Piattaforma del Partito 1952

Pubblichiamo la Piattaforma uscita dal II Congresso del Partito, tenuto nel 1952. E' l'anno in cui la componente bordighista ruppe con l'organizzazione, sulla base di quegli snodi teorico-politici che, sotto traccia o apertamente, aveva cercato di far passare tra il corpo militante dalla fine della guerra, ma contrastanti con gli “atti” fondativi del partito stesso (Schema di Programma, 1944), con i deliberati del Convegno di Torino (1945) e del I Congresso, Firenze 1948.
Per un inquadramento approfondito delle questioni che portarono alla scissione operata dai bordighisti (ispirati da Bordiga stesso), rimandiamo al quaderno sulla scissione e a quello che analizza criticamente il bordighismo dal secondo dopoguerra in avanti: La scissione internazionalista del 1952 ; Per una analisi critica del tardo-bordighismo e dei suoi epigoni
Segue, in appendice, l'introduzione alla Piattaforma fatta dai nostri compagni della CWO per la traduzione inglese del documento.

PIATTAFORMA POLITICA DEL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

II° Congresso, Milano – 1952
Editrice Libraria PROMETEO
Viale Monte Grappa, 10
MILANO

Presentazione

Il corpo di tesi che pubblichiamo risale al Congresso di Milano del 1952, all'epoca in cui il nostro partito si trovò improvvisamente di fronte al tentativo, operato al vertice della organizzazione, di porre in dubbio la sua esistenza in quanto partito chiamato a rappresentare, nella continuità dei suoi quadri, della sua tradizione di « sinistra italiana » e delle sue posizioni ideologiche il presupposto programmatico e organizzativo del futuro partito della classe operaia.

Nell'opera teorica e politica, pur se modesta, che ne è seguita in connessione con le vicende della lotta operaia internazionale, non si vuol cogliere i segni dell'infallibilità ma la conferma della validità di certe preoccupazioni e la esattezza dei problemi posti alla base del programma del II Congresso quali la natura e la funzione del partito; la fisionomia e definizione economico-politica dello stato russo e il ruolo delle rivolte afro-asiatiche.

La presente pubblicazione servirà dunque ai compagni per un riesame critico della piattaforma politica che ci caratterizza, quanto mai viva, oggi, e operante in mezzo a tanto imprevisto crollo di uomini, di ideali, di programmi e che costituisce l'insostituibile banco di prova per la elaborazione delle tesi in vista del III Congresso del Partito.

Questioni Generali

1°) Il contrasto tra le forze produttive ed i rapporti di produzione che caratterizza il capitalismo, ed esprime nel proletariato la sua antitesi storica, dà origine alla lotta di classe che non è episodio relativo a questa o a quella fase del suo sviluppo, ma è realtà permanente, connaturata a questo regime di produzione; apparirà più o meno vivo e rilevante sul piano della lotta politica per l'alternarsi delle sue vicende di dominio, e scomparirà dalla storia il giorno in cui l'avvento rivoluzionario del proletariato al potere darà inizio alla produzione e distribuzione socialista, storicamente possibile con l'abbattimento rivoluzionario di tutti gli organi e le forme del potere borghese.

2°) Organo specifico permanente e insopprimibile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il Partito di classe.

3°) Il Partito Comunista Internazionalista è l'organo politico della classe proletaria e strumento non episodico, né temporaneo della sua emancipazione. Non c'è classe proletaria in nessuna fase della sua storia senza la presenza viva ed operante del suo Partito rivoluzionario se esso non affonda le sue radici nel cuore della classe, se è staccato dalla vita quotidiana, dalle sue lotte e dalle sue esigenze, sia contingenti che fondamentali, che la reazione o la controrivoluzione trionfante potrà ridurre d'importanza, far temporaneamente tacere ma che non potrà mai storicamente distruggere.

4°) Il Partito raggruppa in sé una parte della classe, la parte più avanzata e cosciente del proletariato, mira ad unificare gli sforzi della masse lavoratrici, ed indica che i movimenti parziali e contingenti non possono avere successo se non sono collegati alle lotte per l'emancipazione rivoluzionaria del proletariato.

Il Partito ha inoltre il compito di risvegliare nelle masse la coscienza rivoluzionaria; di strapparle alla influenza illusoria e reazionaria delle varie scuole e tendenze nazional-comuniste, nazional-socialiste e social-democratiche; di apprestare le armi della teoria rivoluzionaria e i mezzi materiali di azione al fine di dirigere, nello svolgimento della lotta, il proletariato verso i suoi obiettivi finali.

5°) La concezione secondo cui il partito nella fase della controrivoluzione (nessuna scuola del marxismo rivoluzionario ha mai inteso dimostrare in che modo, come, e quando l'esercizio del potere borghese cessa di essere controrivoluzionario) debba limitarsi ad una blanda politica di dosato proselitismo e di propaganda e far centro sullo studio dei cosidetti problemi di fondo, riducendo così i compiti del Partito a compiti di frazione se non di setta, è da respingere come concezione antidialettica e liquidatrice dello strumento della lotta rivoluzionaria.

6°) Le guerre mondiali causate dalle intime e sempre più insanabili contraddizioni del sistema capitalistico che dettero vita all'imperialismo moderno, hanno aperto la crisi di disgregazione del capitalismo (qualunque sia la sua forma di dominio) in cui la lotta di classe non potrà che risolversi in un conflitto armato, con la insurrezione delle masse sfruttate contro il potere degli stati borghesi nella loro diversa gamma di sviluppo dagli Stati Uniti d'America alla Russia Sovietica e agli Stati di nuova democrazia popolare.

7°) Nella continuità programmatica del processo rivoluzionario ormai aperto, l'analisi obiettiva della situazione dà per acquisito, a detrimento della lotta proletaria, la scomparsa del primo Stato proletario, rientrato nell'ingranaggio del meccanismo mondiale del capitalismo.

La seconda guerra mondiale imperialista ha visto così fondersi negli interessi generali della borghesia internazionale lo stato russo, che fu la prima manifestazione rivoluzionaria e cosciente della classe operaia (1917).

Il Partito Comunista Internazionalista ha il compito di mettere al fuoco della critica marxista, senza flessioni e senza debolezza politica, le cause e gli effetti di questo processo degenerativo del primo Stato proletario nell'interesse supremo del futuro corso rivoluzionario.

8°) Le affermazioni di «socialismo nazionale» di stati di «nuova democrazia» o di «liberazione dei popoli oppressi» sono aberranti al marxismo e vanno rigettate come appartenenti alle ideologie e alla tattica delle forze della conservazione.

L'«antifascismo» ha costituito la più recente menzogna ideologica e politica dietro cui il capitalismo ha giocato la grande carta della propria conservazione di classe nella seconda guerra mondiale.

9°) Il partito ritiene definitivamente chiuso il periodo dei moti nazionali anche nei paesi coloniali a struttura economica prevalentemente pre-capitalista nei quali lo sviluppo del capitalismo indigeno s'incrocia col capitalismo della nazione colonizzatrice attraverso legami strettissimi e congeniti di classe per esercitare in comune la dominazione sullo stesso proletariato «colonizzato».

Non esiste oggi nell'Occidente e nell'Oriente, Asia compresa, un solo paese, per quanto economicamente arretrato, in cui il proletariato senta «più» il problema dell'indipendenza nazionale e «meno» la sua liberazione dal duplice sfruttamento capitalistico.

