Lotte contadine in Calabria (1943-1950)

Del partito

Quel che manca agli autori di "Lotte contadine in Calabria (1943-1950)" Ed. Lerici, è il senso nitido della storia intesa come "lotta di classe" e nella nostra epoca specificatamente come lotta fra il proletariato e le stratificazioni sociali che, per la loro condizione obiettiva, sono assimilabili alla borghesia.

Nonostante l'esame di numerosi episodi di "Lotte contadine in Calabria", dei quali, gli autori colgono il potenziale contenuto anticapitalistico e la funzione di contenimento di queste lotte nell'ambito della legalità borghese, ovvero dei rapporti di produzione capitalistici svolto dal P.C.I., rimane contradditorio il giudizio critico sulla collocazione di questo da un punto di vista di classe. Anzi gli autori evitano un approfondimento in tal senso preferendo rimanere nel limbo del sottile distinguo tra cose buone e meno buone, lasciando con ciò lo spazio ad ipotesi in cui la responsabilità della pesante sconfitta subita dai lavoratori meridionali e più in generale - aggiungiamo noi - da tutto il movimento operaio, sia dovuto più ad errori commessi dai nazionalcomunisti che non al frutto di una politica svuotata, sin dall'avvento dello stalinismo, dei suoi originali contenuti di classe rivoluzionari e tutta rientrante nell'ambito della pura e semplice conservazione capitalistica.

Nel 1946, accanto alla crescita del movimento contadino e all'adesione di masse agli obiettivi del movimento (abbiamo già visto come l'occupazione della terra coinvolgesse non solo contadini poveri e braccianti, ma anche operai disoccupati e sottoccupati, donne, vedove di guerra, reduci e artigiani poveri) si ha una precisazione sia del discorso teorico di cui il partito comunista si rende portatore nelle campagne calabresi e meridionali, sia del ruolo politico che la sinistra assegna alle lotte contadine... Colpire la proprietà terriera di tipo assenteistico, riformare profondamente i contratti di fitto e di colonia, significa, per i dirigenti del PCI, attuare nel mezzogiorno d'Italia quella rivoluzione democratico-borghese che l'unificazione nazionale, nei termini in cui era avvenuta, e l'incapacità politica delle classi dirigenti, non avevano determinato. La lotta dei contadini, dei coloni, dei braccianti calabresi e meridionali, acquista il valore di mobilitazione non di una classe - i contadini - contro un'altra - i proprietari terrieri, espressione di un'unica anche se differenziata organizzazione capitalistica del lavoro - ma di una mobilitazione per il riscatto del mezzogiorno e per la rinascita nazionale.

Lotte Contadine in Calabria pag. 80/81.

Come si vede è colta con sufficiente chiarezza la funzione nazionale e democratica svolta dal PCI che ad essa subordinerà ogni lotta proletaria ingabbiandola nella pratica del compromesso e del più sterile riformismo.

Non è sufficiente ciò per trarre le dovute conclusioni? Evidentemente no per Alcaro e Paparazzo che trovano comunque il modo per vedere del positivo nell'azione svolta dal PCI.

Per la prima volta nella sua storia, la protesta sociale dei contadini, dei braccianti, dei poveri calabresi e meridionali esce dalle forme spontanee quanto isolate di ribellione e si dà contenuti precisi su cui far crescere ed allargare il movimento.
L'azione del P C.I. e del Sindacato è da questo punto di vista estrema mente importante, proprio perché, riuscendo ad aggregare forze sociali storicamente disgregate e spoliticizzate, fa del movimento contadino di questi anni una forza politica omogenea, che si pone all'avanguardia delle lotte sociali nel mezzogiorno d'Italia.

Un giudizio, questo in cui traspare una visione evoluzionistica e progressiva della storia e l'incomprensione del compito fondamentale del partito rivoluzionario, in quanto avanguardia del proletariato, di operare per l'allargamento della frattura di classe dalla quale solo può determinarsi la rottura rivoluzionaria e non per la sua ricomposizione.

Occorreva in quella fase della storia, lavorare alla saldatura delle lotte dei lavoratori meridionali con quelle del proletariato industriale del Nord in una unica strategia il cui perno fossero le comuni istanze anticapitalistiche maturate nella profonda crisi bellica e di cui la classe dominate portava per intero la responsabilità. Ma per i dirigenti del PCI, il problema non era dato tanto dalla necessità di "aggregare forze sociali storicamente disgregate e spoliticizzate", quanto di evitare che l'aggregazione avvenisse su basi di classe. E che tale compito lo abbiano assolto in pieno lo dimostra quanta cura ebbero nel "ripulire" il partito di tutti quei quadri, ancora legati alla tradizione di Livorno e per niente disposti a bere l'amaro calice del tradimento.

Emblematiche, da questo punto di vista, risultano le vicende della Federa zione catanzarese in questo libro rese note per la prima volta.

