di sinistra (PC, PS, sinistra extra-parlamentare) che sono contemporaneamente le più adatte a portare avanti una politica di rafforzamento del capitalismo di Stato, solo capace di rallentare il corso della crisi, e le più adatte a mistificare la classe operaia con lo scopo di farle accettare dei sacrifici crescenti. In questa attività antiproletaria bisogna mettere in evidenza il ruolo sempre più importante giocato dalle correnti di estrema sinistra (maoisti, trotskysti, etc.) che in nome del «sostegno critico», del «parlamentarismo rivoluzionario», del «governo operaio» o del «sindacato di lotta di classe» si fanno gli ausiliari indispensabili dei grandi partiti di sinistra: socialdemocratici e stalinisti.

La ripresa storica della classe operaia ha provocato e si è manifestata con un risorgere delle correnti rivoluzionarie che la più profonda controrivoluzione della storia del movimento operaio aveva praticamente annientato. È in maniera ancora dispersa, confusa o esitante, che si manifesta questo risorgere, fatto questo che mette al primo posto dei compiti dei comunisti oggi, in maniera indissociabile, uno sforzo di chiarificazione delle posizioni politiche e uno sforzo di raggruppamento delle loro forze. Indissociabile perché, come lo ha mostrato la sinistra italiana tra le due guerre, non vi può essere raggruppamento dei comunisti che sulla base della massima chiarezza programmatica. Se la CCI sottolinea la necessità fondamentale del lavoro di raggruppamento, mette anche in guardia contro ogni precipitazione in questo campo. Bisogna escludere ogni raggruppamento su basi sentimentali, insistere sull'indispensabile coerenza delle posizioni programmatiche, criticare in particolare con il più grande rigore le correnti che, con nozioni come «classe per il capitale» o «classe universale», cercano di negare al proletariato la sua natura di unico soggetto della rivoluzione comunista.

La controrivoluzione da cui cominciamo a uscire ha pesato terribilmente sulle organizzazioni della classe. Le frazioni che erano uscite dalla III Internazionale hanno resistito sempre più difficilmente alla sua presa deleteria: la maggior parte di esse sono infine sparite e quelle che hanno resistito hanno dovuto far fronte a un processo di sclerosi che in certi casi le ha condotte a una vera involuzione e regressione. Lo sforzo di chiarificazione indispensabile oggi passa quindi:

  • da parte delle nuove organizzazioni rivoluzionarie attraverso una riappropriazione delle acquisizioni delle vecchie frazioni comuniste.
  • da parte delle vecchie frazioni che sono sopravvissute, attraverso uno sforzo di attualizzazione delle loro posizioni programmatiche e delle loro analisi.

Se la CCI rigetta la precipitazione in ogni processo di raggruppamento, essa denuncia ugualmente ogni settarismo che tende a trovare molteplici pretesti per non impegnarsi e continuare la discussione tra gruppi comunisti, settarismo che disgraziatamente anima un certo numero di gruppi della sinistra comunista. Nel momento in cui l'ascesa proletaria rende sempre più indispensabile l'esistenza di una corrente comunista solida, si volge risolutamente le spalle ai compiti rivoluzionari se non si comprende la necessità e la esigenza del raggruppamento dei comunisti intorno a un programma chiaro e coerente.

Corrente Comunista Internazionale, aprile 1977

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.