L’IMPERIALISMO MULTIPOLARE MASCHERATO DA “SOCIALISMO DEL XXI° SECOLO”

Sul carro di un ordine multipolare - dove (come si racconta) sarebbe possibile la diffusione di un originale “socialismo del XXI° secolo” - si affrettano a salire molti “esperti” (politologi) e intellettuali di ogni genere. Negli ultimi cento anni, hanno cambiato parecchi… furgoni ed ora si adeguano di fronte ai segnali di un mutamento del contesto politico generale e dei rapporti di forza tra le varie potenze. Soprattutto quando l’egemonia degli USA comincia a dare qualche segnale di indebolimento e potrebbe persino avviarsi ad un declino, sostituita dalla probabile ascesa della Cina (non solo economica ma pure militare) e con l’incognita della Russia dietro l’angolo: sugli altari già si espongono le icone di nuovi organismi internazionali, quali la SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) e i BRICS, che aspirano a far da contrappeso agli USA.

Qualcuno vede persino gli sviluppi di una lotta di massa – a “livello mondiale” - di natura antimperialista: malgrado il panorama sia quello di una persistente e incessante guerra commerciale ormai prossima a scontri armati, i multipolaristi immaginano una futura era di cooperazione multilaterale e di reciproco rispetto. Si dovrebbero stabilire armonici rapporti anche tra Stati che mantengono un atteggiamento ostile fra di loro, e questo farebbe riferimento ad alcuni aderenti tuttora ai Brics. Nonostante le loro angeliche dichiarazioni, tutti sono animati da un solo obiettivo: mettere liberamente le mani su tutto il plusvalore prodotto dallo sfruttamento della propria classe operaia senza condividerlo con gli USA, come oggi sono costretti a farlo.

E poi, se dovesse richiederlo la sopravvivenza del capitale di casa, perché non mettere le mani anche su quote del plusvalore proveniente da qualche altro paese più debole o sottosviluppato? Per questo è fondamentale avere una “libera ed autonoma” prospettiva di crescita e di rafforzamento, mantenendo alto quel saggio di profitto che invece sta calando ovunque, via via che progrediscono scienza e tecnica.

Libera concorrenza

Uno dei cavalli di battaglia dei multipolaristi è la rivendicazione di un libera concorrenza senza alcun vincolo (lo negherebbe la politica monopolistica degli USA). Pararadossalmente, fu proprio Marx a ricordarci – in riferimento al tema della cosiddetta libera concorrenza – che si tratta di una apparente eguaglianza con la quale operai e capitalisti si trovano posti sul mercato nella società borghese. Quindi, nulla di più falso vi è nel presentare la “concorrenza” come un elemento di libertà umana., Marx dichiarò che questa era una falsità poiché, «nella libera concorrenza, non gli individui, ma il capitale è posto in condizioni di libertà».

E va pure ricordato quanto Engels scriveva: «il monopolio genera la libera concorrenza e la libera concorrenza genera il monopolio». Il che significa che - nonostante le alte concentrazioni industriali e commerciali - la concorrenza rimane un fondamento del capitalismo, della sua vita economica e sociale. Nel medesimo tempo è una delle concause che vanno ad incrementare la caduta del saggio di profitto, e per questo dalla concorrenza sui mercati ad un conflitto bellico il passo è breve e gli scenari diventano sempre più violenti e devastanti. Ed è proprio perché non esiste capitalismo senza concorrenza nella produzione delle merci, che essa viene reclamata da chi vuole conquistare spazi nel mercato internazionale. Ed anche all’interno del “socialismo” accreditato alla Cina, sono proprio le aziende statali a metterla in pratica a nome del “popolo” e in realtà per assecondare un modo di produzione che anziché condurre al comunismo cerca ostinatamente di perpetuare i processi di accumulazione del capitale. E lo si fa spingendo la concorrenza ai più alti livelli anche fra le maggiori aziende e gli stessi monopoli di un polo imperialistico in competizione internazionale con altri.