Il vecchio gruppo dirigente e fondatore della Federazione catanzarese, guidato dal nostro Maruca evidentemente poco informato (a causa dell'isolamento in cui il fascismo aveva costretto quei compagni) del ribaltamento di 1800 compiuto dal gruppo dirigente centrista (Gramsci prima e Togliatti poi) imposto dalla III internazionale ormai completamente assogettata da Stalin, attribuiva al PCI un ruolo che non era da tempo più il suo, di essere cioè l'unico partito "che vuole l'abbattimento della borghesia" (op. cit. pag. 141).

Scriveva Maruca:

chiedendo ai lavoratori di ricostruire ciò che la guerra ha distrutto non si possono trascurare quelle che sono le aspirazioni sociali di ordine nuovo, cui questa umanità aspira e da cui non si può prescindere.

L'equivoco in verità dura poco, poiché ben presto (1940) Maruca e con lui i migliori compagni della Federazione catanzarese vengono allontanati con il metodo, caro agli stalinisti, delle accuse costruite ad arte. Si legge, fra l'altro, nel documento ufficiale in cui si dà l'annuncio dell'allontanamento:

L'assemblea della sezione del PCI, constatato:
* che fin dall'inizio della ricostituzione del PCI nella provincia di Catanzaro si è verificata la mancanza di risultati pratici e di qualsiasi progresso nella organizzazione del partito stesso in ogni sua forma e attività;
* che tali risultati negativi sono da attribuire esclusivamente all'azione personalistica, accentratrice e disgregatrice di Francesco Maruca e alla incapacità da parte degli altri membri, degli organi direttivi di annnullare questa opera negativa del Maruca, arbitrariamente nominatosi segretario della federazione del PCI di Catanzaro dichiara il Maruca Francesco decaduto dalla carica del centro federale e in conseguenza sospeso da ogni attività politica.

La motivazione ufficiale vuole celare in verità un contrasto che era di natura politica, sorto fra la Federazione catanzarese e il centro del Partito.

Ciò che pone in netto contrasto l'organizzazione comunista calabrese e il centro nazionale del partito è la politica di unità nazionale...
La voce del popolo [l'Organo della Federazione catanzarese diretto da Manica fino al suo allontanamento - ndr] parte da un'analisi che vede nella fase aperta della caduta del fascismo una crisi storica non solo di quella forma politica che aveva garantito per venti anni il dominio borghese, ma anche della borghesia italiana come classe egemone.

Op. cit. pag. 140

Quest'analisi non poteva non produrre contrasti se si tiene conto che Togliatti ebbe modo di sostenere a Reggio Calabria:

Per frenare l'avanzata delle forze reazionarie... la sola via possibile era quella di un'azione ampia, legale, ordinata e disciplinata.

Op. cit. pag. 49

Che l'allontanamento fosse dovuto all'inconciliabilità di due posizioni - una rivoluzionaria l'altra opportunista - e non per i motivi indicati nel comunicato ufficiale è confermato anche da una dichiarazione che a nome del centro del partito, un funzionario appositamente incaricato fa pervenire a Maruca. Si legge in essa:

In seguito a tua esplicita dichiarazione di avere delle riserve da fare sull'attuale politica del partito... il centro del partito da me rappresentato decide che tu non possa rimanere in alcun organo dirigente del partito sino a quando persistono queste tue riserve sull'attuale linea politica del nostro partito.

Op. cit. pag. 129

Colpire Maruca significava colpire anche gli strati più avanzati dei lavoratori catanzaresi. Maruca infatti non rappresentava solo "il signor me stesso". Così testimoniano vecchi compagni:

Era il dirigente più conosciuto in provincia, il compagno che rappresentava la continuità e la perseveranza dell'azione politica dei comunisti catanzaresi.

Op. cit. pag. 129

Aveva un largo seguito fra i lavoratori tanto che alle elezioni politiche del 1946 (dopo che era passato già nelle file del nostro partito) ottenne, nonostante la campagna di diffamazione feroce condotta dal PCI nei suoi confronti ben 13 mila voti a conferma che quelle "aspirazioni di ordine nuovo" erano oltre che sue anche dei lavoratori.

L'avere impedito che i lavoratori, nella loro grande maggioranza, prendessero coscienza che le loro istanze, per essere soddisfatte, imponevano il superamento rivoluzionario del capitalismo e non il suo rafforzamento, è stato il capolavoro politico dello stalinismo.

Siete un agglomerato politico: né nazionale, né proletario; ma un agglomerato muoventesi nell'ambito di un interesse politico internazionale di cui subite e subordinate ogni vostra azione e atto.

L'Internazionale Comunista, n. I Luglio 46

Questo il giudizio sprezzante che Maruca diede del PCI.

Questo essere il PCI forza al servizio dell'imperialismo né più né meno che ogni altra forza borghese, dal libro, di cui ci siamo occupati, non emerge e ciò a dispetto di una sufficiente documentazione e di oltre trenta anni di storia.

Giorgio

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.