L’economia e la finanza dominanti nella società borghese

LE “ENERGIE” DEL CAPITALE SI INDEBOLISCONO

Alla “chiusura”, negli Usa, di Silicon Valley Bank, First Republic Bank e Signature Bank (nei loro portafogli oltre 650 miliardi di dollari di asset) potrebbe succedere quella di altre banche che vedono le loro azioni già da mesi in caduta libera… Decine e decine di miliardi di dollari stanno rotolando nella polvere, facendo tremare la tecnocrazia finanziaria e i suoi affannosi respiri. C’è chi, figurando… “a sinistra”, parla di “scelte ideologiche folli” e reclama “l'assenza di un Welfare statale degno di questo nome”. Qui vanno a finire le ultime speranze di un capital-socialismo gestito dallo Stato e che ripropone le non del tutto tramontate ideologizzazioni staliniste…

Il pensiero della pseudo sinistra di stampo borghese (che allarmata guarda crescere i contrasti in “seno al popolo” e si preoccupa degli interessi dei “cittadini”!) cerca invano di «impostare un intervento politico» per riportare un “armonico equilibrio” nel preoccupante disordine a scala globale. Questa operazione dovrebbe consentire a quella che considerano una «entità frammentata e impalpabile», il popolo, di organizzarsi (al seguito delle consorterie di lor signori) e trasformarsi in «una forza politica capace di innalzare i propri interessi». Ad un livello identico a quelli della Nazione. Propositi che sono diventati una pratica di addomesticamento del proletariato, la parte maggioritaria (e sfruttata) di quel popolo di cui sopra.

E mentre la BM [Banca Mondiale] e il FMI annunciano una ”crescita economica ridotta”, con bassi volumi commerciali mondiali (WTO) e i debiti si appesantiscono per tutti, eccoci alle “offerte” del solito modello di sviluppo (capitalistico) che dovrebbe aprire le “vie della ripresa”. Anche il Sole 24 Ore (che da sempre auspica una Italia «leader per la produzione industriale»), si appella a «tutte le energie del Paese… per creare le condizioni per un rilancio della competitività». L’obiettivo unisce imprenditori e Sindacati, sempre per una costante crescita della produzione di merci.

Viene fatta pressione perché vi sia una più alta domanda pubblica per stimolare produzioni innovative ad alta tecnologia. E poiché il mercantilismo ha bisogno di un forte ordine sociale dal quale dipende anche la possibilità di mantenere, imponendola, la necessaria moderazione salariale e fiscale (meno tasse soprattutto alla ricca borghesia), si concede anche qualche protesta ai lavoratori, purché sia condotta in modi pacifici e democratici. Risultato: peggiorano le già precarie condizioni dei lavoratori, con tagli al personale, salari bassissimi, discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e interinale.

La crescita della povertà tra le masse proletarie diventa inevitabile nel capitalismo, sia a gestione privata sia statale. Le politiche di riduzione dei salari, occupazione e prestazioni sociali, sono all’ordine del giorno ovunque nel tentativo di "ossigenare” il sistema. E ciò non fa che aggravare le disuguaglianze economico-sociali: la stessa borghesia si preoccupa di queste esplosioni di miseria. E pur di non considerare quella che è la vera causa delle crisi che sta lentamente mettendo in ginocchio il capitalismo mondiale - cioè la caduta tendenziale del saggio medio di profitto – attribuisce la crisi ad una imperfetta distribuzione dei redditi, da correggere con qualche aggiustamento.

Gli “specialisti” si tormentano - Ogni retorico discorso si avvolge poi in fumosi percorsi metodologici che figurerebbero in esclusiva proprietà di specialisti addetti ai lavori, il cui compito è quello di rendere indecifrabile quella che viene presentata come una seria “analisi economica”. Intanto, per sostenere i debiti pubblici, gli esperti della borghesia si appellano anche ad uno sviluppo dei mercati finanziari, ora assoggettati a dilaganti turbolenze. E si succedono i tentativi (riforme!) di “razionalizzare” istituzioni quali pensioni e sanità, sempre con lo scopo di far cadere il rapporto, in Italia troppo alto, tra spesa pensionistica e Pil.(1)

Si è estinta quella domanda aggregata che avrebbe dovuto sviluppare il settore pubblico rilanciando produzione e occupazione. Con l’ombra incombente del “fiscal compact” che imporrebbe all’Italia la riduzione del rapporto debito pubblico/Pil al 60%. Ma esso si sta avvicinando al 150% del Pil ed è detenuto per oltre il 25% da investitori esteri. Gli indebitamenti si basano poi su titoli di debito dal dubbio valore, con l’aumento di derivati di ogni tipo (come gli Over the Counter) e con “valori” che superano la somma del Pil mondiale.

Dunque, un’accumulazione di capitale fittizio, a base di prestiti poi cartolarizzati e rivenduti (il cosiddetto modello “originate-to-distribute”). I fondi speculativi hanno creato una scommessa ribassista sui Bot: si vendono titoli che in realtà non si possiedono, sperando che il prezzo scenda per riacquistarli in futuro a un prezzo più basso e con guadagno. Hanno messo le mani su quasi 40 mld in titoli di Stato italiano presi “in prestito”; poi con “vendite allo scoperto” si riacquisteranno ad un prezzo minore. Saranno cavoli amari per chi pagherà l’emissione di titoli con cedole o promessa di alti rendimenti; va pure segnalato che – stando a dati forniti dallo Standard & Poor Market Intelligence – vi sono in circolazione cataste di hedge fund (81 mld in Francia e 98 mld in Germania).

