Il Paese dei Balocchi della borghesia Lo sfruttamento del lavoro salariato in cerca di nuove-vecchie vie

Sul finire dell'estate (secondo il calendario), il mondo politico borghese è stato leggermente mosso, anche se per poco, da un intervento della Schlein, che proponeva una diversa organizzazione del lavoro, a beneficio, va da sé, di imprese e lavoratori, ma soprattutto di quest'ultimi. Certo, il “nuovo corso” del PD deve remare per farsi perdonare – ammesso che sia possibile – i pesanti attacchi alla classe lavoratrice di questi decenni, in perfetta alternanza col centro-destra, da cui ha preso e poi restituito il testimone o, meglio, il bastone delle batoste anti-proletarie.

Quale sarebbe la formula scoperta dalla segretaria del PD per conciliare l'inconciliabile, vale a dire gli interessi del capitale e del lavoro salariato? Una variante “estremista” del ricettario riformista ossia la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, salvaguardando, se non incrementando, la produttività: la settimana lavorativa di quattro giorni. Naturalmente, senza scontro di classe, a meno che per scontro di classe non s'intenda la “conflittualità” sindacale espressa nel pieno rispetto delle compatibilità economiche (cioè del capitale) e delle numerose norme – sottoscritte dai sindacati – dirette a spuntare quanto più è possibile l'arma dello sciopero. E al sindacato, infatti, fa riferimento la Schlein, in particolare all'IG Metall, il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, che ha inserito la settimana di quattro giorni, con tanto di aumento salariale dell'8,5%, nella piattaforma contrattuale di novembre. Naturalmente, il padronato ha già detto che non se ne parla neanche, ma, in attesa di vedere come andrà a finire, cioè quali compromessi l'IG Metall sottoscriverà per non perdere la faccia, le trentadue ore settimanali rimangono una bella trovata riformista da raccontare a un proletariato sempre più torchiato, confuso e disorientato. La preoccupazione del PD è quella di riconquistare un elettorato perso tra astensione e sostegno alla destra fascistoide, certamente per poter continuare a scaldare le poltrone parlamentari, ma soprattutto per prevenire lo scoppio improvviso della vera lotta di classe: eventualità guardata con lo stesso orrore dai figli politici del fu Berlusca e dai compari nipoti delle camicie nere e brune. Benché le favole riformiste abbiano ben poco a che vedere con un'epoca caratterizzata dalla crisi di ciclo del capitale, cioè con la realtà, forse possono ancora funzionare come allucinogeno su una parte almeno della classe – oltre che di settori di piccola borghesia declassata – anche se, inevitabilmente, la loro eventuale realizzazione presupporrebbe contropartite tali, a spese della classe stessa, per cui il rimedio sarebbe peggiore del male o, ben che vada, nella sostanza tutto rimarrebbe come prima. Infatti, l'obiettivo, che non ammette deroghe, è il mantenimento della produttività (di plusvalore): una volta stabilito questo, si può anche vedere se e come articolare in modo diverso l'orario di lavoro.

Il Manifesto, portabandiera del riformismo, ha fatto sua la proposta della Schlein, dedicando ampio spazio alle “sperimentazioni” attuate in alcuni paesi del capitalismo “occidentale” e ai benefici che ne deriverebbero al capitale, al lavoro salariato e all'ambiente, perché ridurrebbero gli spostamenti e quindi l'emissione di gas climalteranti. In Belgio, per esempio, l'orario settimanale rimarrebbe lo stesso, mentre quello giornaliero salirebbe a nove ore e mezzo: in breve, cambiando l'ordine dei fattori, il risultato non cambia o non cambierebbe. In altri paesi, le sperimentazioni hanno applicato la formula 100/80/100 ossia salario pieno, orario ridotto e produttività inalterata. Ora, a parte il fatto che dal Belgio alla Gran Bretagna, passando per gli USA (solo per citare alcuni paesi) questi nuovi “percorsi lavorativi” coinvolgono poche migliaia di lavoratori (maschi e femmine, ovviamente), è evidente che ci troviamo di fronte a una “condensazione” dell'orario, cioè a un aumento dello sforzo lavorativo, tanto che lo stesso entusiasta difensore di questa nuova frontiera del riformismo ammette che «giornate lavorative più lunghe possono portare a un'intensificazione del lavoro e nei casi più estremi al burn-out [lo scoppiamento]. Nel secondo caso bisogna invece stare attenti ad adattare il carico di lavoro per evitare di mettere sotto eccessiva pressione i lavoratori»1. Ecco, appunto, non c'è bisogno di essere comunisti per capire che se il padrone mostra una faccia accomodante (in apparenza) è solo per i propri interessi, il che presuppone la fregatura per il lavoro salariato. Condensare in quattro giorni la produttività di cinque non è cosa da poco, soprattutto di questi tempi, caratterizzati da una produttività anemica, segno inequivocabile delle difficoltà di fondo del processo di accumulazione su scala mondiale da cinquant'anni in qua. Per quanto paradossale possa sembrare, il capitale “illuminato” tenta o tenterebbe – con molta cautela – anche la via della riduzione d'orario proprio per cercare di innalzare i livelli di produttività. Ma quali sarebbero le aziende o i settori in cui questi borghesi di mentalità aperta (così vorrebbero apparire) tendono la mano alla forza lavoro? Il quotidiano riformista non lo dice esplicitamente, anche se si può ipotizzare – IG Metall a parte – che la cosa non riguardi la fabbrica o altri comparti assimilabili, ma per lo più l'ufficio (inteso in senso lato) se tra le misure attuate per accorciare il tempo di lavoro viene citata l'eliminazione dei periodi di inattività e delle riunioni inutili, che hanno un effetto deprimente su molti soggetti appartenenti in genere all'area del lavoro non manuale. I risultati, secondo gli organismi che promuovono le sperimentazioni, sarebbero incoraggianti, perché, per esempio, nei circa tremila lavoratori britannici coinvolti, l'assenteismo per malattia sarebbe calato del 65%, con conseguente aumento della famigerata produttività. Può essere vero che la riduzione drastica dei momenti improduttivi – apoteosi della noia insopportabile per chi li subisce: le riunioni inutili e stupide – faccia crescere la produttività2 in alcuni specifici ambiti lavorativi, ma questo Paese dei Balocchi non può certo essere la bandiera del capitale: l'eccezione conferma la regola. Non per niente il presidente della Confindustria del Nordreno -Westfalia, rispetto alla piattaforma dell'IG Metall è stato chiaro: «la riduzione delle ore lavorative non è la risposta adeguata alle sfide del nostro tempo […] in futuro dovremo lavorare di più e più a lungo per mantenere intatta l'attuale prosperità»3. Infatti, ormai da molto tempo l'orario di lavoro legale ha smesso di calare4, anzi, solo per rimanere in “Occidente”, se mai cresce sia per quanto riguarda l'orario annuale che quello della vita lavorativa (l'età pensionabile) e là dove le statistiche ufficiali attesterebbero il contrario è solo perché i part-time, i tempi determinati ecc. diluiscono, per così dire, il monte-ore complessivo, offrendo un'immagine deformata della realtà, come, appunto, in Germania. In Grecia, per dirne un'altra, il governo di destra ha appena varato una legge al cui confronto il Jobs Act è un gioco da ragazzi – si fa per dire . Visto che alza l'orario giornaliero fino a 13 ore per sei giorni alla settimana, lascia mano libera ai padroni sui licenziamenti, limita il “diritto” di sciopero e punisce con la detenzione fino a sei mesi e una multa di cinquemila euro chi organizza o partecipa ai picchetti. La motivazione? Far crescere l'occupazione e combattere il lavoro nero, cioè, tradotto, rendere legale il lavoro nero ed estenderlo a tutta la classe lavoratrice: ma per suo bene, ci mancherebbe!

