Written by Jock Dominie. £12, 276pp.
The Russian Revolution remains a landmark event in history. For the bourgeois historians, the October Revolution is thought to be a tragedy that set back the achievements of the “democratic” February Revolution, and allowed the Bolsheviks to wreak havoc on their citizens and the world. For the Stalinists, the events of 1917 paved the way for the birth of the USSR, which they point to as a prototypical example of “socialism in one country”. In reality, the February and October Revolutions were both part of the same proletarian revolution.
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Le tendenze pacifiste del
Le tendenze pacifiste del trotskismo in generale danno molta enfasi alle diserzioni, e soprattutto agli ex-marine (specialmente se di alto "grado") che diventano contro la guerra; qualcosa del genere succede anche in Europa (ma solo in riferimento ai soldati usa... vedi Sr e simili).
Le organizzazioni anti-pabliste di sinistra non assecondano la "diserzione" (soprattutto se resa possibile da strade tipo "motivi di studio" o obiezione di coscienza; ad esempio durante la guerra nel Vietnam combattevano i figli della borghesia e della piccola-borghesia che riuscivano ad evitare la guerra lasciando morire di là i figli dei proletari, e opponevano alla rivendicazione di far rientrare a casa "i nostri ragazzi" quella di "i nostri ragazzi sono i vietcong"). Diverse organizzazioni non permettono ai loro militanti scappatoie che allontanino dal servizio militare (nei paesi dove c'è la leva), e insistono per la propaganda nell'esercito nella misura del possibile. Questo non esclude una proficua propaganda nelle fila dei "disertori", naturalmente. Le posizioni comunque sono molto diverse, e questo è uno dei punti che qualifica maggiormente le differenze tra organizzazioni (anche se per lo più il dibattito oscilla tra pacifismo piccolo-borghese e lente terzinternazionalista).
Sulla fraternizzazione al fronte: penso anch'io che sia difficilmente ricalcabile in quei termini, ma in ogni caso non è quello che fa la differenza: è il disfattismo rivoluzionario il punto centrale, la fraternizzazione può accadere o meno, ma non è "strategica".
Partendo dal fatto che non
Partendo dal fatto che non è il la tua formazione politica che decide se mandarti qui o là a fare la guerra e che nessuna delle due ipotesi da te citate è da escludere,
-Il clima generale di terrore che attanaglia i paesi in questione rende molto difficile, una volta che sei lì, l'agitazione; sempre se sei un rivoluzionario e hai la possibilità di portare qualcuno dalla tua. Forse perché ho appena rivisto 9/11 di Moore, ma mi sembra che non sia tanto facile fare del disfattismo rivoluzionario, se il grande fratello ti accusa di essere un filoterrorista e ti fa sparire.
-Comunque, se proprio hai dovere di leva e diserti, fai sapere in modo organizzato insieme ai compagni, del fatto e del perché.Magari attraverso la creazione di un gruppo di opposizione, un consiglio che sia vicino e solidale ad altri settori di opposizione(proletari se possibile).
-Se ti trovi sul campo di battaglia un consiglio che nei margini del possibile spinga al disfattismo e alla solidarietà proletaria con i fratelli della controparte sarebbe ottimale(anche se la seconda non è detto incontri la solidarietà dei fratelli).
-Viste le cifre sono entrambi due buoni campi per la divulgazione dell'internazionalismo proletario e della critica(in tal caso anche azione)contro le guerre imperialiste.
Spero di avere inteso cosa vuoi dire con disfattismo e spero non si tratti di disfattismo rivoluzionario modi prima guerra mondiale ove si preferiva la vincità del paese imperialista nemico.Qui mi sorge un piccolo dubbio:Anche solidarizzare con i proletari del paese nemico era considerato disfattismo rivoluzionario, oppure si trattava di "sola" solidarietà proletaria(che è meglio della vittoria del paese imperialista nemico!)