Cessate le iniezioni di liquidità profuse dalla BCE e di cui hanno fin qui goduto i mercati finanziari (altro che stimolare l’economia reale!), anche gli acquisti di obbligazioni si sono rarefatti privando un sostegno al mercato del debito, specie quello italiano. Nel frattempo, scarseggiando liquidità nei mercati finanziari, si avranno difficoltà nel finanziamento del debito pubblico nelle mani dei grandi speculatori.

Crescono nel frattempo sia gli indebitamenti sia la montagna di capitali monetari inutilizzabili nella produzione di merci: le 500 maggiori aziende statunitensi del settore merceologico, pur avendo accumulato circa 1 trilione di dollari in super-profitti, anziché reinvestirlo per produrre ciò che servirebbe ai consumi necessari per milioni di esseri umani (comunque non le potrebbero “acquistare” in quanto merci…), li hanno imboscati nei paradisi fiscali.

Si alzano voci borghesi indicanti una situazione insostenibile, «sconcertante», ed indicano come maggior colpevole l’azzardo morale, cioè «in fin dei conti un problema morale». Quindi la loro preoccupazione sarebbe… come dar valore agli astratti “attivi finanziari”, continuando nel frattempo ad appropriarsi di risorse finanziarie con ogni mezzo, compresi «asset» opportunamente drogati da valori fittizi, con beni e servizi dai prezzi gonfiati e dando poi origine ad altri fallimenti di banche e imprese.

In un rapporto del 2021 (non sempre troviamo dati aggiornati…), la società di consulenza McKinsey calcolava che il 77% dell’aumento del valore netto del bilancio mondiale – sommando attività finanziarie e reali – era da imputare all’incremento dei prezzi e alla valorizzazione dei titoli obbligazionari e azionari. Solo il 23% dipendeva dalla creazione di nuove risorse reali. E noi aggiungiamo che appena il 10% più agiato della popolazione mondiale ha beneficiato di quell’aumento, mentre salari e stipendi sono stagnanti (quando va bene...).

Valute” in agitazione – Area dollaro (che al momento ha ancora il sopravvento) e area euro (che sta perdendo qualche colpo…) si contendono l’attrazione di quei capitali che lasciano i paesi fino a ieri “emergenti”. Si parla di almeno 600 mld di dollari arrivati in Europa, al seguito dei fenomeni di tensioni valutarie (conseguenti alla crisi) che cominciano a manifestarsi ovunque. In America latina, Brasile e Argentina, ma anche in India, Indonesia e Turchia; lo stesso in Russia ed in Cina dove il mercato creditizio è sempre in agitazione, accanto ai movimenti della finanza quella “ombra” compresa. Un aumento dei tassi di interesse di capitale, espone a rischi di insolvenze quelli che sono i flussi di denaro fra le Banche; va notato il “bisogno” che ha Pechino di mantenere una forte accumulazione (e valorizzazione…) di capitale, necessaria per alimentare uno “sviluppo” che comincia a dar segni di una allarmante insostenibilità.

La governance della crisi - Le masturbazioni intellettuali attorno all’irrisolvibile soluzione del problema di una governance della crisi, tanto europea che mondiale, stanno portando allo sfinimento le varie intellighenzie degli esperti borghesi. Le ricerche di una politica monetaria - in grado di tamponare gli effetti negativi sempre più macroscopici della crisi stessa - sono ad un punto morto, mentre si manifestano anche le tendenze di differenti interessi “politico-economici” tra i mercati finanziari e quelli commerciali.

In realtà, quella del capitalismo è ormai una vera e propria agonia. Gli MBS(2) pesano nel bilancio della Fed costringendola al sovrappeso di quasi 3 mila mld di dollari in “finanziamenti” fino a ieri dettati da una politica monetaria espansiva che – dopo il 2008 - ha spinto la Fed all’acquisto di pacchi di Bond (Tresaury) americani, fino ad oltre 2.000 mld di dollari. Lo stesso cominciò a fare anche la Bce, in una gigantesca iniezione di liquidità mondiale. Con la pandemia del Covid si è allargata la stampa di moneta mentre la Fed deteneva quasi 6.000 mld di dollari di debito pubblico statunitense. Gli MBS in circolazione toccavano la cifra di oltre 2,7 mld alla metà del 2022. Gli stimoli all’economia furono debolissimi mentre nella sfera finanziaria si speculava a più non posso, con la Fed che presentava un bilancio di 9 mila mld di dollari. A quella data la bolla di liquidità ha cominciato a incrinarsi, pronta ad esplodere anziché - come si immaginava ai suoi tempi un Keynes – creare una fantomatica “piena occupazione”…

A questo punto il pensiero dei maggiori economisti borghesi si è incentrato sui “vantaggi” derivanti da una politica monetaria restrittiva. La Fed ha cominciato a rialzare i tassi di interesse e a sospendere gli acquisti di obbligazioni e MBS in scadenza. Conseguentemente il mercato obbligazionario è entrato in sofferenza mancando della liquidità distribuita dalle banche centrali per altri indirizzi. I fondi pensione e le compagnie di assicurazione sono in agitazione per una stretta monetaria che nega a loro le necessarie “certezze” di… buon rendimento.

