Elezioni in Argentina Borghesi “seri” e borghesi cialtroni spietatamente uniti contro il proletariato

Sono passati oltre 20 anni da quando l'Argentina fu attraversata da un'ondata di sommovimenti in risposta alla devastante crisi che aveva fatto finire sul lastrico milioni di famiglie proletarie, i quali erano culminati in pesanti scontri di piazza, assalti ai supermercati e occupazioni di fabbriche da parte del movimento dei piqueteros. Fin da subito abbiamo guardato con simpatia alla lotta del proletariato argentino, pur denunciando il rischio di isolamento in cui avrebbe finito col trovarsi l'esperienza delle fabbriche riconquistate, se non si fosse posta la questione della presa del potere politico da parte degli stessi lavoratori e non si fosse arrivati una volta per tutte alla resa dei conti finale con l'apparato borghese (e purtroppo, così è andata). Oggi, un'Argentina che ha alle spalle 20 anni di cui 12 di kirchnerismo (dal nome di Néstor e Cristina Kirchner, presidenti in tempi diversi del paese sudamericano) sceglie un cambio di passo rispetto alla precedente gestione: questo cambio di passo più che un atto di fiducia verso l'uomo nuovo di cui andremo a parlare sembra un attestato di delusione verso chi lo ha preceduto, Cristina Fernández Kirchner (e suo marito), che se in superficie sembra avere portato a una più equa redistribuzione della ricchezza, a un miglioramento della qualità di vita e a un allargamento dei cosiddetti diritti, non ha nella sostanza risolto il problema delle disuguaglianze e della povertà di questo paese: e non poteva essere diversamente. Un paese che tutt'ora deve fare i conti con lo spettro dell'inflazione (140%), di un pesante debito pubblico (a oggi, il 145,1%), il quale ricordiamolo, ha provocato negli ultimi decenni ben 9 default. Le crisi economiche, causa di disorientamento da parte dei ceti che le subiscono in assenza della bussola classista che indichi un percorso di superamento di questa società, possono portare all'ascesa di cialtroni e demagoghi che, atteggiandosi a prestigiatori, fanno credere al popolo dei "votanti" di avere la bacchetta magica che rimetterá a posto le cose, e sembrano quasi dire all'eterogenea massa dei cittadini ai quali si rivolgono: "Non preoccuparti, penso a tutto io!". Gli esempi di "uomini della provvidenza" con questa impostazione si sprecano senza bisogno di andare a ritroso fino al ventennio di Mussolini, basta ricordare Trump negli USA e a un ventennio più recente del nostro belpaese, quello berlusconiano, fino ai più attuali Salvini e Meloni. Milei si inserisce in questo solco, quello del populismo. Ne è la testimonianza il suo modo caciarone di fare politica, che va dalle tante ospitate nei talk show al brandire una motosega come metafora del “darci un taglio” col passato e con la casta: e qui è fin troppo scontato il parallelismo coi grillini di casa nostra. Detto questo, il curriculum del neoeletto presidente ci dice che oltre a essere un economista del peggiore neoliberismo, quello alla Milton Friedman, e un paladino di privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica, di sicuro i comunisti non gli stanno simpatici. Anche se su quel "comunisti" ci sarebbe molto da ridire: pare che per comunista lui intenda la Cina, ed è per questo che avversa l'adesione di Buenos Aires ai BRICS ("No hago transacciones con comunistas" – non faccio affari coi comunisti) più facile a dirsi che a farsi, visti i rapporti economici non di poco conto che ad oggi intercorrono con Pechino. Inoltre Milei definisce il Papa, per la sua colpevole apertura verso Raul Castro a Cuba o Nicolás Maduro in Venezuela1, "rappresentante del Maligno sulla Terra". I richiami al tradizionalismo cattolico, del quale l'attuale pontefice rappresenterebbe il tradimento, non mancano e vanno dal no secco all'aborto a quello alla questione gender. Il secco rifiuto di adesione ai BRICS non può non tradursi in adesione a ciò che lui definisce "el lado civilizado" del mondo, cioè quello occidentale, leggi USA e tra gli altri anche Israele. Cioè uno stato che mai come in questo momento sta dimostrando tutta la sua "civiltà" facendo di Gaza un ecatombe e da un po' anche gestendo le piazze interne con piglio prussiano. Non c'è che dire, Milei gli amici se li sceglie alla sua altezza.