Nel periodo che sta a cavallo tra la seconda e la terza guerra mondiale, cioè nel periodo del più vasto e vessatorio dominio imperialista sul mondo, lottare in solidarietà con le forze, qualunque esse siano, dei moti di liberazione nazionale, significa porre il partito sul terreno della politica dell'avversario di classe, significa operare sul terreno borghese verso il quale ogni moto nazionale dovrà necessariamente confluire.

Il partito respinge perciò dai propri compiti quello delle alleanze rivoluzionarie colle borghesie tanto dell'Occidente che dell'Oriente (Asia compresa) e della partecipazione alle guerre di formazione nazionale; come respinge la falsa impostazione dialettica per la quale il partito dovrebbe lottare per la vittoria delle rivoluzioni borghesi sul regime feudale per favorire l'avvento della rivoluzione capitalista, ciò che in ogni caso significherebbe lottare per il trionfo dell'imperialismo di una borghesia a danno dell'imperialismo di un'altra borghesia.

10°) Sulla linea di sviluppo della controrivoluzione i partiti «comunisti» nazionali, ormai totalmente degenerati e strumenti ciechi della politica imperialista dello Stato russo, hanno abbandonato ogni metodo di lotta di classe agitando l'ingannevole bandiera dell'antifascismo, come se il nemico maggiore da combattere non fosse più il capitalismo ma una sua espressione, il fascismo.

11°) Dopo l'abbattimento del potere capitalista, il proletariato non potrà organizzarsi in classe dominante che con la distruzione (non conquista) dell'apparato dello stato borghese e con la instaurazione della propria dittatura di classe.

La forma di rappresentanza politica nello Stato proletario sarà basata sugli organismi di massa sorti dal periodo rivoluzionario, ed espressione di questo, con la esclusione della classe borghese da ogni diritto politico.

12°) Lo stato della dittatura proletaria sorto da un riuscito moto rivoluzionario è realizzazione del proletariato internazionale e trascende i limiti della sua esperienza nazionale in quanto primo episodio della rivoluzione proletaria nel mondo.

13°) La necessità della difesa delle conquiste rivoluzionarie e degli organi, attraverso cui il proletariato esercita la sua dittatura, restati, per cause storiche, isolati, in attesa di un ulteriore sviluppo degli avvenimenti internazionali, dovrà essere affidata agli operai armati sulla base insurrezionale e mai sulla base di una armata permanente.

14°) Il compito primordiale e immediato del proletariato rivoluzionario di fronte alla riorganizzazione dello Stato della propria dittatura è di «spezzare subito» la vecchia macchina amministrativa per dare inizio immediato alla costruzione di una nuova dove sia reso impossibile l'allargamento e il potenziamento d'ogni burocrazia, ma consenta la sua graduale soppressione.

Norma dello Stato proletario è la eleggibilità assoluta di tutte le cariche, la revocabilità in ogni momento di tutti i funzionari senza alcuna eccezione e la riduzione delle loro retribuzioni al livello medio del «salario di un operaio».

15°) Solo lo Stato proletario, mantenuto sui binari della continuità rivoluzionaria dai quadri del Partito, che non dovranno in nessun caso confondersi né fondersi in esso, potrà sistematicamente attuare tutte quelle successive misure di intervento nei rapporti della economia sociale con le quali si effettuerà la sostituzione del sistema capitalistico con la gestione socialista della produzione e della distribuzione.

16°) Per effetto di questa trasformazione economica e delle conseguenti trasformazioni di tutte le attività della vita sociale, eliminando la divisione della società in classi andrà anche eliminandosi la necessità dello stato politico il cui ingranaggio si ridurrà progressivamente a quello della razionale amministrazione delle attività umane.

Tesi

Dottrina

Per il partito rivoluzionario si pone la necessità di puntualizzare alcuni aspetti della dottrina marxista in quanto strumento di orientamento e di guida all'azione rivoluzionaria, la cui diversa interpretazione ha dato e continua a dare motivi di gravi dissensi interni e di ricorrenti frazionamenti delle forze di avanguardia rivoluzionaria.

Alla accettazione formale e a volte mistica del materialismo storico, del «Capitale» di Marx, delle opere di Lenin, ecc., noi intendiamo opporre la indiscutibilità, la attualità e la compiutezza del marxismo dottrinario in quanto interpretazione e critica dell'economia capitalistica in tutta la sua fase di esistenza e in quanto particolare, completa concezione del mondo e della storia umana. Con Marx, Engels e Lenin il partito pensa che nella storia nulla avviene per automatismo, indipendentemente dall'attività umana; «sono, cioè, gli uomini che fanno essi stessi la loro storia, in un ambiente dato che li condiziona e sulla base di dati rapporti effettivi tra i quali decisivi quelli economici».

Questo filo conduttore delle azioni reciproche, è il filo conduttore della storia, in quanto storia della incessante lotta tra le classi pur nel succedersi ininterrotto di alti e bassi nelle situazioni obiettive. Spezzare questo filo conduttore significa spezzare il corso della storia nella sua viva concretezza, significa annullare il presupposto della continuità della classe rivoluzionaria, la inevitabilità del suo partito politico, significa in definitiva annullare il presupposto della stessa rivoluzione proletaria.

Sono perciò da respingere tutte quelle formulazioni, vecchie e nuove, che si pongono ai margini di questo nucleo centrale del marxismo con interpretazioni idealistiche da una parte (ordinovismo, stalinismo, ecc.) e di dogmatismo deterministico dall'altra (scientismo deterministico; economicismo; bordighismo deteriore, ecc.), le quali finiscono per concludersi nel tradizionale pensiero reazionario della borghesia con l'inevitabile arresto nella elaborazione della teoria rivoluzionaria.

Natura e funzione del Partito

Non vi è possibilità di emancipazione proletaria; non vi è costruzione di un nuovo assetto sociale se non si origina dalla lotta di classe; come del resto non vi è lotta di classe che non sia nel contempo lotta politica.

Strumento di questa lotta è il partito politico di classe, che dalle lotte contingenti perviene con la insurrezione rivoluzionaria alla distruzione dello Stato capitalista per costruire lo Stato della dittatura del proletariato e provvedere alla sua gestione.

La classe esprime il partito come condizione della sua esistenza e non assume particolare importanza, ai fini di una valutazione storica, il fatto d'una sua maggiore o minore possibilità d'azione sul piano della lotta rivendicativa come su quello più specificamente politico a cui dialetticamente consegua un maggiore o minore rilievo del suo partito sul piano della lotta politica generale. Quel che conta è la continuità dei rapporti che devono intercorrere tra partito e classe; mentre il loro potenziarsi e ampliarsi è strettamente legato a condizioni obiettive favorevoli in cui la volontà realizzatrice del partito interviene in ultima analisi e solo in queste condizioni, come fattore determinato e determinante insieme.

Sarebbe grossolano errore, gravido di conseguenze degenerative e di smarrimento, credere e teorizzare che la classe, nel momento stesso in cui esprime il suo partito, attenua e addirittura annulla i suoi attributi di classe che deve succedere al capitalismo, come se potesse affidare ad altri i motivi e la coscienza della necessità della lotta contro la classe avversa e della sua eversione rivoluzionaria. Il proletariato non cessa, per nessuna ragione e in nessun momento, dalla sua funzione antagonista; non delega ad altri la sua missione storica; né rilascia procure «generali» neppure al suo partito politico.