Ha da mesi cominciato a tremare anche il mercato delle obbligazioni societarie, dove si teme un default di buona parte delle obbligazioni con basso rating e dei debiti delle famiglie per i loro consumi di merci di cui l’inflazione sta aumentando i prezzi, nella realtà di un mercato che senza credito rischia di andare in tilt. Lo sovrasta, fino a soffocarlo, un debito globale ormai al 400% del Pil mondiale. Tutto sotto la pesante cappa di una generale insolvenza dei prestiti.

Una produttività… controproducente - Il capitalismo si avvicina al culmine di una produttività che paradossalmente esso stesso sta ricercando illudendosi di frenare la caduta del saggio medio di profitto. Ma in realtà sta soffocando sotto lo stesso sviluppo delle forze di produzione (giunte ormai ad un limite insopportabile per il sistema). Si teme una svalorizzazione mortale che metterebbe in estrema crisi quella stessa pseudo “sinistra” che tenta di esistere contando su una propria partecipazione opportunistica alla gestione di un capitale in forti difficoltà. Ed anche nella sfera finanziaria, cerca spazi in un quadro economico reale che trema a seguito di una sopravvenuta inflazione con conseguenze devastanti. Ora che il quantitative easing si é arrestato e i tassi d'interesse delle banche centrali stanno risalendo, si fanno preoccupanti le insolvenze mentre si teme il crollo delle garanzie dei mutui subprime, con le relative ipoteche scambiate sui mercati come MBS. La crescita abnorme delle cartolarizzazioni ha già assestato colpi bassi alla sfera finanziaria e ad una sua sperata crescita.

L’agonia del capitalismo – sfera produttiva e finanziaria – non solo è continua ma si aggrava. E minaccia di travolgere con sé il proletariato se esso non ricostruirà al più presto il suo partito rivoluzionario, portando a conclusioni radicali la propria lotta di classe.

Masse di denaro senza futuro – Quelle che avrebbero dovuto essere – per molti – le “valvole di sfogo” per una massa di denaro che il tendenziale ribasso del tasso medio di profitto ostacola nel suo trasformarsi in capitale vero e proprio da investire nell’industria, si sono frantumate.

L’abbandono totale del gold standard exchange (1971) per molti avrebbe dovuto evitare l’avvio di ondate di turbolenze finanziarie che nel pieno della fase imperialistica già si annunciavano a livelli globali, insofferenti ad ogni tentativo di presunte “regolamentazioni”. Intanto, proseguendo in operazioni finanziarie, la borghesia ripartiva all’attacco dei salari (diretti, indiretti e differiti), sempre tentando di recuperare i profitti industriali che cominciavano a calare.

Con lo sviluppo “globale” dello scambio delle merci, la moneta della maggior potenza imperialistica, gli Usa, ha assunto la funzione di moneta mondiale per pagamenti internazionali. Sganciarsi dall’oro era una impellente necessità per consentire al dollaro un libero movimento nel condizionare la circolazione internazionale, dopo che oro e argento avevano storicamente svolto la funzione di «creare il mercato mondiale anticipando nel loro concetto del denaro l’esistenza del denaro». (Marx)

Negli ultimi decenni il capitalismo ha inseguito un unico obiettivo: quello di produrre quante più merci gli fosse possibile con il minor numero di operai, illudendosi di recuperare profitto (plusvalore relativo). Ha devastato selvaggiamente le risorse naturali e contemporaneamente eliminato - in Occidente - centinaia di migliaia di posti lavoro a seguito della crescita della produttività nel settore manifatturiero, nell’agricoltura e nello stesso terziario.

Le macchine oggettivano in sé il lavoro morto, quello delle generazioni passate, ma senza il lavoro vivo e lo sfruttamento di tempo ed energia umana, non c’è plusvalore. Ampliando la base demografica, crescono i problemi per la società borghese poiché aumenta il numero delle bocche da sfamare, corpi da curare, cervelli da istruire e così via, mentre diminuisce la possibilità di poter impiegare e sfruttare come forza-lavoro tutti i proletari.

Attorno al “tavolo delle politiche attive per creare lavoro” i gestori del capitale non sanno più che pesci pigliare, mentre – confermate dalle statistiche ufficiali – milioni di uomini, donne e bambini nel mondo si trascinano nella miseria e nella disperazione. Con una popolazione mondiale che nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi, più di un miliardo di esseri umani potrà solo tentare di sopravvivere penosamente fra stenti di ogni tipo. Persino nel paese che figura come il più ricco, gli Usa, circa 50 milioni di individui (anonime “persone”…) sono già in condizioni di povertà e senza i buoni pasto del governo (4,45 dollari giornalieri) non resterebbero in vita. Poi vi sono i “quasi poveri” con un reddito di poco più di 20mila dollari l’anno per una famiglia di 4 persone: ecco perché a migliaia vivono in coabitazione o in roulottes, camper, barche, ecc. Tutti circondati dal frastuono di… confortanti “panzane” nutrite da una illusione produttivistica fattasi a dir poco oscena e al seguito di un cretinismo monetario che dovrebbe sorreggere l’attuale traballante meccanismo economico, imbrigliato nelle assurde logiche del sistema. Dove esplodono a ritmo sostenuto contraddizioni insanabili.

