Il capitale applaude le sanguinose stragi in Medio-Oriente

Quello palestinese si presenta, alle borghesie medio-orientali e non solo, come un problema complesso, per di più in previsione di sviluppi politici che sarebbero a loro volta difficili da gestire. Lo è pure, in particolare, per la borghesia israeliana, sia per le sue fazioni “democratiche” sia per quelle fondamentaliste. Entrambe con un’altra preoccupazione: quella di riuscire a formare un’alleanza, interna ed esterna in grado di tenere a bada le mire espansionistiche ideologiche, militari, economiche ecc. dell’Iran, tenendo d’occhio le mosse di Russia e Cina e dell’alleato americano.

Quanto alla borghesia palestinese, le cui attività commerciali e finanziarie si svolgono anche al di fuori dei paesi arabi, gli intrallazzi imperialistici - cosi come i contrasti fra gli Stati arabi - cominciano ad essere più che altro fastidiosi per i loro affari. Richiederebbero un contesto politico e sociale maggiormente stabile e tale da garantire le possibilità di uno sfruttamento di manodopera al più basso costo possibile: a questo tutti puntano per sviluppare le attività delle proprie economie capitaliste.

I nostri compiti

I compiti che i comunisti devono affrontare e svolgere, in queste aree geo-politiche, sono quelli di smascherare alle masse proletarie ogni illusoria prospettiva di soluzioni basate su un rafforzamento nazionalistico al quale affidare un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Peggio ancora se con la illusoria speranza di una possibile soluzione di contraddizioni, malversazioni e iniquità sociali che col diffondersi della crisi generale del capitalismo diventano sempre più presto drammatiche.

Per le borghesie arabe è quanto mai importante il mantenere una stretta collaborazione sociale tra piccoli borghesi e proletariato, ma nessuna di esse ha né potrebbe mai avere concretamente a cuore le reali condizioni delle masse proletarie: tutti concordano perché siano costantemente sottoposte ad un intenso sfruttamento o peggio alla disoccupazione e ad ogni genere di privazioni e sofferenze. E’ soltanto cosi che si pensa di poter consentire ancora una sopravvivenza, seppure stentata, al modo di produzione capitalistico i cui tentacoli si allungano, va da sé, nella striscia di Gaza e in Israele.

Il proletariato ebraico vede di anno in anno le modalità d’uso della propria forza-lavoro farsi simili a quelle che già subisce il proletariato palestinese. Ed è a questo punto che noi non facciamo alcun distinguo fra i proletari palestinesi e quelli ebraici, entrambi costretti a sottostare ad alterne operazioni poliziesco-militari dietro le quali si agitano interessi economici ed equilibri politico-strategici di grande portata. Su entrambi i proletari dei due paesi si va rinsaldando l’oppressione esercitata dalle rispettive borghesie nazionali.

Consideriamo i proletari palestinesi ed ebrei nostri fratelli e sorelle di classe. Nessuna distinzione o giustificazione può essere accettata quando su di essi si scatenano dispute, contese e rivalità fra gli Stati in cui vivono, con conclusioni belliche che li fanno vittime di veri e propri massacri. E’ il capitale( a tener saldamente in mano la intricata matassa di fili a cui sono appesi come burattini le borghesie presenti nell’area Medio-Orientale. Regista degli osceni spettacoli messi in scena è sempre l'imperialismo che assegna alle locali borghesie la direzione di operazioni di carneficina umana come quelle che i miliziani di Hamas da un lato, contro gli abitanti di Israele, e quelli di Netanyahu dall’altro, contro i palestinesi, stanno eseguendo. Entrambi i governi si incolpano, sempre pronti – in questo l’accordo è completo – ad eliminare con pari violenza chiunque osi contrapporsi alle loro menzogne e travisamenti di cause ed effetti.

Il capitale, diretto responsabile

Gli assassinii indiscriminati di civili israeliani, da parte dei miliziani di Hamas e di altre organizzazioni della “resistenza palestinese”, portano con sé il marchio indelebile del capitale. Lo stesso per il rapimento di donne, bambini e anziani, giustificati quale “risposta” alle angherie, persecuzioni e distruzioni compiute, da anni e su ordine del governo israeliano, contro i palestinesi.

