Ci sbrighiamo a fare il comunismo o no? Il rischio è di arrivare tardi, quando ormai il capitalismo avrà danneggiato il pianeta e la salute della specie umana in modo irreversibile.
*"* //*aras: tra morti nella raffineria dei Moratti. Le testimonianze di due operai della zona*// //
*Francesca Mannocchi, Radio Città Aperta*
Le morti sul lavoro diventano presto anonimi elenchi. Dopo ogni lutto ci si ferma per il cordoglio necessario e per aggiornare le statistiche. Dopo la strage di ieri alla Saras di Sarroch nel cagliaritano, i morti nelle cisterne aumentano di tre e si vanno ad aggiungere a quella ‘lista della spesa’ che campeggia in ogni quotidiano; così tornano in mente i due operai morti mentre pulivano una stiva a Porto M arghera (Gennaio 2008), le cinque vittime delle esalazioni di una cisterna a Molfetta (Marzo 2008), i sei operai morti a Mineo, in Sicilia, mentre pulivano un depuratore (Giugno 2008).
Tutte queste tragedie hanno come comune denominatore da un lato la scarsa attenzione dei media, dall’altro il tentativo da parte degli operai di aiutare i propri compagni che unisce tutte queste morti. Ieri la Saras, petrolchimico di proprietà della famiglia Moratti, ha ucciso Pierluigi Solinas di 26 anni, Daniele Melis di 28 anni e Bruno Muntoni di 56 anni (che lascia quattro figli). Gianluca Fazio, il quarto operaio giunto in soccorso dei compagni è sopravvissuto dopo aver visto morire gli altri tre. Gianluca è siciliano, di Siracusa, ha accettato un lavoro per 900 euro al mese alla Comesa, cooperativa sociale che lavora a contratto nella raffineria per la pulizia degli impianti, perché in Sicilia lavoro non ce n’è.
La cisterna dove sono morti i tre operai serve a trasformare il gasolio in blu diesel, è invasa da vapori di azoto e l’azoto può uccidere- e infatti è successo - in pochi secondi, perché brucia ogni molecola di ossigeno che incontra. I vertici della fabbrica si sono precipitati in Sardegna, a sottolineare l’impegno profuso nel settore sicurezza, come si legge anche sul sito della Saras. Ma questo impianto era già da qualche mese sotto i riflettori a causa di un documentario, ‘Oil’ di Massimiliano Mazzotta, che coadiuvato da un ricercatore dell’Università di Firenze Annibale Biggeri, mette in relazione l’alta incidenza dei decessi dovuti a malattie tumorali nella zona industriale e limitrofa, con l& rsquo;attività della raffineria. La Saras, naturalmente, ha chiesto il sequestro del film ed è fissata per questo mese l’udienza in tribunale.
La famiglia Moratti, dunque, si preoccupa del danno d’immagine, intanto gli operai piangono i compagni e organizzano delle mobilitazioni dopo la forte tensione di ieri davanti ai cancelli, alla notizia della strage.
Gli operai sono indignati, rischiano la vita per novecento euro al mese, per turni di lavoro massacranti. Ai microfoni di Radio Città Aperta, Luca Lai, della Cub del polo industriale di Sarroch, ha spiegato che “il vero problema sicurezza è che i padroni vogliono aumentare il profitto sulle spalle dei lavoratori, sulla carta- dice- le norme di sicurezza sono rispettate, ma per economizzare sulla f orza lavoro, si tende ad ottenere la stessa resa con la metà degli operai. In alcuni stabilimenti- dice Lai- fino a qualche tempo fa lavoravano quattro o cinque operai, oggi ne basta addirittura uno. I rischi, naturalmente, si moltiplicano fino a tragedie come quella di ieri”.
È il ricatto occupazionale che torna come filo rosso di tutte queste morti. Anche quando l’allarme diventa routine, come alla Saras, dove solo una settimana fa erano state denunciate emissioni anomale.
L’azienda poi, ha una storia lunga che ha determinato sconvolgimenti paesaggistici e sociali nell’area del cagliaritano che occupa. Questo impianto è stato progettato nel 1962 ed ha iniziato la sua attività nel 1965, su idea della famiglia Moratti. È composto da 19 stabilimenti, tra impianti di generazione elettrica e raffinerie e si estende su tre chilometri quadrati con mille dipendenti diretti e tremila per l’indotto. È una delle raffinerie più importanti del Mediterraneo, distilla 300 barili al giorno, il 15% della produzione italiana, la cui produzione è destinata per la metà al mercato italiano e per l’altra metà al mercato estero.