Produzione per la produzione, finché dura… - E’ più che evidente come le difficoltà di una sopravvivenza sotto il dominio del capitalismo siano sempre più insostenibili. In verità è dagli anni Settanta che nella struttura capitalista sono cominciate a manifestarsi le prime crepe. Le “ristrutturazioni” hanno finito col peggiorare la situazione: l’imperativo di abbattere i costi di produzione per conquistare mercati, a cominciare dal famigerato “costo del lavoro”, ha portato all’introduzione di tecnologie avanzate, sostituendo migliaia e migliaia di lavoratori in esubero.

Nel settore tecnologico americano, nell’ultimo anno, si sono effettuati tagli di decine di migliaia di posti di lavoro. Addirittura (dati Layoffs.fyi) più di 214.000 persone sono state licenziate dall’inizio del 2022. Le maggiori imprese e alcune holding americane hanno fatto tagli al personale in media del 10%, e sempre – come “scusante” – in uno «scenario macroeconomico difficile», inflazione compresa… Avanti, dunque, sempre inseguendo il massimo di produzione snella, il just-in-time, la flessibilizzazione della forza lavoro e l’outsourcing (attività e strutture aziendali esternalizzate).

Ma ecco un altro problema che ha cominciato a disturbare i sonni agitati della borghesia: chi consumerà, pagandole al “giusto” prezzo, le merci prodotte e che dovrebbero quantitativamente aumentare per recuperare l’altrettanto “giusto” profitto? Se le merci prodotte non si vendono, il capitale “investito” non realizza la valorizzazione ottenuta con l'estorsione di plusvalore nella produzione di merci, e si cerca allora un guadagno nella finanziarizzazione. La quale di anno in anno si rivelerà un rimedio peggiore, a lungo andare, della malattia stessa… Un accenno va anche alle delocalizzazioni, una “esportazione” di produzione di merci e di posti di lavoro in paesi “periferici” dove sono in vigore bassi costi del lavoro e regole in generale più favorevoli al capitale (come inizialmente anche in Cina).

Sempre più una favola si rivela quella di un capitalismo buono, etico e verde, il quale possa consentire a chiunque di non essere più la vittima da sacrificare all’esigenza di valorizzazione del capitale.

Raggiri finanziari e monetari… - I tanti servi sciocchi del capitale si lamentano perché il capitale, anziché produrre e vendere merci (con profitto!), insiste in un eccessivo processo di finanziarizzazione dell’economia. E si offrono per meglio gestire questo modo di produzione chiedendo una politica monetaria espansiva. Quel denaro facile che dovrebbe favorire un potere d’acquisto oggi insufficiente a risolvere la realizzazione dei profitti che solo la vendita delle merci - prodotte con lo sfruttamento della forza-lavoro – potrebbe realizzare per consolidare una costante accumulazione e valorizzazione di capitale.(3) Sempre a condizione che il saggio di profitto non continui a scendere, come inesorabilmente sta accadendo a seguito della incessante modificazione della composizione organica del capitale! E si rimpiangono i tempi (fine anni Quaranta) quando gli Usa, con il 6% della popolazione mondiale, producevano da soli la metà di tutti i beni venduti nel mondo e detenevano due terzi delle riserve mondiali di oro.

Il dollaro era stato imposto come unica valuta di riserva internazionale con un rapporto di parità fissa con l’oro (35 dollari per oncia d’oro). Nel 1971 quel rapporto fu infranto e si aprì la fase di cambi fissi con un ruolo al momento passivo dei mercati finanziari. Ma la moneta si smaterializzava del tutto, non più moneta-merce, essa diventava “moneta segno” e cominciava lo sviluppo abnorme delle speculazioni finanziarie. Aumentava la liquidità monetaria in circolazione con fittizie plusvalenze finanziarie che facevano da illusorio moltiplicatore di denaro con dinamiche speculative.

Oggi si sta assistendo di nuovo, e qui entra in gioco la Cina, ad un aumento delle riserve nazionali in oro, evidentemente con l’obiettivo di indebolire il dollaro che, nel lontano 1944, Bretton Woods aveva imposto – lui solo - un aggancio all’oro. Gli Usa ne avevano un forte possesso e così il dollaro divenne moneta internazionale. Quello che oggi anche il renminbi aspira di diventare…

In seguito si cercò di sostenere i consumi con l’espansione del credito; le agenzie pubbliche Freddy Mac e Fannie Mae sostenevano i mutui (“una casa per tutti!”), cartolarizzando i titoli di debito. I consumatori americani compravano a credito fino ad assorbire il 70% del risparmio mondiale, coinvolgendo Cina, Germania e Giappone in particolare col mercato immobiliare. Con gli Usa inondati di liquidità, e spinte volte alla deregolamentazione, arrivò il fallimento Lehman, a cui seguì una situazione peggiorativa sia negli USA che nel resto del mondo: il crollo dei prezzi delle materie prime non fermò la crisi, anzi, il prezzo del petrolio (che da 145 dollari il barile scendeva agli inizi del 2009 a 30 dollari) era la manifestazione di un approfondirsi della crisi stessa.