Quelle nefandezze, anche contro i civili, vengono poi spiegate dagli ammiratori delle imprese di Hamas (abbiamo letto anche questo!) come scelte… razionali (e non episodi di ferocia animalesca) che pareggerebbero il conto coi crimini dei sionisti israeliani, applicando cioè la legge (divina) del taglione. E così è per le raffiche di razzi e missili lanciate dagli uni e dagli altri, per gli attacchi dei droni contro obiettivi “militari” quali sarebbero ospedali, scuole e mercati; per i carri armati e i nidi di mitragliatrici pronte a far fuoco contro chiunque capiti a tiro.

Dietro ciascuna di queste delittuose imprese c’è la presenza politica e “spirituale” di borghesie spinte ai peggiori e primordiali comportamenti di cui si è mostrata capace la specie cosiddetta umana nella sua lunga preistoria. La quale dura tutt’ora…

Ma la violenza di Israele e quella dei miliziani palestinesi sono violenze che il capitale – venuto al mondo grondando sangue e continuando a nutrirsi di quello delle masse proletarie di tutto il mondo – ben conosce e applica al seguito di uno schematico disegno: morte per morte, atrocità per atrocità. Distinguere chi ha iniziato queste criminali gesta (l’aggressore o l’aggredito) altro non è che il pretesto per mascherare – dietro mucchi di cadaveri – le responsabilità addebitabili unicamente ai tentativi di chi vuol far sopravvivere quello che è il vero ed unico colpevole.

È ad esso, al capitale, che dobbiamo gli attacchi aerei, i bombardamenti di artiglieria, i missili e i droni che distruggono case e massacrano - con una macabra preferenza - donne, anziani e bambini.

Trascinando dietro di sé i plaudenti estremisti dei due Stati, ebrei e mussulmani, sionisti e nazionalisti arabi fanatizzati, seguaci del Corano o della Bibbia. Tutti trasformati in belve crudeli, “addomesticate” dal capitale per la sua difesa ed il suo “sviluppo”, nel nome di un nazionalismo che reclama la tutela di un diritto internazionale stabilito, anche quello, dall’interesse capitalistico. E tutto questo – va sottolineato – quando in ogni parte del mondo il capitale, che non gode certo di buona salute, dà segni evidenti di nervosismo.

I ruoli svolti da Hamas e Netanyahu

Non va neppure dimenticato che Hamas, con la sua dittatura di stampo islamista, teocratica e reazionaria, insediatosi nella striscia di Gaza dopo aver cacciato a sua volta (2007) l’Autorità Nazionale Palestinese (l’Anp di Al Fatah, ora presente in Cisgiordania), continua a ricercare una eliminazione non solo degli ebrei ma di chiunque lo contrasti anche fra gli stessi palestinesi. Gli interessi suoi e di chi lo sostiene (principalmente l’Iran e poi, con flussi consistenti di denaro, il Qatar). Tutto questo fra una serie, durata decenni, di intrighi, battaglie, intrecci di potere, manovre politiche e religiose: vi ha partecipato Israele che proprio con Netanyahu è andata persino alla ricerca di una “collaborazione” con gli stessi palestinesi di Hamas (nonostante le apparenze contrarie), per continuare in modo meno “clamoroso” qualche inevitabile altra macelleria proletaria, mantenendo il ruolo di pedina dello scacchiere capitalistico d'area e internazionale, dove le maggiori potenze imperialiste cercano di occupare le posizioni migliori.

Come comunisti internazionalisti, non facciamo sconti né agli uni né agli altri. E neppure cediamo a dei compromessi ideologici che ci trascinerebbero in paludosi terreni. La nostra non è una posizione di equidistanza. Noi combattiamo tutto il capitalismo, e i governi di Hamas e di Netanyahu sono gestori e sostenitori di un capitale che – come alcuni vanno sbandierando – si pretende vada difeso e appoggiato perché “nazionale” e quindi sulla strada storica del proprio … sviluppo. E ciò – aggiungono – dovrebbe poi, e in un secondo tempo, facilitare, nella Palestina eretta a nazione indipendente, persino una rivoluzione che definiscono “socialista” ma che però non riesce a nascondere i suoi contorni e contenuti borghesi!