Produrre per produrre: merci, s’intende!

Non potendo abbassare il costo di produzione riguardante le merci che entrano a far parte del ciclo produttivo, nella maggior parte dei casi si cerca una migliore organizzazione scientifica del lavoro accompagnandola col rinnovamento tecnologico e l'introduzione di macchine moderne. Le quali aiutano – addirittura fino a sostituirli in gran numero – i lavoratori a produrre un quantitativo maggiore di merci e quindi a diminuire i costi di produzione per ogni singola merce. Ma questo aumento del plusvalore trova un limite nel numero di operai sfruttati produttivamente. Comincia un incubo per il capitalismo: si abbassa il costo di produzione in rapporto alla quantità delle merci, ma siccome tutti i capitalisti sono costretti ad agire allo stesso modo, l'aumentata scala della produzione fa abbassare i costi di produzione in generale per tutti. Molti lavoratori, produttivi di plusvalore, diventano “esuberi”…

L'abbassamento relativo dei costi di produzione ha portato all'aumento di quella che Marx chiama composizione organica del Capitale: più capitale costante e meno capitale variabile_._ Cioè sempre meno operai mettono in moto più macchine e impianti. Ma i mercati, sia nazionali sia internazionali, non sono in grado - attraverso il valore di scambio - di vendere tutte le merci che si potrebbero produrre. Troppa è la popolazione che si trova in eccesso per i bisogni del capitale e quindi senza un salario (denaro) per acquistare merci.

E’ in questa situazione (aumento della razionalizzazione e automatizzazione della produzione di merci) che si abbassa il saggio di profitto. E sul mercato non si movimentano prodotti ma merci; mentre i primi si potrebbero conteggiare in precise quantità fisiche, chiaramente misurabili e programmabili, le merci si scambiano secondo il valore, un principio che non ammette ordini stabiliti, e che viene a loro attribuito in base al tempo medio di lavoro sociale necessario.

Ed eccoci al multipolarismo!

Si ritorna, in questa realtà che si va allargando “globalmente”, alle esaltazioni del concetto di sovranità nazionale, col quale molte borghesie dislocate soprattutto al Sud del mondo tentano di contenere l'unipolarismo dell’imperialismo USA. Trovano al momento appoggi sia da parte della Russia che della Cina; entrambe offrono loro una cooperazione più che altro di tipo finanziario, al momento “accattivante”… Ecco quindi che a tale offerta aderiscono i partigiani delle coesistenze pacifiche e armonie mondiali, considerandosi portatori di istanze che – formulate dal pensiero moderno di un Xi

Jinping - favorirebbero uno sviluppo positivo del modo di produzione capitalistico, opportunamente “socializzato” ma sempre però rispettando i suoi fondamentali rapporti di produzione. Il denaro, il valore di scambio delle merci, il capitale e il lavoro salariato non si toccano; il socialismo del XXI° secolo non ne potrebbe farne a meno! (1)

Pechino ha fino ad oggi concesso prestiti per circa 1 trilione di dollari; questi finanziamenti per i paesi che li ricevono sono debiti, denaro che dovrà essere restituito dopo la realizzazione di progetti infrastrutturali (reti e snodi logistici con trasporto ferroviario, stradale, marittimo e aereo) per aprire corridoi economici attraverso i quali incrementare lo scambio sempre più organizzato e veloce delle merci. Soprattutto aumentando la loro produzione, altrimenti l’occupazione come si potrebbe sviluppare e i redditi aumentare? Gli intellettuali a servizio del capitale, addolciscono la pillola con la promessa di ”emancipazione, indipendenza e sovranità” quale risultato di mercati sempre più liberi di farsi una “sana e leale concorrenza” al fine di presentarsi sul mercato con un prezzo appetibile.