Il rovesciamento della prassi, che è quanto dire la esplosione della volontà rivoluzionaria, consiste innanzitutto e soprattutto in quella accumulazione di motivi vari e di spinte nel grembo della classe proletaria che la dinamica rivoluzionaria proietterà in quella parte di essa, che è poi il partito, che per preparazione ideologica, maturità politica e coscienza unitaria sarà più atta a convogliare e sincronizzare l'elementare, complesso e multiforme moto e farne una potente arma di lotta e di distruzione.

La volontà d'azione della classe che così variamente converge nel partito, solo attraverso questo, e mai per capacità propria, potrà operare da scintilla sull'enorme potenziale rivoluzionario concentratosi nel tempo, attraverso il contraddittorio ed anarchico processo produttivo del capitalismo.

Ma quando i legami tra partito e classe sono allentati, spezzati e comunque inoperanti, la classe cessa d'essere forza unitaria, si fraziona sul piano della categoria per essere inevitabilmente spinta verso le varie forme della politica corporativa; a sua volta il partito, staccato dalla classe, cessa di essere il partito della rivoluzione ed è destinato a scomparire dalla scena della politica di classe o di perdersi nei vicoli malfamati del compromesso parlamentare.

La natura stessa del Partito Comunista Internazionalista come partito della classe operaia, indica e delimita i suoi compiti, nel quadro di una tattica e strategia di classe in stretta aderenza ad una piattaforma oggettiva di reali rapporti economici e di sviluppo dei mezzi tecnici di produzione su cui poggia solidamente la enunciazione delle leggi che presiedono alla vita sociale, ed in certi limiti, il grado di previsione storica del suo sviluppo successivo.

Il partito respinge da sé tanto le concezioni e la pratica dell'«attivismo» volontarista che si giustifica dietro una visione idealistica della storia e delle lotte operaie; come le concezioni dell'«inattivismo» di chi si limita ad osservare, come estraneo al processo, che il cieco e disordinato moto della realtà economica arrivi al punto limite della propria automaturazione esplosiva per prendere allora, e soltanto allora, in considerazione la necessità di dar vita al partito, alla sua formazione ideologica e organizzativa e al suo addestramento tattico. Il Partito non si forma per germinazione spontanea o estemporanea e non è concepibile che esso possa assumere nello spazio di un mattino, se di fatto tale spazio di tempo sarà concesso, la capacità soggettiva ed oggettiva di sapere approfittare dell'attimo offerto dalla rivoluzione in marcia.

«L'attività del Partito non può e non deve limitarsi solo alla conservazione e alla purezza dei principi teorici e della compagine organizzativa, oppure solo alla realizzazione ad ogni costo di successi immediati e di affermazione numerica. Il Partito è un prodotto e un fattore al tempo stesso della lotta di classe».

I compiti del Partito possono essere così riassunti:

a) la propaganda dei suoi principi e la continua elaborazione dei loro sviluppi;

b) la partecipazione attiva a tutte le lotte proletarie per le rivendicazioni immediate;

c) la direzione dell'insurrezione per l'assalto rivoluzionario del potere;

d) la gestione del potere nella dittatura del proletariato e la costruzione dell'economia socialista.

In tutte le situazioni in cui non sia ancora possibile la lotta diretta per la conquista del potere, il Partito deve sviluppare congiuntamente i primi due compiti, essendo inconcepibile una sua assenza dalle lotte anche parziali ed immediate del proletariato.

Astensionismo – Elezionismo – Partecipazionismo

Il Partito, dal Congresso di Livorno in poi, non ha mai fatto proprio l'astensionismo di fronte alle campagne elettorali come principio informatore della propria politica, come non ha mai accettato, né accetta, il partecipazionismo sistematico e indifferenziato. Come è nella sua tradizione di classe, il Partito valuterà volta a volta il problema della sua partecipazione secondo l'interesse politico della lotta rivoluzionaria e sempre quando sia possibile mobilitare attorno a questo intervento una parte, seppure modesta, di proletari coscienti.

«Comunque, quale che possa essere la tattica del Partito (di partecipazione alla sola campagna elettorale con propaganda scritta ed orale; di presentazione di candidature; di intervento nel seno dell'assemblea), questa si dovrà inspirare non solo ai principi programmatici di esso, ma alla aperta proclamazione che in nessun caso la consultazione col meccanismo elettivo può consentire alle classi sfruttate di dare adeguata espressione ai loro bisogni e ai loro interessi, e tanto meno di pervenire alla gestione del potere politico.

Nelle elezioni locali il partito non può astrarre, per considerazioni di interessi contingenti, dalla finalità generale di separare la responsabilità e l'impostazione delle forze proletarie da tutte le altre, e di continuare in piena coerenza l'agitazione delle sue rivendicazioni storiche generali».

Rapporti tra partito e masse

Per evitare di ridursi a un club di... filosofi, avulso dal movimento reale della storia e dal solco della lotta di classe, il partito deve risolvere il problema dei suoi rapporti con le masse, in aderenza ai principi del marxismo.

Uno degli aspetti di questo problema è quello che è genericamente chiamato questione sindacale e che comprende: valutazione del sindacato odierno, rapporti del partito con esso, agitazioni operaie e atteggiamento del partito e, infine, organizzazione di fabbrica.

Categoricamente il partito afferma che, nella fase attuale della dominazione totalitaria dell'imperialismo, le organizzazioni sindacali sono indispensabili all'esercizio di questa dominazione, in quanto perseguono finalità corrispondenti alle esigenze di conservazione e di guerra della classe borghese. Va perciò rigettata come falsa, la prospettiva che dette organizzazioni possano, in avvenire, avere una funzione proletaria da compiere e che il partito debba, quindi, operare una svolta e riportarsi alla concezione di conquistare dall'interno le loro leve di comando. Contro la pretesa di considerare operaia la natura del sindacato di oggi, unicamente perché in esso si trovano esclusivamente gli operai, pur riconoscendo che ciò corrisponde al vero, affermiamo che:

1) l'adesione degli operai al sindacato non è volontaria, ma imposta;

2) le organizzazioni sindacali, da quando hanno adeguato la loro politica al giuoco delle competizioni imperialistiche, non sono più espressione degli interessi specificamente proletari.

In situazioni mutate, quando la classe operaia si mobiliterà sotto la guida del partito di classe, per sferrare l'attacco frontale contro lo Stato, troverà affiancate allo stato, con funzione perniciosissima, le attuali organizzazioni sindacali. Questa affermazione è confermata dall'esperienza fatta dal proletariato tedesco e italiano, negli anni 1918-20, nel tentativo di andar oltre la barriera reazionaria delle organizzazioni sindacali e di dar vita a nuove organizzazioni di massa.

Tuttavia il partito, in stretta coerenza con le posizioni storiche della Sinistra italiana, non è scissionista, cioè è lontano dal lanciare parole a vuoto, né per la costituzione di nuovi sindacati, né per l'abbandono degli attuali da parte degli organizzati. Quest'ultima parola d'ordine sarà lanciata, solo quando la prossima crisi generale della struttura sociale capitalistica avrà generato il moto rivoluzionario della masse.

Nell'attuale situazione di acuta depressione del movimento di classe proletario, constatato che, nonostante la natura controrivoluzionaria di tutte le centrali sindacali, i proletari si trovano in esse nella quasi totalità, il partito ritiene che i suoi militanti devono rimanere nei sindacati fin tanto che non ne saranno espulsi, per l'attività da essi svolta, e partecipare, nell'interesse generale del proletariato, a tutte le manifestazioni interne della vita sindacale, criticando e denunziando la politica dei dirigenti sindacali, al fine di chiarire e di orientare rivoluzionariamente gli organizzati della classe operaia.