Quando la domanda mondiale aggregata ha cominciato ad arrancare e i debiti a crescere, venne a mancare quel “reddito adeguato” (e si tratta in prevalenza di salario...!) che avrebbe dovuto mantenere in piedi il mercato dei beni scambiabili – tutti in forma di merci. Contemporaneamente ed a forte intensità è cresciuta la quantità di capitale, sia costante sia fisso, richiesta per gli investimenti e sempre meno per il capitale variabile.

Ergo, e di conseguenza, i saggi di profitto hanno cominciato a cadere.

E le Borse traballano – Intanto, mentre i profitti delle catene di distribuzione Usa sono in difficoltà e perdono posizioni a Wall Street, la Fed ha iniziato una politica di aumento dei tassi di interesse del denaro, illudendosi di rallentare l’inflazione. La quale si sta impennando in presenza di una economia sempre più “raffreddata”, con i “popoli” che consumano meno merci di quanto il capitale avrebbe bisogno di vendere. Ed aumentano i venti di guerra, con un'esplosione di missili che in Ucraina si va intensificando. Quindi il quadro si fa fosco per le relazioni commerciali globali, con in più la crescita dei prezzi delle materie prime e delle forniture indispensabili alla produzione. Le catene commerciali rischiano di arrugginirsi. Ed anche per la Cina – considerata fino a ieri la “fabbrica del mondo” – il periodo delle “vacche grasse” (per il capitale “socialista”!) si è ormai estinto; il mercato finanziario, logicamente “socialista”, perde colpi mentre gli sperati balzi in avanti della produzione di merci stanno tramontando, e per cercare di sottrarre i mercati ai concorrenti non c’è che intensificare lo sfruttamento dei lavoratori. E sostituirli con robot che rendono meglio e non protestano mai…

E’ pure ripresa – né mai si è interrotta – la spesa pubblica per gli armamenti: si tratta di una espansione che affascina tutte le forze presenti nella società, comprese quelle cosiddette progressiste. E’ una “necessità” che la società borghese non può certo trascurare: per una “difesa democratica”, s’intende! L’industria degli armamenti americana accelera le pressioni delle sue lobbies, spendendo somme ingenti (si parla di oltre 850 mld di dollari nel 2022 suddivisi fra le multinazionali Usa che operano nel settore della “difesa”: Dynamics, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon. E le cifre aumentano con la guerra in Ucraina. Gli appaltatori della cosiddetta “difesa” hanno incassato quasi la metà dei 14 trilioni di dollari assegnati al Dipartimento della Difesa (DOD) durante i precedenti periodi. Gli Stati Uniti nel 2020 hanno speso (ufficialmente…) il 3,7% del loro PIL in armamenti; la Russia il 4,3% e la Cina – nel 2022 – l’1,75% del PIL.

Inoltre, nel primo trimestre del 2022 le grandi corporation americane del settore hanno speso 16,9 milioni di dollari per spingere il governo Usa ad aumentare le spese in armamenti. All'inizio del mese di ottobre 2022, il Pentagono ha emesso un contratto da 19,5 milioni di dollari con Raytheon e Lockheed Martin per i missili Javelin e un contratto da 19,7 milioni con AeroVironment per i droni spia Puma; ma si tratta solo di alcuni esempi tra i diversi contratti stipulati dal governo per forniture di armi.

Ma la crisi va avanti - I progressi della scienza e le innovazioni tecnologiche applicate nei processi produttivi di merci – che da decenni si stanno intensificando - sono condizionate da forti aumenti della composizione organica del capitale (macchinari e impianti) mentre diminuisce l’impiego di manodopera produttiva. L'introduzione di macchine e robot (che trasferiscono il loro valore ma non ne producono di nuovo) non fa che diminuire il saggio medio di profitto, nonostante i capitalisti mettano in atto alcune controtendenze che però, alla lunga, peggiorano la situazione. Vedi l’aumento del saggio di sfruttamento dei singoli lavoratori (plusvalore assoluto) o peggio ancora il plusvalore relativo (con macchine che producono più merci e riducono le forze-lavoro occupate). Tutti i tentativi di contrastare la discesa dei profitti, finiscono - dopo una prima fase - con lo spingere nuovamente in basso i saggi di profitto. Ne consegue anche un continuo rallentamento del saggio di aumento del Pil pro capite, come è accaduto quasi ovunque negli ultimi decenni. Dove si sono snodati fatti che hanno indicato quello che sta accadendo nel modo di produzione capitalistico e verso quale direzione i governi borghesi si stiano muovendo. Tutti stanno manovrando - direttamente o indirettamente, democraticamente o dittatorialmente, “pacificamente” o lanciando missili e droni carichi di bombe - con una “dinamica” propria dell’imperialismo, con schieramenti che si contrappongono l’uno all’altro mentre si accentuano gli irrisolvibili problemi che il capitalismo trascina dietro di sé. E’ chiaro - e si tenta in tutti i modi di confondere e alterare questa realtà – che gli interessi in gioco non riguardano i proletari che anzi sono considerati di nuovo, dopo due guerre mondiali, solo come carne da macello.

Questa la prassi che il capitalismo – nella sua fase imperialistica – porta con sé; si vorrebbe convincere i proletari (specie a… “sinistra”) che un tale imbarbarimento bellico potrebbe terminare con un multipolarismo dei vari Stati capitalisti, ciascuno obiettivamente tendente ad essere un centro imperialistico egemone o – se più debole - un satellite della potenza maggiore.

