Il “socialismo” bolivariano mostra il bluff

In Venezuela già da settimane le masse proletarie (soprattutto) sono scese in piazza.

Il lato positivo è che, seppure con slogan democratici, sono stufe di farsi prendere per i fondelli da chi - dai tempi di Chavez fino a Maduro - usa il nome del socialismo per mascherare quel bolivarismo che altro non era, sotto il make up di una struttura istituzionale democratica con tanto di parlamento e opposizione, la forma (più o meno) statale di oppressione dei lavoratori e di gestione della proprietà delle fabbriche, dei commerci e delle banche, dove c'era poco o nessuno spazio per il dissenso.

Il lato negativo è che, in assenza di un'organizzazione realmente rivoluzionaria, queste migliaia di sfruttati diventeranno massa di manovra di una parte della borghesia - quella che guarda agli USA e al capitalismo sotto la veste della libera iniziativa e della proprietà non più statale, ma privata, dei mezzi di produzione - contro l'altra parte. Il regime di Chavez prima e di Maduro poi ha potuto godere di una fase di relativa crescita finanziata grazie alla rendita petrolifera e alla partnership con i paesi del blocco imperialista avversario di quello Nato, il triangolo Mosca - Pechino - Teheran.

Ne è conseguito lo sviluppo di uno stato sociale che – almeno nei primi tempi - garantiva un certo accesso al sistema sanitario, previdenziale e all'istruzione, diminuiva la povertà estrema. La cosa in sé però non incideva più di tanto sui rapporti di forza tra capitale (statale e privato) e lavoro, rapporti di dominio del primo sul secondo, il quale era schiacciato da una situazione di indigenza che sarebbe esplosa soprattutto con l'andirivieni del prezzo del petrolio. Dall'oro nero infatti dipendeva tutta l'economia venezuelana che aveva puntato solo su quello e si era rivelata incapace di diversificare le esportazioni e l'economia in generale. Alla crisi economica è seguita inevitabilmente la crisi del chavismo, a cavallo tra la morte del leader che gli ha dato il nome e gli esordi di Maduro.

Dopo la vittoria elettorale delle opposizioni a quest'ultimo, la sua risposta è stata riempire la magistratura venezuelana di uomini a lui vicini e poi di creare un'assemblea costituita esclusivamente da bolivaristi. Il paese ha in seguito al 2015 attraversato anche la fase dello scontro tra Maduro e Guaidó - uomo di punta dello schieramento che guardava alla Casa Bianca - arrivando fino ai giorni nostri a quella post elettorale del 2024.

Durante questa, le opposizioni del tandem Machado-Uritia, nel quale la prima è stata la vera anima della coalizione ma il candidato è stato il secondo a causa delle manovre giudiziarie di Maduro per estromettere la Machado dalla competizione, lo scenario sociale ha avuto come protagonisti la svalutazione della moneta, una crescente inflazione, la drammatica penuria di medicinali nelle farmacie e di merci nei supermercati, il frequente ricorso ai blackout nei centri urbani, al fine del risparmio energetico, e gli oltre 8 milioni di emigrati che rappresentano in così breve tempo l'esodo più grande della storia.

Nonostante Maduro le abbia provate tutte, compreso ovviamente il giocare la carta del nazionalismo allo scopo di lisciare il pelo agli alti ranghi delle forze armate rivendicando per Caracas la Guyana Essequibo, e nonostante il tentativo di ristabilire rapporti economici coi tanto odiati Yankee a cui, ha capito, se vuole sopravvivere ha bisogno di vendere il suo petrolio – ed essi per il proprio approvvigionamento, di acquistarlo - le cose gli sono sfuggite di mano. Il Paese è spaccato tra quelli che contestano il risultato vittorioso del presidente uscente e quelli che ne sostengono l'autenticità. Entrambi gli schieramenti si fanno la guerra per sostenere due diverse forme di sfruttamento del proletariato e di dittatura della borghesia, seppur mascherate in modi diversi.

Con la vittoria dell'uno o dell'altro fronte, i lavoratori venezuelani hanno comunque perso, perché rimarrà immutata o cambierà la forma, la sostanza resterà sempre fatta di sacrifici, sangue e sudore per loro. L'unica speranza per il proletariato venezuelano è guardarsi dai creatori di consenso, demagoghi al soldo di questa o di quella parrocchia borghese che possono litigare su di tutto ma su di una cosa non discutono affatto: il capitalismo non si tocca.

L'appello che noi lanciamo ai soggetti o alle sparute avanguardie entro quei confini, oltre a quello di dare vita al Partito rivoluzionario, strumento politico irrinunciabile, è di dare fiducia agli sfruttati sul fatto che una società alternativa al capitalismo è tuttora possibile, che in questa società le macchine su cui lavoreranno o i trasporti di cui si serviranno non saranno proprietà dello Stato ma di tutti, ovvero della collettività la quale, una volta eliminate le disuguaglianze ossia le classi, farà a meno anche dello Stato - che verrà buttato in discarica - e infine che i leader del bolivarismo finora li hanno ingannati, perché quest'ultimo dal comunismo è separato da una distanza abissale.

La Vespa Rossa

PS Anche i compagni francesi del GRI hanno prodotto un articolo sul Venezuela, in cui, con la medesima ottica, va da sé, si citano ulteriori dati: leftcom.org

Venerdì, August 9, 2024