Soprattutto in tempo di guerra, gli scioperi non devono essere normali Sullo sciopero del 2 dicembre

Anche quest’anno, come ormai da molti anni a questa parte in questo periodo, è stato indetto dai sindacati di base uno sciopero che chiama i lavoratori di tutti i settori produttivi alla mobilitazione, e anche quest’anno parteciperemo.

Non possiamo però non rilevare il carattere rituale di queste mobilitazioni di mezza stagione. Non vi è dubbio sul fatto che ci siano moltissimi buoni motivi per organizzare scioperi e manifestazioni di protesta: l’inflazione sta abbassando pesantemente il nostro potere d’acquisto in modo visibile a occhio nudo, i contratti anche quando vengono rinnovati hanno a riferimento un indice dei prezzi che non corrisponde all’aumento reale del costo della vita; nelle statistiche ufficiali il lavoro nero e precario è l’unico dato che aumenta, alla faccia delle promesse elettorali - ripetute anche recentemente - sulla necessità di rimettere al centro il lavoro.

I disastri ambientali non fanno più neanche notizia e da ultimo, sulla pelle e con la pelle dei lavoratori in Ucraina si sta combattendo una guerra feroce, e i soldi che sono stati trovati per finanziare il conflitto in nome dell’autodeterminazione del popolo ucraino, non si sono mai trovati per considerare le esigenze della maggioranza della popolazione – il proletariato - la quale vivrebbe volentieri in pace con il vicino, anche quando parla una lingua diversa. Questa è anzi la prima volta che i profughi, ma solo quelli ucraini, vengono accolti a braccia aperte, mentre su tutti gli altri, considerati “rimasugli” ingombranti e fastidiosi, si combatte una battaglia nave per nave, come se fossero profughi di un dio minore. L’unica stella polare nella società in cui viviamo sono gli interessi dei padroni e il loro modo ferocemente ipocrita di vedere il mondo.

Fin qui niente di nuovo si potrebbe dire, ma qualcosa di nuovo invece c’è: la guerra in Ucraina non è un mero episodio. Significa che al capitale non bastano più le vecchie ricette, fatte di compressione dei salari, precarizzazione, delocalizzazione, finanziarizzazione, saccheggio e devastazione dell'ambiente:: quello che si prepara è uno scontro tra classi dominanti, tra poteri dominanti a livello internazionale, cioè tra imperialismi contrapposti, ma lo scontro lo pagheranno, lo stanno già pagando, solo ed esclusivamente i dominati.

Se lo scenario è questo - e purtroppo lo è - pensare di poter affrontare la situazione indicendo scioperi con largo anticipo, rispettosi delle compatibilità e corredati da una lista di obiettivi che farebbe impallidire la letterina per babbo natale, non ci farà fare neanche un passo avanti. Se lotta dev’essere, allora che sia lotta economica vera, e non un pallido sembiante che vorrebbe rievocare nel rito le lotte del tempo che fu. Al momento gli unici settori (o quasi) che hanno praticato lotte di questo tipo sono quelli, prevalentemente composti da immigrati, della logistica. Scioperare per respingere le aggressioni dei padroni e del loro Stato contro le nostre condizioni di lavoro e di vita - passaggio necessario per passare dalla difesa all'attacco - adottare la determinazione necessaria è il primo passo; superare le divisioni di settore è il passo il successivo; costituire comitati di sciopero che tolgano l’iniziativa alle molteplici e litigiose chiesuole sindacali è quello dopo ancora. L’iniziativa di lotta se mai partirà, partirà dal basso, di certo non dall’alto delle gerarchie sindacali, ma perché abbia speranze di successo deve rimanere nelle mani di chi l’ha espressa, attraverso delegati eletti dai lavoratori in sciopero, revocabili qualora non rappresentino più nient’altro che se stessi.

Infine - per quanto parlarne ora possa sembrare pura fantasia - non possiamo nasconderci che la situazione in cui ci troviamo non è nata un bel giorno di primavera, e non è nemmeno il frutto di avidità e cupidigia padronale (che pure ci possono essere), né di politiche neoliberiste che si possono invertire con le giuste politiche socialdemocratiche. Al contrario, la situazione in cui ci troviamo oggi è frutto di precise e cogenti leggi economiche, tanto è vero che i suoi tratti principali si ritrovano a tutte le latitudini. In particolare, è figlia di una legge già individuata quasi un secolo e mezzo fa che si chiama “caduta tendenziale del saggio di profitto”. Dunque, noi, classe lavoratrice, non possiamo aspettarci di uscire definitivamente dalle secche in cui ci troviamo, se non cambieremo l’assetto politico ed economico su cui si basa l’attuale società, se non lo liberemo dalla schiavitù della riproduzione allargata del capitale. Solo le guerre come la Seconda guerra mondiale fanno ripartire nuovi cicli economici per il capitale, e noi un’altra guerra così – o peggio -non la vogliamo.

Per questo lanciamo un appello a coloro che, facendo propri i principi dell'internazionalismo, contro ogni forma di nazionalismo, si muovano insieme contro le guerre della borghesia, agitando tra il proletariato la necessità della lotta contro il capitale e le sue guerre, costruendo comitati la cui bandiera sia: NO ALLA GUERRA IMPERIALISTA, SI ALLA GUERRA DI CLASSE (NWBCW); le nostre armi non sono bombe e fucili, ma la coscienza di classe, le lotte proletarie, gli organismi che da esse nascono per guidarle.

Se la lotta di classe proletaria, vera, è indispensabile, da sola però non basta; occorre la presenza del partito rivoluzionario internazionale, alimentato dalle lotte e che a sua volta le orienti politicamente, per affossare definitivamente questo sistema basato su sfruttamento e oppressione, che produce miseria e morte. O lui o noi, non c'è alternativa.

MB

Martedì, November 22, 2022