E’ quindi del tutto paradossale - nel presente scenario imperialistico - il sottinteso appoggio ad ipotesi di soluzioni che dovrebbero creare condizioni per il rafforzamento di uno dei fronti imperialistici. Così la causa principale e fondamentale della crisi, quella che sta mettendo strutturalmente in ginocchio il sistema (ossia la tendenziale caduta del saggio medio di profitto) viene del tutto ignorata. Si fa credere che sia sufficiente – fra le potenze che pretendono farsi egemoni quali centri economici e finanziari internazionali - favorire (per il momento a parole, poi si vedrà…) uno dei centri in competizione, ritenendo essere la sua vittoria (in uno scontro bellico che tutti ritengono inevitabile) la condizione per un mondo migliore…

Non solo siamo nel campo della più stolta fanta-politica, ma altresì ci si allontana da una pur minima logica formale, inseguendo le illusioni di eventuali equilibri imperialistici nella realtà di una globalità capitalistica da alcuni mistificata quale “socialismo del XXI secolo”!, con l’illusione che si calmino le esplosioni di insanabili e disastrosi contrasti in un nuovo equilibrio… imperialistico!

La ricerca per appropriarsi di spazi e zone di influenza ai danni di quella che si ritiene la più pesante (ed unica!) oppressione imperialistica - gli Usa - diventa l’indicazione tattica inserita in una strategia che, in nome di un progressismo economico, dovrebbe guadagnarsi il tifo e l’appoggio di ogni… “marxista” che si rispetti e che si affacci, con le mani in tasca, alla finestra della storia.

Soffiano venti di guerra - Ed a proposito dei venti di guerra che soffiano un po’ ovunque, un accenno va ancora a quella pseudo sinistra che si guarda bene dal rimarcare come lo scontro bellico, la guerra aperta, debba essere comunque e sempre denunciata quale unico mezzo che il capitale ha a sua disposizione nel tentativo di risolvere i propri problemi economici e di dominio politico. Anzi, questa “sinistra” (di conservazione!) si prodiga nel chiedere al proletariato di scendere in armi a favore della borghesia che, indossando le vesti di aggressore o di aggredito, lo sfrutta e lo dissangua. Confondendo ulteriormente la sua già debole coscienza di classe.

C’è poi chi - sempre a nome di un nuovo “socialismo del XXI secolo” - articola discorsi non sulla eliminazione delle classi sociali bensì attorno ad ipotesi di una “ristrutturazione del rapporto fra le classi” e fra le classi e il capitale. Semmai si tratterebbe non di “antagonismi inconciliabili fra gruppi e classi” (come li definiva Marx) bensì del manifestarsi di un “percorso e posizionamento di forze statali e sociali dialetticamente intrecciate” verso l’uno o l’altro dei blocchi contrapposti, così come si recita nei salotti "antagonisti"…

Gira e rigira si cercano prospettive politiche che rafforzino l’illusione di una via d’uscita dalla crisi – economica e sociale che sta cominciando ad attanagliare l’umanità a livello globale. Ci si agita all’interno di una globalizzazione (riproduzione capitalistica internazionalizzata) che si crede possa avere un corso progressivo qualora fosse liberata dall'attuale egemonia americana del dollaro. Si individua questa come la causa diretta della crisi nella quale si evidenzierebbero le conseguenze negative che comporta una collocazione squilibrata di altri imperialismi (come quelli di Cina e Russia) nella divisione internazionale del lavoro (e dei mercati) che viene imposta dagli Usa.

Per quanto riguarderebbe la presenza di alcune contraddizioni che vanno a complicare il quadro sia dei rapporti inter-borghesi sia di quelli fra le classi, sta avanzando una fase in cui si fa sempre più difficile una adeguata valorizzazione del capitale e di conseguenza entra in evidente collasso una sua accumulazione globale. Sarà presto il momento – per noi – di rovesciare le carte in tavola.

Cominciando da quelle di chi vuol far credere – in recita sui palcoscenici bellici – in un possibile futuro processo di pacificazione fra briganti (o meglio di sconfitta di uno o l’altro) sperando così da poter trarre vantaggio per quello schieramento – e qui, difficile crederlo, ma saremmo a “sinistra”! – che esalta questa “fase epocale” ritenendola anticipatrice di una imminente e cruciale serie di “trasformazioni rivoluzionarie”. Così un Putin si presenta ai popoli promettendo una decomposizione dell’egemonia statunitense alla quale poter sostituire una pari egemonia, in abito multipolare. Quindi tale da poter dare sfogo all’azione di altre manovre, apertamente contrastanti questa volta con gli interessi americani, nei settori economico-finanziari. Dietro le quinte, l’uno e l’altro dei briganti cerca di appropriarsi di spazi geopolitici sui quali esercitare le proprie “influenze”, dirette o indirette. A queste operazioni si dà poi il valore di una “dialettica” che creerebbe una antitesi all’unipolarismo americano facendo avanzare il più ordinato multipolarismo di Paesi convergenti su di un comune interesse. Capital-imperialista, naturalmente e sempre, ovvero la difesa del proprio capitale e del sistema politico che lo sostiene.