Il partito considera che i posti di lavoro, fabbriche, aziende, uffici, ecc., sono luoghi dove, con maggiore efficacia, è possibile svolgere opera di critica, di denunzia politica e di orientamento rivoluzionario degli operai, onde i gruppi internazionalisti di fabbrica devono essere al centro dell'attività da condurre tra le masse lavoratrici e saranno particolarmente curati dal partito, per renderli più idonei ad intervenire politicamente nelle situazioni, ogni qualvolta sarà necessario affermare e difendere la politica del partito.

La corsa gli armamenti e l'evolversi delle situazioni verso il terzo conflitto mondiale determineranno un'epidemia di agitazioni che lo stalinismo, come per il passato e per il presente, cercherà di convogliare ai fini dell'imperialismo russo. E' compito del partito e dei suoi gruppi di fabbrica, di essere in condizione di intervenire in ogni agitazione per svolgere opera chiarificatrice e di orientamento, e, se le condizioni e i rapporti di forza lo permetteranno, di prendere anche la direzione politica.

In stretta coerenza con quanto detto più sopra e al fine di assolvere pienamente il compito di rimanere in permanente contatto con la classe lavoratrice, il partito non sottovaluta l'importanza di essere presenti, laddove i rapporti di forza lo permettano, alle elezioni di organi rappresentativi nell'ambito del sindacato e della fabbrica. Il partito riterrà quindi sempre opportuno di intervenire nelle manifestazioni della vita operaia, vista la possibilità o no di presentare, soprattutto nelle elezioni delle commissioni di fabbrica, una lista autonoma di partito, motivandola appositamente con apposita mozione. Nel caso che i militanti internazionalisti fossero eletti nelle commissioni interne, essi si atterranno al criterio di difendere, in questi organismi, gli interessi degli operai, in coerenza alla politica del partito, e ne usciranno, se posti nell'impossibilità di difendere tale politica.

Situazione internazionale

La strapotenza del domino capitalista resa possibile dall'esito della seconda guerra mondiale, ha frantumato e disperso le forze politiche del fronte rivoluzionario, ed ha risospinto sul primo piano le forze egemoniche dello schieramento imperialista che si contendono la supremazia del mondo.

Questo clima storico è pertanto favorevole alla politica dei partiti dell'opportunismo, passati al servizio della causa dell'uno o dell'altro dei contendenti.

Il compito di riallacciare questi dispersi gruppi di rivoluzionari non è legato alla fortuna di nessuna iniziativa del Partito o di altro raggruppamento politico.

Bisogna tener conto del fatto che la fine della Terza Internazionale, la sconfitta della opposizione rivoluzionaria, il suo frazionamento e la sua dispersione, hanno scisso l'unità delle forze rivoluzionarie, hanno rotto il filo dell'elaborazione teorica e ritardano la possibilità d'ogni serio riannodamento internazionale.

Allo stato attuale e con la prospettiva di una sempre più intensa preparazione materiale e psicologica al terzo conflitto, necessita che le possibilità obiettive del riallacciamento siano trovate tra quei gruppi nazionali e internazionali che hanno rotto apertamente e definitivamente con lo stalinismo allo stesso modo che con la democrazia e con la guerra.

Il proletariato è tuttora il grande assente sul proscenio della lotta politica, da qui la scomparsa almeno apparente di una vera e propria lotta di classe.

Il Partito non accetta però l'opinione che dà come stabilizzata questa situazione di carenza proletaria ancora per un lungo periodo di tempo, e su questa prospettiva basa l'assunto teorico del «nulla da fare» ma fa propria la teoria di Lenin delle svolte repentine sempre latenti, sempre possibili in una economia le cui contraddizioni interne ingigantiscono man mano che il capitalismo precipita fatalmente verso la nuova guerra. E il Partito verrebbe meno ai suoi compiti se non tenesse in debito conto la constatazione che il proletariato europeo, per quanto politicamente immobilizzato e corrotto dallo stalinismo e terrorizzato dalla pressione controrivoluzionaria, dispone pur sempre di una somma di esperienze di lotta di classe che gli evoluti proletariati americano ed inglese assolutamente non hanno; esperienze che possono rimanere assopite, compresse, latenti ma pronte a riprendere vigore ed essere determinanti nelle fasi di ripresa del moto proletario.

Va inoltre respinta come disfattista la teoria secondo la quale non c'è posto per il Partito nel periodo storico in cui domina incontrastata la controrivoluzione.

Il Partito afferma che anche nel periodo della controrivoluzione trionfante, che è in definitiva quello del dominio del monopolio, del capitale finanziario e del militarismo, tuttora in pieno sviluppo, la scelta per i rivoluzionari non è mai tra ciò che «non si deve fare» e «ciò che è possibile e doveroso fare»; non è cioè tra una formulazione paradossale e metafisica con tendenza inevitabile all'opportunismo, e la dura, quotidiana necessità di far vivere la teoria col mondo reale degli interessi in contrasto e del conflitto di classe da cui la teoria si origina e di cui rappresenta la giustificazione storica. Il da farsi del Partito di classe è regolato in ogni caso non dalla «paura» di fare e dal «rischio» che comporta, ma dalla preoccupazione e dalla «volontà» di fare quel tanto che è consentito dalle reali possibilità obiettive su un terreno dato, con date difficoltà e determinati avversari che non è dato scegliere ma soltanto combattere.

Nella storia delle lotte operaie e del Partito di classe è difficile trovare che si sia fatto più di quanto fosse consentito, mentre il fare per il fare o lo strafare è sempre avvenuto su un terreno diverso da quello della classe, allorché masse e Partito hanno portato la loro azione sul piano inclinato dell'opportunismo.

Di fronte all'imperialismo

Qualunque possa essere il giudizio sullo stato dell'economia russa, se prevalgono cioè nel suo complesso gli elementi a carattere precapitalista, e quale percentuale di dominio e quale capacità di determinazione è da attribuirsi agli elementi del moderno capitalismo pervenuti ad un esercizio monopolistico nell'ambito dello Stato, il Partito afferma che la politica dello Stato russo si muove sulla linea indicata dagli interessi fondamentali della sua struttura economica e che per conseguenza la sua politica estera di espansione imperialista e di preparazione alla guerra è necessariamente la proiezione della spinta violenta e tipicamente capitalistica della sua economia tesa verso la conquista e il controllo di nuovi centri di materie prime o di consumo indispensabili al suo sviluppo e alle esigenze del suo schieramento strategico.

«Il regime Russo, dopo le prime realizzazioni socialiste, ha subito una progressiva ma decisiva involuzione. L'economia ha riassunto caratteri di privilegio e di sfruttamento dei salariati; nel campo sociale hanno ripreso influenza i ceti abbienti; nel campo giuridico sono ricomparse forme e norme di tipo borghese; nel campo politico interno la corrente rivoluzionaria che continuava le tradizioni bolsceviche della Rivoluzione d'Ottobre e del leninismo è stata sopraffatta e dispersa, perdendo il controllo del partito e dello Stato; nel campo internazionale la forza dello Stato russo è divenuta non più un'alleata di tutte le classi sfruttate combattenti sul terreno della guerra civile per la rivoluzione in tutti i paesi, ma una delle colossali forze di stato militari del moderno quadro imperialistico, collaborante nel gioco delle alleanze e delle guerre con i vari aggruppamenti delle unità statali militari borghesi, al servizio di esigenze storiche non più classiste ma nazionali ed imperiali, ossia secondo una politica estera dettata non dagli interessi della classe operaia mondiale, ma da quelli di uno strato dirigente privilegiato nazionale».