Salvini starà scoppiando d'invidia, visto che i suoi camerati greci l'hanno superato – nella pratica, non nello “spirito” - in carognaggine antiproletaria.

Ma il governo italiano, di cui il capo legaiolo è un pezzo di grande importanza, non sta con le mani in mano e per armonizzare benessere dei lavoratori con aumento della produttività, tira fuori dal cilindro il coniglio del lavoro per obiettivi. Basta col cartellino marcatempo, basta con gli orari rigidi che interferiscono con la famiglia e impediscono l'estrinsecazione della propria personalità: col lavoro per obiettivi misurabili «non solamente in base al tempo impiegato ma anche al risultato raggiunto [puntando] sul benessere e sulla serenità del lavoro»5. Chi parla, si dimentica di specificare chi fissa gli obiettivi, se è il padrone o chi lavora: una dimenticanza molto poco freudiana... Ma tralasciamo le altre melense insulsaggini con cui la borghesia ricopre i suoi attacchi contro la classe lavoratrice: il lavoro per obiettivi, senza cartellino è, in ultima analisi, il modello di “Mondo convenienza” - e di tante altre realtà – dove i lavoratori stanno lottando per imporre al padrone il cartellino marcatempo, per porre un limite – parziale fin che si vuole – all'arroganza della dittatura padronale.

Peccato che chi dirige quella lotta così generosa – il SiCobas – la faccia vivere e morire sul terreno meramente economico-sindacale, senza inserirla in una prospettiva di superamento rivoluzionario del capitalismo. Ma d'altra parte questa è la natura del sindacalismo, che presuppone il capitale e lo accetta, anche nelle sue versioni più radicali, in fondo: altrimenti negherebbe se stesso in quanto sindacato, al contrario del partito di classe, che vive e opera per buttare il capitalismo in discarica, tra il materiale non riciclabile.

L'assenza dell'avanguardia politica rivoluzionaria, l'unico soggetto che può dare una prospettiva radicalmente anticapitalista alle lotte della classe, è sempre più drammatica: non sarebbe ora di risolvere questa questione?

cb

1Stefano Ungaro, Lavorare meno, lavorare meglio, è ora di copiare, il manifesto, 24 settembre 2023.

2Non ci addentriamo qui nella vecchia questione su lavoro produttivo/improduttivo nel capitale, ma ricordiamo che per noi il lavoro produttivo di plusvalore primario è quello di fabbrica. Il plusvalore estorto in altri settori (il terziario) è un derivato da quello estorto nella fabbrica.

3Sebastiano Canetta, Lavoro, 4 giorni bastano. In Germania ci si prova, il manifesto, 24 settembre 2023.

4La lgge sulle 35 ore settimanali, introdotta in Francia nel 1999 dal governo a guida socialista, solo in apparenza va controcorrente: Francia: lo smantellamento delle 35 ore settimanali | Leftcom e Francia, Parlamento modifica legge su 35 ore - MilanoFinanza News

5Parole di una senatrice di FdI riportate da Claudio Tucci in Addio al cartellino, il lavoro per obiettivi è la nuova frontiera, Il Sole 24 ore+, 26 settembre 2023.

Venerdì, October 6, 2023