Si tratterebbe - ci raccontano - di mettere un freno all’arroganza con la quale l’imperialismo della maggiore potenza economica e finanziaria – oggi gli USA – esige di poter controllare a proprio ed esclusivo vantaggio tutto ciò che economicamente e finanziariamente si intraprende nel mondo. Ma poi ci travisano la chiara verità: qualsiasi contropotere, fondandosi su progetti di sviluppo capitalistico, non potrà mai “modellare” diversamente questa realtà e il canto delle sirene, in particolare quelle del “socialismo del XXI° secolo”, già comincia a manifestare le proprie stonature. Vacillano le illusioni di una globalizzazione dai reciproci vantaggi, rispetto della sovranità e indipendenza dei paesi aderenti, prosperità condivisa e quant’altro. Scosse telluriche, approfondite e sempre più pericolose, si annunciano…

Chi - come noi - ritiene che l’imperialismo sia l’ultima possibile fase storica del capitalismo, si sbaglierebbe: il capitalismo starebbe per “socializzarsi” e mutare volto presentandosi con le sembianze di un amico fraterno e solidale del popolo. Come accennavamo all’inizio, si cerca di convincere il “popolo” sulla presenza di un movimento che libererà gran parte dell’umanità dal giogo imperialista degli USA. E’ di nuovo Xi Jinping che parla a nome di una Cina che si fa avanti come grande potenza economico-finanziaria, ancora però mancante, per ora, di una capacità militare che le consenta di intervenire ovunque ed imporre la sua egemonia… “socialista”. Per il momento agisce in questa direzione specialmente nel settore asiatico e in particolare nel Mar Cinese Meridionale: qui Pechino sta costruendo isole artificiali da trasformare in basi militari, col contorno di navi ed aerei ad armamento nucleare. Si tratterebbe – si dice - di creare “nuove soluzioni logistiche in Estremo Oriente e poi aprire la rotta del Mare del Nord come arteria di trasporto _globale_”. Alle “ricerche” di convenienti vie marittime, ferroviarie e aeree, si accompagnano iniziative per la logistica nazionale e internazionale. Tutte “nuove soluzioni” funzionali agli interessi del capitalismo orientale.

Guardando ad “un nuovo e più equo ordine mondiale multipolare”, si allarga un’altra specie di G7 con una Banca di Sviluppo, la New Development Bank (Ndb), che tenterebbe una concorrenza alla Banca Mondiale e al FMI; quindi alla centralità del dollaro, anche se la nuova Banca si è dotata come inizio di 50 miliardi di dollari… E così, al recente forum di Vladivostok, Putin si è impegnato nella ricerca di un sistema di “relazioni finanziarie, commerciali, economiche, confacente agli interessi di tutta l’umanità”!

Le manovre sono esaltate come l’inizio di un processo multipolare mirante ad una integrazione globale che unirebbe numerosi paesi nella prospettiva di un “mutuo guadagno” al quale il nuovo “ordine internazionale” (più equo, inclusivo e cooperativo…) sarebbe particolarmente interessato. Si promette la creazione di relazioni paritarie tra i vari Stati, coinvolti in azioni presentate in vesti democratiche e libertarie. Un’alternativa per “favorire” uno sviluppo (capitalistico, s’intende) senza lo strozzinaggio del FMI che – accusano - mette a rischio la sopravvivenza di governi e Stati deboli. Tutti, naturalmente e rigidamente, capitalisti… con attorno schiere di “servi sciocchi” pronti a ossequiare – col profondo spirito analitico che li contraddistingue – un nuovo ordine internazionale conveniente agli interessi e alle “logiche” di concorrenziali nuovi centri imperialistici.

Dunque, rinnovando le sfere d’influenza, si aprirebbero spazi politici di indipendenza e di autodeterminazione. La diffusione di questi veri e propri inganni – va detto chiaramente! – paragonano un multipolarismo imperialistico ad una manifestazione di lotta di classe, ridotta ad un comune interesse fra classi subalterne e borghesie nazionali che reclamano l’indipendenza per condurre affari più vantaggiosi, commerciali e finanziari, per loro e per il… popolo.