Mandanti e responsabili

Riteniamo un assassino, un criminale feroce, chiunque massacri esseri umani in nome di un ipocrita quanto fantomatico diritto di lottare per simulacri di uguaglianza, dignità e libertà. Queste terminologie, nel presente e storico momento, abbindolano le masse per meglio sottometterle al potere di un capitale sempre più avvolto in contraddizioni insanabili e vero mandante di quella catena di massacri che si sta stringendo attorno al proletariato internazionale. Purtroppo ancora confuso fra tante speranze e ideali frustrati dal dominio capitalistico fattosi totale, sia come struttura economica sia come organizzazione sociale.

Poco prima delle odierne incursioni belliche palestinesi in Israele, gli accordi di Abramo avevano iniziato una possibile “normalizzazione” (sempre di stampo borghese, s’intende) delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti. Erano prospettive non gradite e inaccettabili per una parte del mondo arabo, il quale, pur dominato dal medesimo capitale, è dipendente da interessi e da mire espansionistiche divergenti.

Più che palesi erano le finalità di un accordo che si rivolgeva contro l’Iran, tanto più che dal Marocco gli israeliani ottenevano un altro riconoscimento del loro Stato, in cambio approvando l’avvenuta annessione marocchina del Sahara occidentale, a sua volta contraccambiata dalla accettazione delle occupazioni israeliane in Cisgiordania e sulle alture del Golan. In gioco vi erano evidenti disegni geo-politici contrastanti quelli dell’Iran, il quale, pur confermando assieme a Quatar e Turchia il proprio sostegno ad Hamas, cominciava a sentirsi troppo isolato.

L’Iran, oltre a fornire droni e componenti per assemblare i razzi a Gaza, sta pure stipulando accordi con la Cina, facendo trascorrere notti agitate agli Usa che temono intese fra Teheran e Pechino per una cooperazione in settori militari. I cinesi e i loro sostenitori (quelli di un “socialismo del XXI secolo”) mascherano il tutto con appelli ai “diritti della autodeterminazione” nazionale. Dietro i quali – ammesso un loro possibile valore al di fuori di una astratta quanto demagogica e opportunista “presa in giro” - scorre pur sempre il sangue di cui si nutre anche quell’“antimperialismo” sbandierato da Pechino e sul quale si dovrebbe infrangere ogni interesse di classe, sacrificato in favore di vantaggi nazionali ossia borghesi. (Ci ricordiamo, comunque, quello che anche un A. Lincoln ripeteva: “Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo”…)

Guerre giuste e leggi divine

Oggi il capitale maneggiato dalle borghesie arabe reclama una “guerra giusta” e chiama i popoli arabi a non sonnecchiare, acconsentendo ad “usare le armi” se la politica, del capitale, lo richiede: tutto sarebbe non solo “giusto” ma addirittura benedetto dal dio di turno perché “necessario e vitale” per mantenere e gestire direttamente l’insieme dei rapporti di produzione in vigore.

Non importerebbe se si tratta di quelli propri di un capitalismo intriso di sangue, che trascina dietro di sé distruzioni e morte, bensì altrettanto andrebbe fatto favorendo gli interessi che alle borghesie arabe questo sistema offre e garantisce (almeno finché crisi non morde!). Sarebbe assicurata l’approvazione e la benedizione tanto del mitico Jahvè, per gli ebrei, quanto del supremo Allah per gli arabi. Ed a proposito di quest’ultimo, ecco le altre milizie, quelle jihadiste, che si schierano al fianco di Hamas, sempre pronte a colpire – con ogni mezzo e con modalità fra le più atroci e feroci – gli occidentali non credenti in Allah e non ossequienti alle sue leggi.

Ed anche qui - in realtà – si tratta, sì, di leggi che sono però quelle di un movimento (nazionale e internazionale) che il capitale in Oriente reclama per non morire soffocato. Ipocritamente invoca il “rispetto dei popoli e delle nazioni, della loro autodeterminazione”. Ed è a questo punto che noi possiamo, e dobbiamo, aggiungere: anche della corrispondente libertà reclamata dai rapporti di produzione dominanti nei rispettivi paesi. Esattamente quei rapporti che la rivoluzione comunista – come suo compito fondamentale – spezzerà sostituendoli con quelli che renderanno tutti gli uomini finalmente e realmente liberi ed eguali.

dc

Lunedì, October 23, 2023