Governo Prodi: bilancio dei suoi primi cento giorni

Alcuni provvedimenti contro la piccola borghesia, poi tante mazzate al proletariato

Il centro sinistra ha svolto la campagna elettorale presentandosi come forza del risanamento e del rilancio economico convincendo gran parte dei proletari italiani a concedere la fiducia alle stesse forze politiche che, quando hanno governato, avevano già mostrato il loro carattere anti proletario (ricordate la riforma Dini delle pensioni, quella di Treu del mercato del lavoro e le prime privatizzazioni dei servizi pubblici?).

Ora, dopo i primi provvedimenti e l’annunciata legge finanziaria, siamo in grado di poter affermare che le nostre previsioni, ahimè facili da fare, sono confermate: questo governo è stato sostenuto da forti settori della borghesia italiana col preciso compito di realizzare quegli interventi che il centro destra non sarebbe riuscito a far digerire al proletariato. Insediatisi al potere, Prodi e compagni si sono immediatamente messi all’opera.

Col decreto Bersani il governo ha voluto colpire alcuni settori deboli della piccola borghesia favorendo il grande capitale e la sua concentrazione. È il caso della vendita nei supermercati dei farmaci cosiddetti da banco, del provvedimento, in parte rientrato per la dura opposizione degli interessati, per liberalizzare le licenze dei tassì e dei panifici, della norma che abolisce le tariffe minime di alcuni ordini professionali e che consente la costituzione di società di capitale per la fornitura di servizi legali con la possibilità di pubblicizzare le relative tariffe. Il tutto condito con altre misure di minore importanza. Si è trattato di un provvedimento che, senza minare sostanzialmente gli interessi economici che gravitano attorno alle categorie interessate, molto numerose in Italia, ha voluto lanciare il messaggio politico di una svolta.

La reazione non si è fatta attendere. La minaccia di proletarizzazione per alcuni, o semplicemente l’attacco ai propri interessi corporativi per altri, è bastata per far inferocire questi settori di piccola borghesia e a farli scendere in piazza. Per noi non si è trattato di una politica proterva ma di un altro segnale della gravità della crisi capitalistica che ha costretto la borghesia italiana ad allargare l’orizzonte dei propri attacchi anche a questi strati della piccola borghesia; certo si tratta di alcuni piccoli interessi intaccati, che non gettano ancora questa semi-classe nel baratro della povertà, ma il fatto è politicamente significativo perché testimonia il restringersi dei margini coi quali la borghesia può gestire la crisi economica.

L’indulto. Abbiamo assistito al più miserevole mercanteggiamento tra forze di governo e di opposizione. Dato che per approvare il provvedimento erano necessari i due terzi del parlamento e che esso rientrava da tempo tra le cose necessarie da fare (le prigioni scoppiano per il sovraffollamento, soprattutto di tossicodipendenti e di extracomunitari), si è trovata subito la soluzione per redimere, insieme alla gente più sfortunata ed emarginata della società, i soliti gaglioffi in doppiopetto che hanno truffato, concusso, corrotto, falsificato i bilanci societari e chi più ne ha più ne metta. Basti pensare che circa il trenta per cento dei parlamentari della vecchia e nuova legislatura hanno carichi pendenti con la giustizia per reati di questo tipo. Proprio l’ala più a sinistra del governo, riflettano tutti coloro che ancora nutrono illusioni su di essa, ha addirittura esultato per il provvedimento. Bertinotti, ormai senza più alcun pudore, è stato l’unico a dichiarare con soddisfazione che:

la democrazia è uscita rafforzata dal provvedimento d’indulto perché solo delle istituzioni forti si possono permettere la clemenza [!]

Anche Caruso, rappresentante in parlamento dei pacifisti e dei no global, quindi dell’ala estrema dello schieramento governativo, ha trovato la motivazione per accodarsi: si è trattato, egli ha detto, di un compromesso per salvare i compagni colpiti dalle denunce dell’apparato repressivo borghese. Ecco cosa succede quando si sposta la lotta dalle piazze e dai luoghi di lavoro alle aule parlamentari: si finisce necessariamente per accettare ogni sorta di compromesso cadendo nella mefitica rete del mercanteggiamento tra i partiti borghesi.

Missione in Iraq, Afghanistan e Libano. Qui, senza che si siano levate significative opposizioni tra i parlamentari dell’estrema sinistra, si è accentuata l’azione, già avviata dalla destra, di un marcato interventismo militare dell’Italia. Il nuovo governo non solo non ha ritirato un soldato dall’Irak e ha rifinanziato la missione in Afghanistan ma ha deciso una nuova avventura militare in Libano che presto, è scontato, provocherà ulteriori morti tra i soldati italiani (e non solo). Politica più apertamente filoamericana con Berlusconi, più europeista con Prodi. Questa è l’unica differenza tra i due governi e di queste differenze i proletari non sanno che farsene quando poi sono loro stessi a partire armi in pugno e/o a pagare i costi delle spedizioni. Il movimento pacifista, cosa da noi sempre prevista, si è dissolto nel nulla nel momento in cui l’interventismo è stato orchestrato da un governo di sinistra ed ha finito per sostenere, attraverso i suoi parlamentari, l’azione imperialista della borghesia italiana ed europea interessate a essere presenti militarmente in un’area del mondo di grande rilevanza strategica.

Dunque, in questo scenario si sta preparando la campagna d’autunno contro il proletariato. Sì, perché la manovra economica che si farà con la finanziaria sarà il perno della politica del cosiddetto risanamento e sviluppo. In pratica sarà sferrato un duro colpo ai salari, in primis a quelli dei pubblici dipendenti con l’annacquamento della contrattazione, e alla solite sanità e pensioni (già si parla di un nuovo allungamento della vita lavorativa fino a 62 anni anche se il provvedimento sarà varato nel 2007); la scuola sarà colpita con un forte taglio dei docenti, la pubblica amministrazione col blocco del turn over, la sanità con nuovi ticket e gli enti locali con tagli di ulteriori finanziamenti a cui seguiranno inasprimenti della fiscalità. Tutto ciò, una pesantissima manovra di circa 32 miliardi di euro, si tradurrà presto nell’ennesimo peggioramento della vita e delle condizioni economiche proletarie. L’unica novità è quella dell’innalzamento della pressione fiscale sulla piccola borghesia (assunta nelle aziende) con redditi sopra ai 70.000 euro annui. Della tanto sbandierata lotta all’evasione fiscale i provvedimenti nella finanziaria non recano praticamente traccia. Ecco allora materializzarsi il vero obiettivo dell’attuale politica governativa: recuperare quattrini dalle tasche del proletariato e di una parte della piccola borghesia per rilanciare il grande capitale italiano.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.