Una “lotta” la quale, anziché diretta dal proletariato e dal suo partito, lo sarebbe dalle locali borghesie nazionali sempre pronte a salire sul carro del proprio o dell’altrui capitale. E sempre proseguendo nel più brutale e bestiale sfruttamento che viene riservato ai lavoratori “liberati” da una oppressione straniera (al momento quella occidentale… ) per passare sotto l'ingerenza egemonica di un altro centro imperialista, questa volta orientale. In ogni caso, sempre con la prospettiva di una condizione di asservimento totale, materiale e… spirituale, al capitale.

Altrettanto chiaramente va detto che il movimentarsi di un’alta circolazione di merci e capitali è fondamentale per il capitalismo, ma esige oggi più che mai l’esercizio di una gestione imperialistica nella fase - per l’appunto - del massimo sviluppo capitalistico. E’ necessario un “controllo” (armato) delle scelte da imporre secondo gli interessi di questa o quella maggior potenza presente nella scena internazionale. La stessa caduta del saggio medio di profitto, con la crisi strutturale che si va aggravando, non fa che imporre una politica imperialistica, più che vitale per la momentanea esistenza del capitalismo.

Quella di un imperialismo pacifico, senza conflitti, è una pericolosa illusione, anzi una vera e propria falsità, che si baserebbe sull’avvento di una fase di cooperazione capitalista e pace diffusa, stabilendo un clima di fraterne collaborazioni tra le potenze statali. Ma l’imperialismo non è una linea, una scelta politica. Come scriveva Lenin, «l'imperialismo rappresenta l'ultima possibile forma fenomenica della politica capitalista mondiale". Non è possibile che ve ne sia un'altra». Lo stesso è per la corsa agli armamenti, il militarismo e la guerra: sono tutte inserite nella logica del capitalismo che dà loro origine e sviluppa via via che aumentano i contrasti che stanno rischiando una catastrofe per l'umanità

Il capitalismo fin dalla sua comparsa ha continuato a generare concorrenza e rivalità. La tendenza alla guerra è per esso irreversibile, determinata dalle insanabili contraddizioni che lo travagliano.

L'imperialismo, dirà Lenin, non è la "politica di alcuni governi" bensì la struttura del capitalismo giunto alla sua fase suprema.

L’imperialismo “socialista” di Pechino

In questo globale contesto, chiaro è l’obiettivo di Pechino: creare una “cintura economica lungo la Via della Seta” che consenta una espansione del traffico mercantile e finanziario nell’area Mediterranea e Baltica. Ed un corridoio economico - dice anche Biden - è un “grande investimento infrastrutturale” che rafforzerebbe quelle interconnessioni globali che interessano tutti, India-Medio Oriente-Europa e Usa. E pochi sanno che a prospettare un fac-simile della Nuova Via della Seta furono proprio gli Usa nel 1994 con il “Silk Road Strategy Act”, prima cioè che la competizione imperialistica esplodesse tra Usa, Cina e Russia. E oggi – in competizione con Pechino – gli Usa hanno in progetto “La Via del Cotone” mentre – per un passaggio in casa propria - si lancia una sua via alternativa (Golfo Persico-Europa).

Si cercano più rapidi tempi di consegna delle merci, con minori costi di assicurazioni e carburante; basterebbe ampliare i collegamenti europei, ferroviari e autostradali, verso i porti di Emirati e Qatar passando attraverso Iraq e Turchia. In prospettiva, anche la costruzione di oleodotti, gasdotti e impianti industriali lungo il percorso; investimenti per migliaia di dollari, sperando in ricavi altrettanto rilevanti.

La posta in gioco apre e allarga conflitti spietati: vedi le repressioni dei curdi in Turchia, i fatti che già hanno insanguinato le repubbliche caucasiche, i sabotaggi di oleodotti e gasdotti (Corridoio 8 e Corridoio 10 con la guerra tra Nato e Serbia). Tutti possibili corridoi strategici, lungo i quali si scontrano interessi europei ed asiatici, controllati da americani, cinesi e russi, con l’obiettivo assillante di favorire una veloce circolazione di merci.