In nessun caso il Partito è disposto ad accettare di considerare la Russia Sovietica alla stregua di un paese che non ha ancora portato a compimento la sua rivoluzione borghese e deve perciò aiutarla con un apporto solidale ed internazionale di pensiero e di lotta per spingere l'economia russa oltre la feudalità ed oltre il capitalismo.

La forma di capitalismo di Stato è tutta nel capitalismo e non differisce per la sua natura, per le sue intime contraddizioni e per gli aspetti anche esteriori della sua articolazione dai posti di produzione al mercato interno e a quello più vasto del mondo, da qualsiasi altro capitalismo compreso il più avanzato, il più accentrato e monopolistico: quello degli Stati Uniti d'America. La differenza esistente nel diverso grado di sviluppo non comporta, né giustifica una gerarchia di responsabilità e di pericolosità per cui si deve parlare di concentramenti capitalistici da eliminare via via secondo l'ordine di questa gerarchia: eliminare prima il concentramento n. 1, gli Stati Uniti d'America, e così di seguito gli altri capitalismi secondo l'ordine prestabilito.

La rivoluzione non si è mai attenuta né si atterrà certamente alle leggi di nessun ordine geometrico o sentimentale, ma cercherà di colpire e colpirà là ove il punto dello schieramento mondiale del capitalismo apparirà più debole.

Il Partito respinge perciò come insidiosa e a secondo fine la teoria che vuole che la rivoluzione proletaria perderebbe tempo se prima non avesse provveduto a «far fuori» il concentramento capitalistico statunitense, ma crede che nelle fasi di crisi e di alta tensione sociale ogni rivoluzione vittoriosa porti in sé, inevitabilmente e quasi «vitalmente», una sua intima capacità espansiva su cui poggia in concreto la necessità dell'allargamento del fronte rivoluzionario.

Falsa è pertanto la teoria del socialismo in un solo paese, come falsa è la teoria che giustifica indirettamente la degenerazione dello stato russo basandosi sull'arretratezza di quella economia.

Come è infantile pensare ad un crollo simultaneo di tutto il fronte capitalista, o ad un susseguirsi subitaneo di crolli nei paesi di questo o di quel continente; è altrettanto infantile pensare che una rivoluzione vittoriosa in un solo paese possa e debba durare indefinitivamente facendo leva non su una solidarietà operante e realizzatrice della rivoluzione internazionale ma sul potenziamento e sfruttamento delle proprie risorse nazionali di materiale umano ed economico.

La vittoriosa affermazione e il consolidamento di un riuscito episodio rivoluzionario risiedono soltanto nella sua irradiazione strategica; nel fatto cioè di considerare le conquiste interne della rivoluzione come altrettante premesse all'attacco e allo sgretolamento violento del fronte nemico.

Solo su questa via la rivoluzione potrà affermarsi e consolidarsi aprendo l'era della civiltà socialista, o cadrà come è caduta nel '71 la Comune di Parigi.

Partito Comunista Internazionalista (1952)
Finito di stampare il 26 – 2 – 1960
con i tipi dell'Unione Tipografica

Appendice

Il contesto

Nel corso degli anni abbiamo scritto molto sulla storia dei lavoratori, ma molto poco sulla nostra tendenza. Ci sono buone ragioni per questo, poiché l'analisi del presente e il lavoro per il futuro sono compiti più fondamentali dell'indagine di quella che i compagni italiani chiamano la nostra "archeologia". Tuttavia, poiché altri, e non sempre quelli ben disposti verso la nostra tendenza, hanno scritto le loro versioni distorte della storia della sinistra comunista, è necessario, di tanto in tanto, riequilibrare la situazione.

Il Comitato d'Intesa 1925

Pubblichiamo per la prima volta in inglese la Piattaforma del 1952 del Partito Comunista Internazionalista. Si tratta soprattutto di due documenti che costituiscono costituiscono il fondamento della preistoria della Tendenza Comunista Internazionalista. Questa Piattaforma è la seconda in termini cronologici. È una degna erede del primo documento chiave della nostra tradizione, la Piattaforma del "Comitato d'Intesa" (1) del 1925. L'abbiamo tradotta e pubblicata come opuscolo nel 1995. Il significato di quel documento non era solo quello di una prima aperta resistenza alla "bolscevizzazione" del Partito Comunista d'Italia, che era stato fondato dalla sinistra comunista, ma anche per la sua squillante dichiarazione di apertura contro l'opportunismo.

È sbagliato pensare che in ogni situazione gli espedienti e le manovre tattiche possano allargare la base del partito, poiché i rapporti tra il partito e le masse dipendono in gran parte dalla situazione oggettiva... L'influenza del partito sulle masse dipende dall'acuirsi della situazione rivoluzionaria e dalla misura in cui esso è fedele al compito rivoluzionario... Le altre correnti apparentemente considerano il problema della conquista delle "masse" come una questione di volontà. Tuttavia, a poco a poco si stanno adattando e stanno sostanzialmente scadendo nell'opportunismo.(2)

Le "altre correnti" a cui si faceva riferimento erano la nuova dirigenza del partito imposta dal Comintern e guidata da Gramsci e Togliatti e il Comintern stesso. In Italia il Comintern aveva approfittato dell'incarcerazione di Bordiga per sostituirlo alla guida del partito. Gramsci e Togliatti stavano ora procedendo alla sostituzione di tutti i segretari locali del partito fedeli alla leadership originaria della sinistra. Iniziarono con lo stesso Bordiga, che dopo essersi "ritirato" dall'esecutivo era stato eletto segretario della sua federazione locale di Napoli. La scusa della direzione del Centro fu che Bordiga era già troppo noto alla polizia.

La stessa cosa avvenne in tutte le roccaforti della sinistra, culminando nella sostituzione di Bruno Fortichiari come segretario della federazione di Milano. Tutto questo avveniva in modo surrettizio, senza alcun tipo di discussione. Piuttosto che andare a fondo senza combattere, la sinistra decise di formare il Comitato d'Intesa. La sua piattaforma aveva lo scopo di provocare una discussione all'interno del Partito prima del suo prossimo congresso (che, in realtà, si sarebbe tenuto solo nel 1926, a Lione, in Francia). Fu firmata da Bordiga, ma l'iniziativa era stata presa dagli altri firmatari: Damen, Fortichiari, Grossi, Girone, La Camera. Lanfranchi, Manfredi, Perrone, Repossi e Venegoni. Bordiga non prese parte alla successiva agitazione del Comitato all'interno del Partito Comunista d'Italia.

Gli ultimi atti di opposizione di Bordiga furono la stesura delle Tesi di Lione della Sinistra in opposizione a quelle del Centro. Con una votazione truccata queste furono respinte a favore di quelle di Gramsci nel 1926. A quel punto Bordiga aveva già preso la sua ultima posizione all'interno dell'Internazionale Comunista con il suo famoso discorso in cui criticava sia il significato di "bolscevizzazione" (che non voleva dire ispirarsi all'esempio rivoluzionario dell'ottobre 1917, ma semplicemente il controllo totale degli altri partiti da parte del partito russo), sia la degenerazione dell'Internazionale che interferiva in ogni partito ma non discuteva di ciò che accadeva all'interno della Russia. Dopo questo, a parte una lettera a Korsch nello stesso anno, Bordiga non fece più nulla per quasi due decenni.(3) Al suo ritorno in Italia, nel 1926, fu arrestato dall'ormai consolidato governo fascista. Rilasciato nel 1928, fu strettamente sorvegliato dalla polizia fascista fino al 1934, ma rifiutò tutte le richieste dei suoi ex compagni di espatriare e interruppe ogni ulteriore contatto con loro. Nel 1934 riprese la sua vecchia carriera di ingegnere e architetto, girando l'Italia e lavorando a diversi progetti. Era già stato espulso dal Partito Comunista d'Italia (1930). Soprattutto, era stato responsabile della sua nascita a Livorno nel 1921.

