Ri-sapevano eccome (ancora sul 7 ottobre '23)

Ritorniamo sul 7 ottobre '23, per ribadire alcune cose, non da ultimo rispetto a chi considera quel fatto tragico e infame tra le più alte espressioni di antimperialismo.

La farsa del “non ne sapevamo nulla e abbiamo sottovalutato le potenzialità di Hamas” nella tragica vicenda del 7 ottobre non sta assolutamente in piedi. Il governo Netanyahu accusato da una pressante opposizione interna, nata dai famigliari degli ostaggi e appoggiata da larghi strati della popolazione, doveva in qualche modo dare una risposta. La risposta è arrivata con tanto di conseguenze ai vertici militari dell’IDF (esercito israeliano).

In prima battuta si è riproposta la tesi secondo la quale le informative, provenienti da più parti, non sono state ritenute credibili per l'inaffidabilità delle fonti e che lo Shin Bet le ha classificate come fasulle. Successivamente si è adottata la “falsa” narrazione che Hamas non avesse le capacità tecniche per organizzare un simile attacco. In aggiunta, come se fosse una valida giustificazione da esibire all’opinione pubblica interna e internazionale, si è fatta circolare la notizia che l’IDF fosse distratto dall’impegnato in Cisgiordania lasciando così sguarnito il fronte di Gaza al confine con l’Egitto. Come a dire “avevamo ben altro a cui pensare” che non dar retta alle “dicerie” sulle intenzioni di Hamas.

Al dunque però, per tacitare una volta per tutte l'inferocita apposizione, Netanyahu ha dovuto far saltare qualche testa che, guarda caso, apparteneva alla schiera dei suoi nemici di governo. Il primo costretto a dimettersi dal suo ruolo di capo di stato maggiore dell’esercito è stato il generale Herzi Halevi, che si è assunto l'onere delle presunte responsabilità (inettitudine) dell’IDF in occasione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il generale ha coattamente recitato la sua parte, il ”mea culpa”, dicendo: "Ero il comandante dell'esercito il 7 ottobre e ho le mie responsabilità, in quanto capo dell'esercito". Recita seguita dalle inevitabili dimissioni, come ammenda, auto inflitta, per la mancata vigilanza in occasione dell’attacco che ha ucciso 1200 cittadini israeliani e preso in ostaggio altri 251 (non solo israeliani). Che tutto questo sia stata una tragica farsa lo dimostrano, oltre gli avvertimenti del capo dei servizi segreti egiziani, i programmi televisivi di Channel 12 e il dossier di 40 pagine pubblicato dal New York Times dove si descrivono anche i dettagli di come sarebbe stato l’attacco del 7 ottobre. Inoltre, e soprattutto, un'indagine di un alto funzionario militare di cui, ovviamente, non si è mai fatto il nome.

Sinwar preparava il 7 ottobre dal 2017

L'indagine da parte di questo funzionario militare israeliano ha inizialmente affermato che, negli ambienti dello Shin Bet come del Mossad, la presunta percezione che Hamas non volesse la guerra, avrebbe comportato decisioni errate che portavano a non intraprendere azioni militari preventive per proteggersi adeguatamente da attacchi come quello che si è verificato il 7 ottobre. Era la solita manfrina del “non sapevamo” o della “sottovalutazione” ma in chiusura il funzionario militare ha dovuto anche dichiarare che l'intelligence israeliana era a conoscenza di tutti gli avvertimenti e che il defunto leader di Hamas Yahya Sinwar pianificava l'attacco già dal 2017. Ma allora come è possibile che Hamas abbia potuto dare vita a un episodio simile, indisturbato e senza la purché minima opposizione quando era palese ai servizi segreti israeliani, e non solo, che lo si programmava dal 2017 e che gli avvertimenti dei servizi segreti egiziani e altre fonti interne paventavano l’attacco ai primi di ottobre? La risposta è semplice. Israele non aspettava altro che l’attacco avesse luogo per mettere in atto il suo pressante programma di stroncare tutti i rami del nemico iraniano: Hamas, Hezbollah, lo jihadismo sciita in Siria, quello iracheno, indebolendo così un alleato della Cina in uno snodo importante della Via della Seta, per poi dedicarsi alla “storica” questione interna di annullare l’idea del progetto “due popoli e due Stati”. Non è mancato ovviamente l’appoggio americano che ha giudicato la vecchia proposta dei due Stati come impraticabile. Trump ha aggiunto che lo Stato di Israele ha il diritto, non solo di tenersi tutti i territori precedentemente occupati, ma di poter prendere possesso anche di buona parte dei territori della Cisgiordania e, per il “palazzinaro Trump”, fare di Gaza un luogo di business di lusso per miliardari internazionali. (infame il progetto di una nuova Miami mediterranea che dovrebbe sorgere sul sangue del popolo palestinese che gli stessi Usa hanno contribuito a spargere). Ai palestinesi si consiglia di migrare in altri posti, che altro non sarebbero che dei campi profughi, se non addirittura dei lager, in qualche paese arabo che, per tanti soldi, si proponesse come interessato ospitante. Esempio di come l’arroganza della forza bruta dell'imperialismo non abbia limiti. Il duo Trump -Netanyahu ha prodotto in Medio Oriente, con una determinazione devastante, un nuovo ordine imperialista di cui i presidenti americani sono i mandanti e il capo del governo israeliano l’esecutore materiale, con tutti i vantaggi del caso per le sue strategie nazionalistiche e di dominio nel nuovo ordine mediorientale. Intanto Il Segretario di Stato americano Marco Rubio, a mo' di risarcimento dello sforzo bellico israeliano, ha reso noto di aver firmato una dichiarazione per accreditare circa 4 miliardi di dollari di aiuti militari a Israele. E così si chiude il cerchio a vantaggio di entrambi. Altro che “non ne sapevamo niente e siamo stati colti di sorpresa”.

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Questa è solo una nota, per chi volesse saperne di più consigliamo la lettura dell’articolo “La barbarie infinita del Medio Oriente” in Prometeo N°32

Giovedì, March 6, 2025