Questi accadimenti caratterizzano un capitalismo in fase imperialistica, che vede l’India presentarsi come rivale della Cina, partecipante sia ai BRICS e sia alla “Santa Alleanza” con USA, Australia e Giappone (Quadrilateral Security Dialogue - QUAD). Dunque, un instabile e mutevole equilibrio (strategico, con prospettive di certo non pacifiche) tra Cina, Russia, Paesi centroasiatici e gli USA che non intendono abdicare al loro ruolo egemone.

CHI “MANOVRA” IL MULTIPOLARISMO

Agli applausi degli pseudo comunisti verso i centri imperialistici in formazione, va innanzitutto ricordato che il nostro compito è quello di guidare una lotta veramente di classe contro la borghesia e il capitale, sia esso privato o statale o “sociale”. Soltanto con lo sviluppo di questa lotta, e unicamente con essa, si formerà la coscienza di classe oggi presente soltanto in ristretti gruppi di avanguardia. Quelli impegnati - nei fatti e non nelle sole parole - nella concreta e operante formazione di un partito comunista internazionale, non più a rimorchio di borghesie nazionali asservite agli interessi di questo o quel centro imperialistico. Diciamo NO alla illusione di poter uscire dalla morsa dell’imperialismo USA appoggiandoci a Cina o Russia e assecondandole nei loro affari commerciali e movimenti finanziari.

In più alimentando l’illusione “popolare” che con il loro “moderno socialismo” si apra un’era storica di nazioni libere e indipendenti.

Così pensano i tifosi dell’antimperialismo orientale , fra cui un A. Bernardeschi (La Città Futura) che scrive di una Cina che “ha raggiunto un elevatissimo livello di capitalizzazione” ed ora andrebbero però ridotti, “con gradualità…”, gli spazi concessi al capitale.

Cominciando da quei “meccanismi spontanei del mercato” nei quali si vede paralizzarsi la famosa “mano invisibile” di smithiana memoria. Tassative restano le indicazioni di Xi Jinping: "È necessario accelerare la nascita di un sistema moderno di mercato che favorisca l'imprenditoria indipendente, la concorrenza leale, l'indipendenza dei consumatori, il consumo libero, la libera circolazione dei beni e degli elementi primari e lo scambio equo, lavorando alacremente per eliminare ogni barriera che ostacoli il mercato". Nel pieno rispetto delle categorie proprie del capitalismo…

La Cina “abolisce” le crisi finanziarie

E mentre Marx si rigira nella bara, si mettono subito avanti – per così dire – mani e piedi: i paesi in forte surplus commerciale e alti livelli di risparmio, come la benemerita Cina, non avranno più crisi finanziarie: al massimo qualche disfunzione da riordinare e comunque vi sarebbero abbondanti risorse per correggere qualche eventuale errore… Pechino avrebbe fatto solo un “compromesso” con il capitale per… aprire le porte alle prospettive di transizione al socialismo, la qual cosa starebbe avvenendo ora persino in qualche altro paese!

Dunque, il problema cinese – riassumono alcuni lacchè italici del “socialismo del XXI° secolo” – sarebbe ora quello di intervenire contro un settore privato “capitalistico” troppo cresciuto, molto più del settore pubblico (statale). Il “rilievo economico” del privato potrebbe tradursi in un maggiore rilievo anche politico, e per neutralizzare questo pericolo basterebbe la vigilanza del partito cinese.

In un tale contesto, molti Paesi cercherebbero spazi e appoggi per un loro affrancamento nazionalistico espandendo i traffici merceologici. Si cambierebbe il gestore delle operazioni affidandosi a chi getta l’esca di schemi più democratici, rappresentativi ed efficienti. Sempre però mantenendo – e qui la genuflessione al dio capitale è d’obbligo – i medesimi contenuti ovvero quelli del sostegno al sistema della produzione e vendita di merci, che rispetti logiche e regole stabilite dall’ordine capitalistico e dalle ragioni del più forte.