Il periodo tra le due guerre

In esilio (soprattutto in Francia e in Belgio), nelle carceri e in galera, al confino interno dell'Italia fascista, i "bordighisti", come veniva chiamata la sinistra italiana, continuarono la loro lotta sia contro lo stalinismo che contro il fascismo, ma ormai senza Bordiga.

Si deve unicamente a tutti gli altri compagni della Sinistra italiana, operanti in Italia e specialmente all'estero, la permanenza storica di una corrente comunista rivoluzionaria - certamente richiamantesi al fondamentale apporto di Bordiga fino al '26. Al loro impegno e al loro sacrificio si deve la continuazione e lo sviluppo di una elaborazione teorica e di una attività pratica: sempre viva, sia pure nei limiti oggettivamente imposti, in termini di indirizzi e di azione politica diretta, e con la quale Bordiga si troverà a disagio o addirittura in contrasto al momento della sua ricomparsa nel 1945.(4)

Il compito che si trovarono ad affrontare era formidabile e noi, a distanza di un secolo, facciamo fatica a comprenderlo. Non potevano prevedere che la "bolscevizzazione" sarebbe sfociata nel mostruoso assassinio di tanti comunisti sotto Stalin. Erano consapevoli che era in corso una controrivoluzione, ma ci sarebbero voluti molti anni prima di capire la precisa natura di classe dell'URSS. E prima di allora dovevano affrontare il problema di come comprendere ciò che era accaduto alla prima rivoluzione proletaria e all'Internazionale che aveva prodotto, ma dalla quale erano ormai esclusi. Non sorprende quindi che la Sinistra italiana all'estero abbia attraversato molte prove e tribolazioni (e pubblicazioni!) che sono state ben documentate altrove e che non sono al centro della nostra attenzione.

Meno documentata, per ovvie ragioni, è stata l'opposizione "interna" della sinistra italiana all'interno dell'Italia stessa, a partire dalle carceri di Mussolini. Nonostante avesse trascorso la maggior parte degli anni dopo il 1926 in carcere o sotto stretta sorveglianza da parte dello Stato fascista, Onorato Damen si era interessato agli eventi sia all'interno che all'esterno dell'Italia. Alcuni contatti clandestini erano stati mantenuti tra l'Italia e gli esuli (negli anni 1938-43 soprattutto attraverso Giacomo [Luciano] Stefanini che fu arrestato 4 volte dai fascisti mentre passava tra il Belgio e l'Italia). In tutto questo Damen non riusciva a capire l'assenza di Bordiga dalla scena.

Occorre considerare la condotta politica di Bordiga, con il suo costante rifiuto di prendere qualsiasi iniziativa politica. Si erano susseguiti eventi politici di portata storica: il conflitto Trotsky-Stalin; lo stalinismo; la nostra frazione all'estero, in Francia e in Belgio, aveva storicamente continuato l'ideologia e la politica del Partito di Livorno; la guerra civile in Spagna, la Seconda guerra mondiale e, infine, l'entrata in guerra della Russia come potenza imperialista, ma nessuno trovò eco nel suo altezzoso distacco.(5)

In uno dei tanti incontri in carcere, Onorato Damen convinse Bruno Maffi ad abbandonare l'antifascismo liberale di Giustizia e Libertà per la politica operaia della Sinistra italiana. I due, insieme a Fausto Atti, Rosolino Ferragni, Giacomo Stefanini e altri, saranno tra i principali fondatori del Partito comunista internazionalista nel 1942-3. Fu l'unico partito fondato durante la guerra a condannare sia l'Asse che gli Alleati come ugualmente imperialisti.

Il Partito Comunista Internazionalista

A questo punto, il crollo del regime fascista nel luglio 1943 lasciò l'Italia divisa tra i tedeschi (che insediarono Mussolini alla guida della Repubblica di Salò, nell'Italia settentrionale) e gli Alleati che avevano combattuto fino a Roma dalla Sicilia. Fu nel Nord Italia che scoppiò per prima la guerra di classe nelle fabbriche. All'inizio dell'ottobre 1942 scoppiò uno sciopero generale alla FIAT di Torino, seguito da scioperi di massa che nel marzo 1943 si estesero alle industrie alimentari, chimiche e metallurgiche italiane. In questi scioperi nelle fabbriche di Torino e Milano, i giovani operai parlarono apertamente di formare consigli di fabbrica e soviet contro i tentativi dello stalinista Partito Comunista Italiano (PCI) di limitarli. Questi scioperi contro la guerra non erano limitati alla sola Italia, ma erano già iniziati un anno prima tra i lavoratori tedeschi. Nonostante la repressione nazista e l'isolamento, nel 1942 erano ancora in corso. Le lotte più grandi scoppiarono nel 1943, quando tutti i lavoratori italiani immigrati cessarono il lavoro, sostenuti tacitamente o attivamente dagli scioperi dei lavoratori tedeschi.

Gli scioperi contro l'austerità del tempo di guerra non si limitarono alle potenze dell'Asse. In Gran Bretagna, con grande disgusto del Daily Mail, gli operai di una fabbrica di Londra che produceva le alette di coda per i bombardieri Halifax entrarono in sciopero e più di 16.000 donne e alcuni uomini uscirono dalla fabbrica Rolls-Royce di Glasgow, dove avrebbero dovuto produrre motori per gli aerei da combattimento.(6) Furono presto seguiti dai lavoratori degli Stati Uniti. Nel 1944, l'ultimo anno completo di guerra, si verificarono più scioperi che in qualsiasi altro anno precedente della storia americana...(7)

Movimenti simili scoppiarono anche altrove e alla maggior parte dei rivoluzionari dell'epoca sembrò che si stesse sviluppando una potenziale situazione rivoluzionaria postbellica, e non solo in Italia.

Riconoscendo che la causa principale della sconfitta della rivoluzione russa era dovuta al suo confinamento in un solo Paese, il nuovo partito adottò consapevolmente il titolo di "Partito Comunista Internazionalista" (PCInt). Ben presto si sviluppò all'interno delle lotte operaie e si affermò nelle fabbriche del Nord Italia, pur dovendo operare in clandestinità. La sua attenzione nel cercare di strappare i lavoratori al movimento partigiano filo-alleato, guidato da stalinisti e liberali, gli procurò l'ira del PCI di Togliatti. Il PCI non solo emise una condanna a morte per Damen firmata dallo stesso Togliatti, ma riuscì addirittura a uccidere due tra i principali militanti del PCInt, Fausto Atti e Mario Acquaviva.

Fino al 1945 non ci furono contatti con i compagni del Sud che, sotto l'occupazione alleata, potevano operare più liberamente rispetto al Nord. Qui c'erano operai che rifiutavano anche il collaborazionismo di classe del PCI. Nacquero così diversi piccoli raggruppamenti, ma il più significativo fu la Frazione di sinistra dei comunisti e socialisti italiani, formatasi a Napoli all'inizio del 1944. Essa rivendicava la tradizione della Sinistra italiana, facendo particolare riferimento alla frazione comunista astensionista del 1919. Aveva però alcune confusioni, soprattutto nei rapporti con il PCI e sulla necessità di un nuovo partito.