Saluti
Rivolunzio
Credo che non ci sia una
Credo che non ci sia una formula valida per tutti i paesi e tutti i conflitti sul modo in cui mettere in pratica il disfattismo rivoluzionario che, senz'altro, rimane la parola d'ordine comunista "per eccellenza" in tempi di guerra.
In ogni caso ritengo che rifiutarsi di andare al fronte a fare da carne da macello o la parte del macellaio per la borghesia, sia un'ottima base di partenza per gettare i semi della solidarietà proletaria internazionale. Sostenere una tendenza spontanea del genere,credo che da parte dei comunisti sia doveroso.
durante la 2 guerra mondiale
durante la 2 guerra mondiale ci furono tentativi da parte del neonato partito comunista internazionalista di propaganda su tutti è 2 i fronti
premesso che lo scopo del
premesso che lo scopo del disfattismo è inceppare il meccanismo militare della borghesia privandola dello stesso e che nel caso americano i soldati dell'esercito sono spesso immigrati ( di 1 o 2 generazione) in cerca di cittadinanza, istruzione, cure mediche etc. etc. io mi chiedo:
in una situazione analoga noi lo saluteremmo come una prima rottura del controllo ideologico e pratico borghese, come "un passo nella giusta direzione" ossia da classe in sé, magari esortando a farlo diventare un atto organizzato, opp. inviteremmo i lavoratori ( ed i militanti ) ad arruolarsi e, poi, ammutinarsi ??
Giusta l'osservazione di Rivolu sulla formazione di organismi propri.
Penso che la borghesia tema di più l'apertura di un fronte interno, mentre abbia maggiori strumenti di controllo e recupero sui proletari inquadrati nell'esercito a meno di rovesci militari clamorosi al momento nn prevedibili ( tipo quelli subiti dall' esercito zarista ).
La guerra è un luogo in cui
La guerra è un luogo in cui il proletariato viene oppresso,quindi penso che i comunisti debbono andarci e invitare i proletari a puntare i fucili contro la propria classe dominante.
Se i bolscevichi non avessero fatto così,ma avessero puntato obiezione di coscienza,difficilmente avremmo avuto l'ottobre rivoluzionario,a mio parere.
Concedetemi il gioco di
Concedetemi il gioco di parole, ma la guerra è un luogo in cui il proletariato viene SOPPRESSO, più che oppresso. A chi rifiuta di andare al fronte non gli si può certo dire "No! Vai, spara, fatti sparare, e fra una pallottola e l'altra, se puoi, invita alla diserzione...". Non mi pare una strategia efficace.
Ciò non toglie che, nel fremito di una situazione preinsurrezionale, non si debbano manifestare anche negli eserciti forme di insubordinazione di massa.
In che modo? Impossibile - e sbagliato - pianificarlo a tavolino: i bolscevichi hanno agito in base alla situazione militare specifica in cui si trovavano (diversa, ad esempio, da quella tedesca), senza teorizzare una formula valida per tutte le stagioni.
Ciò che invece resta valido, oggi come allora, è la parola d'ordine del disfattismo rivoluzionario, contro le guerre della borghesia e l'ipocrisia del pacifismo.
nn voglio tirare l'acqua al
nn voglio tirare l'acqua al mio mulino x forza... ma la posizione del radicarsi nell' esercito per poi dirigerne la rivolta al momento opportuno mi pare molto simile a quella sindacale classica 3internazionalista ( è la posizione, ad es., di LotCom almeno fino a qualche tempo fa quando c'era la leva obbligatoria ).
Credo che eventuali insubordinazioni nell' esercito sul campo seguano evenutali rivolte in patria che indeboliscano il "sistema" e nn viceversa.
Ovvio poi che a priori nn si possa escludere nulla.
L'esercito zarista era un esercito che poteva permettersi di perdere svariate migliaia di soldati in un solo giorno in una offensiva "sfortunata" - oggi nn credo che nessuno esercito moderno possa permettersi tali perdite se nn altro x il costo economico di ogni singolo soldato. Senza contare che dalla 2 guerra mondiale in poi il 90% delle vittime delle guerre sono civili e nn militari al contrario della prima.