Poi ci sarebbe il signoraggio del dollaro, e qui ritorna l’idea di ricorrere all’uso di una moneta sovranazionale che faccia da unità di conto negli scambi internazionali e nelle riserve delle banche centrali. A livello internazionale scalzerebbe il dollaro, fino a regolare e “compensare” gli squilibri presenti nelle varie bilance commerciali senza svalutazioni né politiche economiche irrispettose delle regole… capitalistiche. Alla base di questa “trovata” figurerebbe un “paniere” di monete dei paesi aderenti ai BRICS e accettanti un ripristino del Gold Standard, un sistema valutario al quale - fra l’altro - dobbiamo ben due guerre mondiali e che oggi di certo non risolverebbe alcuno dei problemi sul tappeto. Come allora con la proposta del Bancor, oggi si ritorna a vagheggiare una moneta con meccanismi a tasso negativo, che costringa le altre monete ad oscillare tra di loro sulla base di parametri tipo la bilancia dei pagamenti dei vari paesi. Verrebbero poi “tassate” le monete in crescita eccessiva, cercando di ristabilire i fasulli equilibri infranti.

Da figurarsi le singole proteste e il caos derivante da simili procedure, intollerabili per il capitale che - e al solito – affiderà alle armi un’altra “soluzione” momentanea.

In sintesi, quello a cui ogni nuovo centro imperialistico mira, sarebbe una centralizzazione della liquidità monetaria cercando di espandere un valore sempre più in crisi nel mercato mondiale dei capitali, ed imponendo un’area monetaria unica che prenda il posto occupato dal dollaro. Ma il denaro come merce, più che come capitale produttivo, aumenta la distinzione tra sfera della finanza e della produzione. Nella prima comanderebbe l‘interesse, ma poiché questo dipende unicamente dal plusvalore estorto nello sfruttamento del lavoro, ecco che la caduta del saggio di profitto approfondisce ulteriormente la crisi generale.

La svalorizzazione del lavoro – in senso capitalista – è irrefrenabile e la crisi investe entrambe le sfere, produzione e finanza, con una posizione superiore e condizionante della prima. Col suo blasfemo “socialismo del XXI° secolo”, la Cina svolge un ruolo seducente (quasi… familiare!) di filantropica grande potenza economico-finanziaria, accanto ad un’India che sembra tenere il piede in due scarpe, mantenendo anche rapporti di cooperazione persino militare con gli Usa…

Nel Polo Orientale, in contesa con quello Occidentale, entrerebbero così a far parte accoppiate di amici-nemici quali India e Pakistan, Iran e l’Arabia Saudita, Siria e Turchia, Argentina e Brasile, oltre alla presenza di un altro big quale è la Russia. Una variegata compagine – fino a ieri impegnata in “fraterne” dispute (armi alla mano) – dove già si stanno avvertendo i forti squilibri esistenti, con presenze che in seguito potrebbero farsi predominanti. Un futuro che si annuncia a tinte cupe, a meno che non si faccia avanti la “nostra” soluzione, alla quale va l’impegno di noi tutti e del partito in costruzione.

dc

NOTE – 1) Il definitivo superamento di tutte le categorie capitalistiche sarà effettivo se fin dalla fase di transizione quelle categorie non avranno più alcuna funzione. Il denaro, per esempio, non sarà il segno di un inesistente valore: sarà sostituito da un buono-lavoro (o da un tesserino magnetico) non accumulabile ovvero senza alcun valore. Sara quindi la fine di quella astratta entità alla quale sono sacrificate la maggior parte delle esigenze fisiche e mentali degli uomini, quando non addirittura la loro stessa sopravvivenza.

Lunedì, December 4, 2023