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Home ›Note sul corteo sindacale del 3 dicembre a Roma
Il corteo, che doveva unire le varie anime del sindacalismo di base, si è invece trasformato in una messa in scena per “conquistare” la testa del corteo. Nello specifico, tra le sue anime più numerose e significative: il SiCobas e l'USB.
Lo sciopero unitario del venerdì ed il corteo nazionale del sabato, nella testa degli organizzatori, ambivano a ricostruire l'unità di classe di un proletariato spaurito e diviso,
attraverso una nuova unità di intenti e d'iniziativa da un punto di vista sindacale, ovvero attraverso un accordo tra le varie sigle e le loro dirigenze. Un accordo dall'alto che non tiene conto degli interessi reali del proletariato, ma esclusivamente delle mire rappresentative delle compagini sindacali in campo. Non a caso, le premesse, seppur intelligenti (è infatti allucinante, anche da un punto di vista meramente sindacale, voler dividere il fronte di classe in mille sigle), si sono scontrate con ben altri interessi da quelli della nostra classe, ovvero quelli di bottega, della rappresentatività davanti ai padroni (vero obiettivo di ogni sindacato che voglia pesare sul palcoscenico della contrattazione), del settarismo che da anni divide la nostra classe disarmandola della sua unica arma (l'unità di classe) e perciò indebolendola nello scontro con la controparte padronale.
Il sindacalismo di base o conflittuale che dir si voglia, non solo non è in grado di vedere oltre il proprio naso del vertenzialismo (ma del resto come potremmo mai aspettarcelo, dato che questa è la sua natura?), ma con le sue logiche gruppettare e autoreferenziali si dimostra strumento inadeguato anche per condurre lo scontro sul piano del rapporto capitale-lavoro.
Ancora una volta, e forse in maniera ancora più eclatante, i sindacati di base si dimostrano un vero e proprio argine all'unità della classe proletaria sul terreno della sua difesa economica. Sabato hanno dimostrato senza veli di essere interessati esclusivamente alla loro auto-rappresentazione, il tutto a discapito degli interessi della classe che sta subendo gli effetti della guerra, della crisi e della relativa offensiva padronale.
Da un punto di vista politico, il richiamo all'internazionalismo è del tutto strumentale e motivo più di etichetta, che di prospettiva politica reale da costituire qui e ora contro la guerra e la sua economia anti-proletaria. Se una cosa – tra le tante, a dire il vero - abbiamo imparato dalla rivoluzione bolscevica è proprio che solo con la rivoluzione proletaria si può fermare la guerra, ma di questa prospettiva e dei relativi passaggi per renderla viva nel proletariato nessuno parla e probabilmente nemmeno vuole, soprattutto dal momento in cui le ricette sono ben altre. Da un internazionalismo di maniera fino ad un “campismo” neanche troppo velato, per un corteo contro la guerra non c'è che dire.
Da parte nostra non possiamo che essere rattristati da un corteo di solo ceto politico/sindacale, che rende l'idea dell'inesistente capacità attrattiva verso nuove forze proletarie, anche solamente sul piano dei loro interessi immediati. Un corteo che esprime divisioni sul terreno sindacale e ammucchiate su quello politico.
L'ennesima dimostrazione di come il sindacato di base oggi sia una arma spuntata per condurre lotte vere e addirittura argine ad una rinnovata unita di classe sul terreno della lotta economica.
Per riassumere e ribadire il nostro punto di vista, il comportamento dei sindacati “di base”, che pone in primo piano l'ambizione alla leadership nell'ambito del sindacalismo “alternativo”, finisce per rompere anche quel piccolo spezzone di classe combattiva che riesce ad aggregare, contribuendo alla frammentazione delle lotte e alla impossibilità di una crescita politica, nonostante i camuffamenti "internazionalisti" contro la guerra. Il contorno degli slogan contro la guerra e l'economia di guerra sono solo parole al vento, se non vengono accompagnate dall'indicazione di un'alternativa rivoluzionaria al capitalismo, che è la causa prima delle guerre, dei sacrifici a cui sono chiamati i proletari, dei tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni, per non parlare del disastri ambientali.
Alle molte compagne e compagni che sono rimasti disgustati dal pessimo spettacolo offertoci, rinnoviamo la necessità di rilanciare una reale autorganizzazione tra lavoratrici e lavoratori, della connessione dal basso delle realtà in lotta e della costruzione di momenti assembleari veramente decisionali che possano far crescere l'esperienza e la consapevolezza di coloro che li animano, contro ogni burocratizzazione e professionalismo, cioè chi intende la difesa degli interessi economici della classe come un mestiere.
Oggi è più che mai necessario uscire dalla gabbie sindacali per rilanciare una reale iniziativa di classe che abbia come scopo difenderci dagli attacchi dell'economia di guerra.
Anche in relazione a questo rilanciamo l'invito a costruire insieme a noi i comitati "contro la guerra imperialista per la guerra di classe", strumenti per rilanciare dentro le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici la prospettiva di classe per l'emancipazione dalla schiavitù salariale e dal sistema della guerra e dell'oppressione.
Bastian contrario
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