Ma in realtà non si cambia affatto una fase storica - come qualcuno va blaterando - bensì si entra nella fase di un imperialismo che vede l’impossibilità di una sua unica centralizzazione ma deve fare i conti con una realtà nella quale la sua esistenza e il suo sviluppo possono continuare soltanto con una antagonistica contrapposizione ad altri centri capitalistici organizzati… imperialisticamente.

Russia e Cina, potenze antimperialiste? - La Russia entra da primaria protagonista nel conflitto ucraino in corso e farebbe parte della cerchia di organizzazioni che dichiarano di avere a cuore un processo multipolare con un'integrazione eurasiatica in campo economico-politico.

E’ chiaro che l’ordine internazionale esistente fino a pochi anni fa si è basato su una condizione di totale subordinazione ad un evidente dispotismo del capitale americano, il quale comincia ad entrare in una fase di accentuati ostacoli. Due, soprattutto, sarebbero i soggetti di chiara natura imperialistica che si contrappongono agli USA, via via che i loro interessi economici e finanziari sono minacciati proprio dai tentativi che Washington si sforza di realizzare per mantenere la propria supremazia. Un processo politico, accanto a quelli economici e finanziari che si stanno sviluppando (tra non poche contraddizioni), si presenta quello che Pechino intenderebbe governare sia pure non disponendo ancora delle risorse (tecnologiche, finanziarie e militari) che occorrerebbero per avere una egemonia internazionale che si sostituisca a quella USA.

In una apparente condivisione dei progetti del nazional-capitalismo cinese, si inserisce Mosca, anch’essa con la maschera di un condiviso futuro ispirato dal quadro ipotetico di una “integrazione economica internazionale” tale da essere vantaggiosa per tutti. Emerge la conferma di una posizione che anche ambienti di sinistra caldeggiano, considerando la fase imperialista non appartenente allo sviluppo capitalista bensì ad una scelta politica che farebbe uno Stato nei confronti di altri.

C’è anche chi, facendo sfoggio di anti-americanismo, ricorre alle esternazioni (a dir poco sconcertanti) di un Bordiga che – 80 anni fa - avvicinandosi alla tarda età e “tifando” per la Russia – invitava “i marxisti, che non potevano essere protagonisti della storia, ad augurarsi la catastrofe, sociale, politica e bellica, della signoria americana sul mondo capitalistico”. Ed oggi come allora si ritorna a considerare quello americano come l’unico regime egemone dell’imperialismo, la cui “catastrofe” diventa addirittura “la conditio sine qua non della liberazione delle energie delle classi lavoratrici nordamericane”…(4)

Quindi, vi sarebbe un solo imperialismo, per cui - sconfiggendo lo Stato che “politicamente” lo pratica accentrando poteri e capitali – gli altri Stati (guidati da Cina e Russia) potrebbero mostrare tutto il loro carattere… democratico e libertario, spezzando l’attuale divisione del lavoro internazionale e i rapporti di forza che gli Stati Uniti vorrebbero invece mantenere a loro esclusivo vantaggio.

Si promette poi di respingere ogni forma di oppressione e di non pretendere alcun privilegio, facendo esclusivamente gli interessi di quanti sono oggi subalterni, sia lavoratori che borghesi, uniti come popolo…. Purché – ecco l’altra faccia della medaglia – tutti accettino gli ordini vincolanti di un mercato le cui tendenze si impongono incidendo sui profitti derivanti dallo sfruttamento della forza-lavoro umana e realizzati con quel valore di scambio che costituisce l’elemento primario per un rapporto sociale tra uomini (i produttori) e il lavoro. Immutate le regole della… competizione: la compravendita delle merci rimane come fosse un rapporto naturale tra cose e non invece artificiale, alienato ed estraniato, tra gli uomini.

Le merci non si producono soltanto per l’uso bensì per essere vendute e comprate dando al capitale – attraverso il valore di scambio - un profitto, una quantità maggiore di denaro che ad esso assicuri valorizzazione e accumulazione. La versione “socialista” – secondo il “pensiero” che circola in Cina – recita che le innovazioni tecnologiche sono orientate ad un mercato che dovrebbe rapportarsi con una pianificazione la quale ha come unico e fondamentale fine la ricerca del… profitto “socialista”! Per il governo cinese, questa “molla” che muove e sostiene l’economia capitalista, viene quindi mistificata unicamente come fosse un semplice “incentivo”.

Fra questo gregge belante, primeggiano le… pecore della “prestigiosa Scuola del Partito cinese” in adorazione del “pensiero di Xi Jinping” sul socialismo con caratteristiche cinesi: sarebbe questo - secondo l’esatta “definizione scientifica” fornita da Pechino - il nuovo marxismo! Xi Jinping - forte della “ricchezza spirituale lasciataci da Marx” - presenta all’umanità lo sviluppo dal “marxismo del XIX° secolo” (quello di Marx ed Engels) al “marxismo del XX° secolo” (con Lenin, Stalin, Mao Zedong e Deng Xiaoping), per finire a quello cinese del XXI secolo.