L’incidenza non è, però, solo paesaggistica (e per paesaggistica si intende mare e cielo che diventano spesso neri tra il fumo e i miasmi), è legata al fatto che la famiglia Moratti, a Sarroch, non ha costruito solo il petrolchimico, ma anche una città da esso dipendente, dove risiedono la stragrande maggioranza dei lavoratori , come ci racconta Manuele Tronci, operaio cassintegrato nel cagliaritano: “q uando si passa con la macchina vicino alla Saras, vengono i brividi, non solo per la puzza, ma anche per come ha sconvolto una delle parti più belle della Sardegna e perché il quartiere dove sono ‘confinati’ gli operai sembra un contentino dato dalla Saras, li fanno vivere poco, ma per quel poco cercano di farli vivere bene”. Manuele spiega che il quartiere della Saras, ‘La Industria’, come la chiamano i giovani è vista come una sorta di punto d’arrivo, la liberazione dalla disoccupazione, un contratto vero perché gli operai con contratto chimico alla Saras hanno contratti da duemila euro al mese, ed è un elemento di cui l’azienda si vanta. “Il punto- dice Manuele- è che ormai gran parte dei lavori vengono subappaltati a ditte esterne, come la Comesa, appunto, in cui i lavoratori sono costretti a turni massacranti. La mia azienda- spiega ancora- è finita per giorni sui principali quotidiani della Sardegna perché ci siamo rifiutati di accettare la proposta di lavorare undici ore al giorno. Noi lavoriamo con corde d’acciaio, nella mia fabbrica quando non si contano i morti, si contano le dita che perdono i miei compagni. Molti operai che ho intorno hanno mani distrutte dal lavoro, anche senza quatto dita”: è questa dunque la base del ‘problema sicurezza’. Il ricatto occupazionale al quale sono sottoposti gli operai e che spesso fa leva sul disagio giovanile di zone particolarmente problematiche, come lo è in parte la Sardegna.
Manuele ora è in cassa integrazione. E ci tiene a ricordare che la Sardegna non è solo il suo mare.//"
Ci sbrighiamo a fare il
Ci sbrighiamo a fare il comunismo o no? Il rischio è di arrivare tardi, quando ormai il capitalismo avrà danneggiato il pianeta e la salute della specie umana in modo irreversibile.
il video oltretutto è
il video oltretutto è precedente alla sicagura...
mi pare interessante questa testimonianza
*"* //*aras: tra morti nella raffineria dei Moratti. Le testimonianze di due operai della zona*// //
*Francesca Mannocchi, Radio Città Aperta*
Le morti sul lavoro diventano presto anonimi elenchi. Dopo ogni lutto ci si ferma per il cordoglio necessario e per aggiornare le statistiche. Dopo la strage di ieri alla Saras di Sarroch nel cagliaritano, i morti nelle cisterne aumentano di tre e si vanno ad aggiungere a quella ‘lista della spesa’ che campeggia in ogni quotidiano; così tornano in mente i due operai morti mentre pulivano una stiva a Porto M arghera (Gennaio 2008), le cinque vittime delle esalazioni di una cisterna a Molfetta (Marzo 2008), i sei operai morti a Mineo, in Sicilia, mentre pulivano un depuratore (Giugno 2008).
Tutte queste tragedie hanno come comune denominatore da un lato la scarsa attenzione dei media, dall’altro il tentativo da parte degli operai di aiutare i propri compagni che unisce tutte queste morti. Ieri la Saras, petrolchimico di proprietà della famiglia Moratti, ha ucciso Pierluigi Solinas di 26 anni, Daniele Melis di 28 anni e Bruno Muntoni di 56 anni (che lascia quattro figli). Gianluca Fazio, il quarto operaio giunto in soccorso dei compagni è sopravvissuto dopo aver visto morire gli altri tre. Gianluca è siciliano, di Siracusa, ha accettato un lavoro per 900 euro al mese alla Comesa, cooperativa sociale che lavora a contratto nella raffineria per la pulizia degli impianti, perché in Sicilia lavoro non ce n’è.