Bordiga mantenne alcuni contatti con questa frazione e all'inizio del 1945 ruppe il suo silenzio di quasi due decenni con il suo contributo a un opuscolo, Per la costituzione del vero partito comunista, curato da R.M. Pistone e L. Villone (quest'ultimo presto passato al trotskysmo). Anche questo documento, del marzo-aprile 1945, vedeva che si stava sviluppando una situazione rivoluzionaria che rendeva possibile la nascita di un nuovo Partito, ma stranamente invitava anche i rivoluzionari a "sviluppare all'interno dei partiti socialisti e comunisti un continuo lavoro di chiarificazione ideologica". Ciò corrisponde all'atteggiamento di Bordiga all'epoca. Quando i compagni meridionali avevano chiesto a Bordiga quali passi pratici avrebbero dovuto compiere, egli aveva consigliato loro di partecipare al Congresso di Bari del PCI (gennaio 1944). Alla fine la frazione si sciolse e i suoi membri si unirono al PCInt alla fine del 1945.

Il PCInt era ormai avviato a diventare virtualmente un "partito di massa". Nei due anni successivi avrebbe avuto qualcosa come 4-5.000 membri raggruppati in 13 federazioni, con 72 sezioni. Aveva una stampa settimanale in alcune città (come Cremona), teneva numerose riunioni pubbliche ed era profondamente radicato nei principali centri industriali, con proprie pubblicazioni di fabbrica. C'erano però due problemi. Il primo era che la Frazione all'estero, nonostante anni di serio lavoro e discussione, non aveva mai risolto molte questioni politiche. Anzi, era crollata alla vigilia della Seconda guerra mondiale, con una parte di essa (guidata da Perrone [Vercesi]) che sosteneva, solo poche settimane prima dell'invasione della Polonia da parte di Hitler, che l'imperialismo non aveva bisogno di una guerra generale, poiché i bisogni dell'economia di guerra capitalista erano soddisfatti da una successione di piccole guerre!

Un primo problema fu la questione dei sindacati. I sindacati fascisti erano scomparsi con il regime e i partiti politici avevano avviato il processo di ricostruzione dei vecchi sindacati. Al primo convegno del PCInt, tenutosi a Torino nel 1945, ci fu un'ampia discussione sulla risposta precisa che il PCInt avrebbe dovuto dare a questo sviluppo. I più erano d'accordo con Stefanini (che era già uno dei più stretti collaboratori di Damen e che in questo dibattito espose quelle che erano anche le sue idee) sul fatto che i sindacati erano ormai parte dello Stato capitalista, ma la politica da seguire era al centro del dibattito. Stefanini riteneva che i membri del Partito dovessero entrare nei sindacati ma formare i propri "gruppi di fabbrica" all'interno dei luoghi di lavoro, in opposizione alla linea collaborazionista dell'apparato sindacale. Perrone rifiutò questa proposta, sostenendo che il Partito avrebbe dovuto tornare alla posizione degli anni Venti di formare "sindacati di classe" che fungessero da cinghia di trasmissione per il Partito. Questa sembra però una proposta per cercare di catturare o riconquistare la leadership dei sindacati esistenti. Il dibattito fu amichevole e la decisione fu rinviata con l'istituzione di una commissione per esaminare più a fondo la questione.

Tuttavia, il "ritorno agli anni Venti", sulla base del lavoro svolto dai compagni sia all'interno che all'esterno dell'Italia durante il periodo interbellico, portò ben presto alla differenziazione di due tendenze all'interno del PCInt. Questa differenziazione si accentuò con il ritorno di Bordiga alla vita politica. Bordiga lanciò un colpo d'avvertimento quando inviò un progetto di Piattaforma al Comitato Centrale del PCInt perché lo esaminasse nello stesso Convegno di Torino (avendo rifiutato tutti gli inviti a parteciparvi). La bozza arrivò con l'ultimatum perentorio di Bordiga di farla adottare dal PCInt. L'ultimatum fu respinto e il documento fu rinviato a Bordiga per essere emendato, in quanto ritenuto incompatibile con le posizioni già difese dal PCInt.(8) Bordiga lo rielaborò, ma fu accettato solo come contributo alla discussione.(9) Era già chiaro che i vent'anni di assenza dagli sviluppi politici avevano portato Bordiga su una strada leggermente diversa da quella della maggior parte dei fondatori del PCint. Damen lo notò:

Il suo modo di parlare era diverso dal nostro (quando cercava di spingere per un indirizzo politico generale non sempre coincidente con quello del partito) anche se, a grandi linee, il metodo di analisi era lo stesso di sempre. Sosteneva che non si doveva parlare di economia russa in termini di capitalismo di Stato ma di industrialismo di Stato; l'Ottobre non era più una rivoluzione socialista ma antifeudale e quindi parlava solo di un'economia "tendente al capitalismo". Ma non sembrava molto convinto di quello che diceva, e le correzioni che dovette apportare al suo pensiero poco dopo lo confermano.(10)

La scissione del 1951-2

Bordiga non aderì mai formalmente al PCInt, ma a partire dal 1949 contribuì con una rubrica regolare "Sul filo del tempo" alle sue pubblicazioni. Utilizzando questa rubrica e la corrispondenza privata, in gran parte con i suoi "lealisti", Maffi e Perrone, cominciò a mettere in dubbio le fondamenta stesse del PCInt. Damen riassunse in seguito le questioni che si svilupparono.

Va ricordato che Bordiga non era nemmeno iscritto al partito: non partecipò mai direttamente all'organizzazione e alle attività del partito; fu deliberatamente assente al Convegno di Torino (1945) e al Primo Congresso di Firenze (1948), nonostante le sollecitazioni fraterne e i telegrammi inviatigli dai compagni. Quello stesso atteggiamento di rifiuto e di condanna di ogni attività, allora ancora clandestina, che aveva caratterizzato tutto il periodo del suo ritiro privato, sarebbe riemerso in buona parte in Bordiga dalla caduta del fascismo al 1951. A questa data il suo dissenso uscì allo scoperto sulla questione dell'imperialismo, sui sindacati e sulle lotte per l'indipendenza nazionale. Attraverso la voce dei suoi fedelissimi, Bordiga aveva più volte chiesto la liquidazione di 'quel' partito, che trovava eccessivamente 'attivista'.(11) C'erano, diceva, troppi 'scarponi' sul terreno, 'che generano incautamente un attivismo che svaluta la teoria'. Era meglio tornare al ruolo più limitato di una frazione e al disinteresse per l'azione politica (roba da 'rinnegati') e la lotta sindacale. La partecipazione dei militanti internazionalisti alle lotte operaie era, per Bordiga, 'un problema personale' e, nell'attesa della rinascita del sindacato di classe, classificava diversi 'tipi di sindacato' come soluzione al 'problema immediato di partecipare al lavoro in essi', cioè di tenersi fuori dal partito comunista rivoluzionario.(12)

La vittoria definitiva della controrivoluzione e la stabilizzazione del capitalismo dopo la seconda guerra mondiale furono riconosciute da tutti, ma ora incoraggiarono i futuri "bordighisti" ad aumentare il volume dei loro appelli alla dissoluzione del Partito Comunista Internazionalista. Per Perrone, in particolare, l'appello di Bordiga per un ritorno al lavoro di frazione era come una resurrezione della sua stessa posizione disastrosa negli anni Trenta. Damen, e i suoi compagni, riconobbero pienamente la vittoria della controrivoluzione e la possibilità che presto sarebbe seguita una nuova guerra mondiale. Tuttavia, egli si attenne al fatto che, qualunque fosse la situazione, il partito di classe avrebbe dovuto organizzarsi per qualsiasi lotta si prospettasse. Fare diversamente significava lasciare una "lacuna" nella classe che poteva essere colmata solo da elementi controrivoluzionari. Subito dopo il Congresso di Firenze rispose ai disfattisti:

Più gli autentici rivoluzionari lottano, più vengono temprati da questo clima. Il Partito affida a questi rivoluzionari il compito storico della sua continuità anche nelle situazioni più difficili, anche in guerra. Per molti alla fine si tratterà di ripercorrere le stesse esperienze.(13)

In effetti, per certi versi questo stava già accadendo, dato che i dibattiti sull'esistenza o meno del Partito si erano svolti anche nella Frazione prima della Seconda guerra mondiale. Il fattore aggiuntivo e complicante era direttamente legato alla figura e alla storia personale di Bordiga, che rimase tenacemente attaccato all'esperienza della Terza Internazionale, di cui non comprese mai appieno il crollo, ma con cui il resto della "sinistra italiana" aveva impiegato due decenni per fare i conti.

La lotta per il mantenimento del Partito Comunista Internazionalista si trasformò in una lotta per chiarire quali fossero le posizioni di classe importanti nel dopoguerra. In un prossimo articolo approfondiremo questo aspetto, ma per ora le differenze possono essere riassunte come segue.(14)

Per quanto riguarda l'URSS, Bordiga cercava ancora di insistere sul fatto che non era capitalista, ma in fase di industrializzazione e quindi non era nemmeno realmente imperialista, mentre Damen passò la maggior parte delle Cinque Lettere a cercare di fargli riconoscere che non solo l'URSS era capitalista di Stato, ma anche imperialista come gli USA. Per Bordiga e compagni. in questo periodo anche i partiti comunisti stalinisti non erano visti come borghesi o capitalisti, ma come "opportunisti" o "centristi". Era come se per lui non fosse successo nulla dal suo "ritiro" dall'attività politica negli anni Venti.

Per quanto riguarda i sindacati, la fazione bordighista non riconosceva che essi erano ormai integrati nello Stato capitalista e quindi non era esclusa la possibilità di conquistarli. Appoggiava anche la lotta dei "popoli di colore" (Bordiga) nella loro lotta contro il colonialismo e non riconosceva che, nell'epoca dell'imperialismo, le lotte di liberazione nazionale erano ormai impossibili, poiché le borghesie locali potevano conquistare l'"indipendenza" solo scambiando una dominazione imperialista con un'altra.

Tuttavia, fu sulla questione del Partito che si manifestò la più ampia divergenza. Entrambe le parti concordano sul fatto che il partito è uno strumento indispensabile che la classe operaia crea da sé nel processo di emancipazione. Tuttavia Bordiga ora insisteva sul fatto che il partito non era semplicemente una parte della classe, ma era la classe. Era scomparsa la distinzione di Marx tra "classe in sé" e "classe per sé". Ora si poteva parlare di classe solo se era rappresentata da un partito di classe. Questo non solo avrebbe condotto la lotta per il potere, ma una volta al potere non l'avrebbe mai abbandonato. Per Damen e i suoi sostenitori la lezione della Rivoluzione russa era che "la classe non può delegare la sua missione storica ad altri... nemmeno al suo partito di classe". Il comunismo non è solo un nuovo modo di produzione che può essere istituito per decreto. Può essere costruito solo da milioni di persone che lo creano da sé. Il Partito può aprire la strada, ma la classe deve portare a termine il compito da sola.

Nel 1951 queste questioni erano giunte a un punto cruciale. A quel punto Maffi e Perrone erano riusciti a conquistare la maggioranza all'interno del Comitato esecutivo (CE) per le posizioni di Bordiga. Damen, Stefanini, Bottaioli e Lecci furono quindi espulsi dal Comitato esecutivo e le varie Federazioni a cui appartenevano furono dichiarate sciolte. I membri del CE espulsi, tuttavia, si appellarono ai membri di un nuovo Congresso e la maggioranza sostenne le loro tesi, che furono la prefigurazione del documento che segue. Scritto circa sette decenni fa, contiene ovviamente formulazioni e questioni che erano del loro tempo (ad esempio, le "commissioni interne") e che sono state superate dalla revisione del 1982 e dalla Piattaforma della Tendenza Comunista Internazionalista. Tuttavia, conserva il suo interesse come pietra miliare storica nella formazione della nostra tendenza, in diretta continuità con la lotta della sinistra comunista internazionalista contro le conseguenze controrivoluzionarie della sconfitta dell'ondata rivoluzionaria del dopoguerra negli anni Venti.

CWO (Organizzazione Comunista dei Lavoratori)
Gennaio 2020

Note:

(1) "Intesa" può essere tradotto come "alleanza" o "intesa" o "accordo". L'opuscolo contiene la Piattaforma originale, più la corrispondenza intorno ad essa, e un'introduzione su come il Partito Comunista d'Italia, fondato dalla sinistra comunista, sia stato minato dagli "ordini di Mosca". Con la "bolscevizzazione" i suoi migliori leader furono espulsi dalla direzione, anche se avevano ancora il sostegno della stragrande maggioranza degli iscritti. È ancora disponibile all'indirizzo del CWO a £3.

(2) Piattaforma del Comitato d'Intesa, p. 18.

(3) Per l'unica copia completa di questo documento in inglese si veda Onorato Damen, Bordiga Beyond the Myth, pp. 142-5.

(4) Fabio Damen, L'area internazionalista e la scissione del 1952 nel pamphlet Per un'analisi critica del tardo-bordighismo e dei suoi epigoni

(5) ibidem.

(6) dailymail.co.uk

(7) libcom.org

(8) Fabio Damen, L'area internazionalista e la scissione del 1952 su leftcom.org

(9) Ciononostante, le varie organizzazioni bordighiste oggi stampano questo documento come se fosse stato accettato.

(10) Citato in leftcom.org. Una delle correzioni che Bordiga dovette fare fu quella di riconoscere finalmente che l'URSS era capitalista di Stato - cosa che negò nello scambio di Cinque Lettere con Damen nel 1951. Vedi leftcom.org

(11) Il pezzo di Bordiga sull'attivismo si trova su libcom.org In effetti, molti degli argomenti che Bordiga espone in questo pezzo sono stati accettati da tutto il PCInt. Tuttavia, ciò che Bordiga voleva realmente sostenere era che il partito non dovesse fare nulla e aspettasse che la classe riconoscesse la sua esistenza. Una posizione che i suoi seguaci non erano in grado di sostenere. Damen gli rispose parzialmente nella sezione "Rovesciamento della prassi" delle Cinque Lettere sopra citate.

(12) Tesi del 1951 su Il partito e l'azione economica. Su questo si veda l'Introduzione alla raccolta di Documenti della Conferenza di Torino - 1945 e del Congresso di Firenze - 1948, e il Quaderno n. 3 di Battaglia Comunista (dedicato alla scissione internazionalista del 1952). leftcom.org

(13) Battaglia Comunista, novembre 1948, traduzione CWO.

(14) Ma per ora le questioni sono ampiamente trattate non solo nelle Cinque Lettere (vedi nota 10) ma anche in Onorato Damen, Bordiga oltre il mito, ancora disponibile al nostro indirizzo.

Domenica, November 20, 2022