Il risultato dovuto allo studio di quelli che vengono definiti come i più grandi modelli mondiali di socialismo – avrebbero confermato l’avvenuta “costruzione del primo stato socialista al mondo e del maggiore stato socialista al mondo”. Giù il cappello, dunque, davanti a simili eventi di rilevanza mondiale: avrebbero aperto una “nuova era” aiutando il fatto nuovo e clamoroso del XXI secolo! Ed oggi una nuova e grande “potenza mondiale” si erge davanti a noi: ecco la Cina che sotto la guida del PCC innova il marxismo, lo “cinesizza”, e rinvigorisce la fiacca economia mondiale… Il coro è unanime e solenne: “Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per la nuova era è ormai la forma principale di marxismo del XXI secolo”. E questo dovrebbe convincere i proletari ad arruolarsi nelle armate militari di Pechino e di Mosca oppure - se non si è ben compreso il predicozzo - in quelle contrapposte di Washington.

Capitale antropofago - Il capitale divora se stesso, non avendo altra via d’uscita se non la continua ricerca e applicazione di nuove tecnologie, le quali in un primo tempo assicurano un livello di competitività che sarà presto annullato dalla diffusione delle stesse tecniche produttive fra tutti i capitalisti. Inoltre, e soprattutto, le innovazioni tecnologiche finiscono col distruggere – e non creare – quel valore che dà vita al capitale.

Ma fino a quando il capitalismo (attuale modo di produzione e distribuzione dominante in ogni parte del mondo) comanderà l’organizzazione sociale e la sua divisione in classi contrapposte, una illusione (per il proletariato “pericolosissima”!) è quella di affidarsi a progetti di ipotetiche riforme redistributive che la classe dominante dovrebbe concedere democraticamente e pacificamente a chi fino ad oggi è stato oppresso e sfruttato

Questi progetti non sono solamente irrealizzabili, ma il solo proporli significa la resa a quella logica borghese che al momento paralizza i tentativi di una ripresa della lotta di classe. Presupposto del nostro operare per la formazione di una organizzazione politica di classe, è il programma della conquista del potere da parte del proletariato e del suo partito, tale da consentire l’intervento radicale contro le categorie fondamentali del capitalismo. Non vi sono possibili “passaggi intermedi”, paralizzanti poiché non inciderebbero sul “comando del capitale”: è per noi una “inderogabile necessità” quella di smascherare controproducenti indirizzi politici che non si coniughino – immediatamente e a fondo – con le misure da portare fra le avanguardie di classe con l’obiettivo di farla finita con l’attuale sistema di produzione per il profitto e l’accumulazione del capitale. E’ questo il vero limite che condiziona il risultato dello scontro di classe che – anche se continuamente soffocato – esploderà ad un certo punto. Con un risultato che dipenderà molto dal lavoro che – col ricostruito partito – sapremo fare. Instancabilmente.

DC

Note:

(1) Con la riforma contributiva degli anni ’90, annualmente in Italia vengono rivalutati i contributi versati secondo l’andamento dell’economia, considerando la media del PIL nominale degli ultimi 5 anni. Se il Pil si abbassa, l’ammontare della pensione futura automaticamente diminuisce… E poiché da decenni i giovani - precari - accumulano pochi contributi, la loro pensione sarà tale solo di nome.

(2)Mortgage Backed Securities”. Titoli obbligazionari rivenienti da operazioni di cartolarizzazione (securitization) di prestiti ipotecari.

(3) Per chiarire la questione del consumo in ambito capitalistico, sempre fondamentali queste osservazioni di Marx, dal Terzo libro del Capitale, capitolo 15°: “si deve venire a creare un continuo conflitto tra le dimensioni limitate del consumo su basi capitalistiche ed una produzione che tende continuamente a superare questo limite che le è assegnato ...vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione esistente... Ma vengono periodicamente prodotti troppi mezzi di lavoro e di sussistenza, perché possano essere impiegati come mezzi di sfruttamento degli operai a un determinato saggio del profitto. Vengono prodotte troppe merci, perché il valore ed il plus-valore che esse contengono possano essere realizzati e riconvertiti in nuovo capitale, e nei rapporti di distribuzione e di consumo inerenti alla produzione capitalistica... Non viene prodotta troppa ricchezza. Ma periodicamente viene prodotta troppa ricchezza nelle sue forme capitalistiche, che hanno un carattere antitetico... L'estensione o la riduzione della produzione non viene decisa in base al rapporto fra la produzione ed i bisogni sociali... ma... in base al profitto ed al rapporto fra questo profitto ed il capitale impiegato, vale a dire in base al livello del saggio del profitto”. O ancora: “Ma se a questa tautologia [che ci sono merci invendibili, perché non ci sono compratori, ndr]si vuol dare una parvenza di maggior approfondimento col dire che la classe operaia riceve una parte troppo piccola del proprio prodotto, e che al male si porrebbe quindi rimedio quando essa ne ricevesse una parte più grande, e di conseguenza crescesse il salario, c'è da osservare soltanto che le crisi vengono sempre preparate appunto da un periodo in cui il salario in generale cresce, e la classe operaia realiter riceve una quota maggiore della parte del prodotto annuo destinata al consumo[la crisi strutturale in cui siamo immersi è scoppiata negli anni 1970, quando i salari erano aumentati nei paesi del capitalismo 'avanzato']. Al contrario, quel periodo - dal punto di vista di questi cavalieri del sano e “semplice” buon senso - dovrebbe allontanare le crisi” (K. Marx, Il Capitale, Einaudi, Libro II, cap. 20, pag.502)

(4) Sono, questi ultimi, i pensieri di un R. Sciortino: Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenze – Asterios

Lunedì, June 12, 2023