In politica interna avversa l'ingombrante presenza statale (e se no che liberista sarebbe?) e oltre a definirsi anarco-capitalista, proclama che le imposte sono un furto: tipico cavallo di battaglia populista oltre che neoliberista di chi peraltro le imposte ha sempre fatto di tutto per non pagarle, nonostante esse rappresentino una quota minima del profitto che accumula col sudore dei suoi dipendenti. Il suo antistatalismo è così viscerale che come simbolo ha preso in prestito dal mondo della criminalità la figura dei contrabbandieri, definendoli "eroi", novelli Robin Hood contro le forze oscure del Palazzo e della Casta. Poco importa, poi, che cialtroni come Milei - e i suoi omologhi internazionali - salgano al potere grazie all'appoggio decisivo di quella “Casta” che a parole vorrebbero seppellire, i cui interessi, invece, tuteleranno come e più di prima. Per esempio, senza l'appoggio dell'ex presidente Macrì, tipico esponente della grande borghesia, o almeno di una parte consistente, mai il “loco” (il fuori di testa) avrebbe occupato la più alta carica istituzionale.

Tornando alle ricette economiche, visto che ora nel Palazzo c'è lui, la sua iniziativa sarà imperniata sul mito della libertà intesa come assenza di vincoli e paletti giuridici che impediscano di fare ciò che si vuole: tradotto, della classe operaia un sol boccone. Oltre a liberalizzare il traffico di armi e perfino di organi (ma vedremo se lo farà davvero), con la scusa che uno prima di morire è liberissimo di fare ciò che ritiene giusto del suo corpo, compreso metterne le varie parti sul mercato, e a ritenere che il surriscaldamento globale sia una balla dei comunisti, e oltre a privatizzare settori importanti dell'economia - prima statali - e chiudere la banca centrale argentina, vorrebbe sostituire nelle transazioni il peso col dollaro, altro segno del suo vassallaggio nei confronti degli USA e dell'occidente, di cui abbiamo già parlato: operazione non certo indolore a livello di consumi e impatto economico. La sua elezione è stata salutata qua con dispiacere, come dal presidente colombiano Pedro, lá con rispetto vedi Lula in Brasile, ma sono stati i populisti di tutto il mondo quelli che di più hanno esultato, da Bolsonaro a Trump.

Un po' meno sta esultando la gran parte dei diseredati argentini, che più, ad oggi, in assenza di lavoro, dipendono da quel welfare che Milei vorrebbe drasticamente tagliare. Possiamo già immaginare che, visto che ha già detto che non sopporterá intromissioni perché ha poco tempo e vuole andare avanti come un treno, le sue politiche di tagli e privatizzazioni significheranno lacrime e sangue per il proletariato argentino, parte del quale rischia di andare a ingrossare le file dei già numerosi diseredati. Non si può capire l'emergere del populismo se non si capisce la disperazione di milioni di sfruttati a cui manca la coscienza di classe necessaria per dirigere la rabbia verso il vero nemico, cioè la borghesia, e che disorganizzati e delusi vengono abbindolati da questi pifferai magici con la serenata delle loro promesse.

Da parte delle organizzazioni rivoluzionarie come la nostra, occorre sia smascherare gli individui ma anche sviscerare i processi che sono all'origine della loro ascesa. Da parte della classe proletaria, argentina e non, occorre organizzare una risposta di massa che non guardi in faccia a nessuno: i governi di questo o di quel colore che si succedono sono concordi, al di là degli scontri veri o apparenti, su una cosa cioè spremere i lavoratori come limoni. E anche la solo apparente contraddizione tra stato e privato va rifiutata, perché si tratta di forme diverse di gestione tutte interne allo stesso sistema economico e il nostro compito è di rovesciare questo sistema, non di scegliere ipotetici "mali minori". Soltanto la sinergia tra la classe che dovrà resistere oggi e fare la rivoluzione domani e il partito che, nato anche e non da ultimo dai suoi elementi più combattivi, si metterà alla sua testa può garantire un'alternativa possibile a un capitalismo che non ha più nulla da offrire se non miseria e fame.

ib

1 Anche sul loro status di comunisti avremmo molto da obiettare, visto che in quei paesi non si vede traccia di uguaglianza sociale o di proprietà dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori né di qualsiasi altro elemento che caratterizza una società comunista

immagine: commons.wikimedia.org

Giovedì, November 23, 2023