La cisterna dove sono morti i tre operai serve a trasformare il gasolio in blu diesel, è invasa da vapori di azoto e l’azoto può uccidere- e infatti è successo - in pochi secondi, perché brucia ogni molecola di ossigeno che incontra. I vertici della fabbrica si sono precipitati in Sardegna, a sottolineare l’impegno profuso nel settore sicurezza, come si legge anche sul sito della Saras. Ma questo impianto era già da qualche mese sotto i riflettori a causa di un documentario, ‘Oil’ di Massimiliano Mazzotta, che coadiuvato da un ricercatore dell’Università di Firenze Annibale Biggeri, mette in relazione l’alta incidenza dei decessi dovuti a malattie tumorali nella zona industriale e limitrofa, con l& rsquo;attività della raffineria. La Saras, naturalmente, ha chiesto il sequestro del film ed è fissata per questo mese l’udienza in tribunale.
La famiglia Moratti, dunque, si preoccupa del danno d’immagine, intanto gli operai piangono i compagni e organizzano delle mobilitazioni dopo la forte tensione di ieri davanti ai cancelli, alla notizia della strage.
Gli operai sono indignati, rischiano la vita per novecento euro al mese, per turni di lavoro massacranti. Ai microfoni di Radio Città Aperta, Luca Lai, della Cub del polo industriale di Sarroch, ha spiegato che “il vero problema sicurezza è che i padroni vogliono aumentare il profitto sulle spalle dei lavoratori, sulla carta- dice- le norme di sicurezza sono rispettate, ma per economizzare sulla f orza lavoro, si tende ad ottenere la stessa resa con la metà degli operai. In alcuni stabilimenti- dice Lai- fino a qualche tempo fa lavoravano quattro o cinque operai, oggi ne basta addirittura uno. I rischi, naturalmente, si moltiplicano fino a tragedie come quella di ieri”.
È il ricatto occupazionale che torna come filo rosso di tutte queste morti. Anche quando l’allarme diventa routine, come alla Saras, dove solo una settimana fa erano state denunciate emissioni anomale.
L’azienda poi, ha una storia lunga che ha determinato sconvolgimenti paesaggistici e sociali nell’area del cagliaritano che occupa. Questo impianto è stato progettato nel 1962 ed ha iniziato la sua attività nel 1965, su idea della famiglia Moratti. È composto da 19 stabilimenti, tra impianti di generazione elettrica e raffinerie e si estende su tre chilometri quadrati con mille dipendenti diretti e tremila per l’indotto. È una delle raffinerie più importanti del Mediterraneo, distilla 300 barili al giorno, il 15% della produzione italiana, la cui produzione è destinata per la metà al mercato italiano e per l’altra metà al mercato estero.
L’incidenza non è, però, solo paesaggistica (e per paesaggistica si intende mare e cielo che diventano spesso neri tra il fumo e i miasmi), è legata al fatto che la famiglia Moratti, a Sarroch, non ha costruito solo il petrolchimico, ma anche una città da esso dipendente, dove risiedono la stragrande maggioranza dei lavoratori , come ci racconta Manuele Tronci, operaio cassintegrato nel cagliaritano: “q uando si passa con la macchina vicino alla Saras, vengono i brividi, non solo per la puzza, ma anche per come ha sconvolto una delle parti più belle della Sardegna e perché il quartiere dove sono ‘confinati’ gli operai sembra un contentino dato dalla Saras, li fanno vivere poco, ma per quel poco cercano di farli vivere bene”. Manuele spiega che il quartiere della Saras, ‘La Industria’, come la chiamano i giovani è vista come una sorta di punto d’arrivo, la liberazione dalla disoccupazione, un contratto vero perché gli operai con contratto chimico alla Saras hanno contratti da duemila euro al mese, ed è un elemento di cui l’azienda si vanta. “Il punto- dice Manuele- è che ormai gran parte dei lavori vengono subappaltati a ditte esterne, come la Comesa, appunto, in cui i lavoratori sono costretti a turni massacranti. La mia azienda- spiega ancora- è finita per giorni sui principali quotidiani della Sardegna perché ci siamo rifiutati di accettare la proposta di lavorare undici ore al giorno. Noi lavoriamo con corde d’acciaio, nella mia fabbrica quando non si contano i morti, si contano le dita che perdono i miei compagni. Molti operai che ho intorno hanno mani distrutte dal lavoro, anche senza quatto dita”: è questa dunque la base del ‘problema sicurezza’. Il ricatto occupazionale al quale sono sottoposti gli operai e che spesso fa leva sul disagio giovanile di zone particolarmente problematiche, come lo è in parte la Sardegna.
Manuele ora è in cassa integrazione. E ci tiene a ricordare che la Sardegna non è solo il suo mare.//"