Programma e la Russia: la lingua batte dove il dente duole

Visto che Programma ritorna a battere la lingua là dove il dente duole, pure noi interveniamo. Stimolati - anche se non tutti i “sinistri” lo dichiarano apertamente - dalle considerazioni espresse dai più con la conclusione che indica solo gli Usa e la Nato come il “principale fattore di guerra in Europa e in tutto il mondo (il Pungolo rosso)_._ Gli altri centri imperialistici se ne starebbero invece buoni e pacifici, semmai alla ricerca di un posto al sole per il loro capitale ma con modi meno violenti e brutali… E con la crisi del capitale che si approfondisce di giorno in giorno.

Ed ecco Programma che rimescola il minestrone nel tentativo di avvalorare le proprie opinioni a fronte di quel che accade oggi. Seguirebbe una “direttrice storica” che, in base al «peso differente degli imperialismi», si conclude col frenare ogni possibile ripresa rivoluzionaria nell’attesa dell’avverarsi condizionante di un colpo mortale al centro imperialistico più forte, gli Usa. Non solo, ma col suggerimento di un particolare atteggiamento tattico (ben mistificato) nei confronti del concentramento più debole, quello russo e cinese.

Nel frattempo, continua la “lettura” del presente stato di cose dopo aver “sistemato” (a proprio uso e consumo) i «capisaldi del marxismo rivoluzionario»… La foglia di fico - il «disfattismo radicale in casa propria_» - salverebbe le apparenze ma rimane l’assunto (in soldoni): la rivoluzione si fa negli Usa altrimenti non si fa…_

Il proletariato, con il suo partito, potrebbe invece fare la rivoluzione là dove il capitalismo è più debole:

la Rivoluzione bolscevica si scatenò in Russia anche se il capitalismo era meno avanzato. Lapalissiana l’affermazione che forse sarebbe stato meglio in Germania, ma allora si doveva aspettare la conquista del potere a Berlino? La Russia andava lasciata in pace, lo stesso 34 anni dopo, quando Bordiga scriveva (1951) che «si perde tempo se non si fa fuori lo Stato di Washington»… Non solo – stiamo sempre seguendo il “pensiero” di Bordiga – ma se «siamo ancora lontani da ciò», ebbene «okei», sediamoci e aspettiamo.

Ma non è questo una forma di “indifferentismo” verso la lotta di classe internazionale, con particolare riguardo ad un centro imperialistico perché ritenuto più debole di un altro? Era quello che Bordiga riteneva si dovesse fare nei riguardi del concentramento russo, da ritenersi secondo rispetto al “concentramento n. 1”, gli Usa.

Lo stesso fa oggi Programma con alla mano una graduatoria della potenzialità dei blocchi imperialisti.

Nel 1950, poiché la Russia stava “edificando” e diffondendo capitalismo, secondo Bordiga si doveva avere una attenzione speciale verso Mosca. Spingendo la diffusione del capitalismo in tutta l’area orientale, era da ritenersi “rivoluzionario” ciò che accadeva sotto il comando di Stalin. E nel 1953, in polemica con «quei pezzi di fessi» di Battaglia comunista, precedentemente indicati quali «scarponi», Bordiga affermava «l'assenza attuale di una classe borghese statisticamente definibile» in Russia.

L’importante quindi - per Bordiga – era che tutti lottassero «politicamente contro i resti feudali» ritenuti presenti in Russia. Considerava inoltre che la economia russa soltanto per un decimo «tende al capitalismo». Sua conclusione politica: il potere statale (con Stalin al comando) stava spingendo «il capitalismo in rivoluzionaria marcia sull'Asia». Uno Stalin che tutto sommato era considerato, da Bordica, ancora rivoluzionario… E quindi (siamo nel luglio 1951) «sulla analisi e definizione della odierna società russa penso che si può e si deve dire poco e con circospezione»: non sarebbe stato – testuali parole di Bordiga - «un problema centrale»… Bisognava aspettare che si esaurisse quel percorso dello stalinismo diventato – per il Bordiga del secondo dopoguerra – “rivoluzionario” in senso antifeudale, anche se ciò rafforzava tutte le categorie economiche capitalistiche, in primis il rapporto tra capitale e forza-lavoro.

Solo nel 1956, dopo il XX Congresso del Pcus, per Bordiga e i suoi allievi si rendeva evidente «la definitiva liquidazione dello stalinismo in sede ideologica e poi politica; (…) si chiudeva veramente il periodo rivoluzionario della Russia moderna». Il «progressista» Stalin lasciava il posto al «conservatore» Kruscev: «In altre parole, lo Stato russo non è più uno Stato in divenire, bensì è uno Stato 'arrivato'». (Programma Comunista, n. 15 - 1957). Era ora!

La famosa distinzione (sostenuta da Bordiga) tra l’imperialismo n.1 (gli Usa) e l’imperialismo n. 2 (l'Urss) era risolta con questa variante tattica: «Sconfessione di ogni appoggio al militarismo imperiale russo. Aperto disfattismo contro quello americano». Le conseguenze politiche erano evidenti. Mosca andava trattata con molta cautela; per il momento si poteva solo scommettere sugli esiti favorevoli o contrari delle guerre imperialiste, sempre distinguendo tra forze giovani (russe) e senili (americane) del capitalismo. Così, nel secondo conflitto mondiale – alleandosi con inglesi e americani contro il nazi-fascismo – Mosca avrebbe commesso un grave errore. Questo sosteneva Bordiga, per il quale «con l'alleanza di Mosca con Londra, Parigi e Washington nella guerra contro l'Asse, lo Stato russo ha contribuito alla soluzione conservatrice della guerra». E per chi non la pensava allo stesso modo, non facendo il tifo per una sconfitta degli Stati Uniti nella futura guerra contro l'Urss e non seguendo le nuove direttive tattico-strategiche preparate a tavolino dal futuro Centro Organico, si aprivano porte e finestre…

Oltretutto, lo stesso Bordiga aveva inizialmente scritto (Prometeo n. 1/1946, “La Russia sovietica dalla Rivoluzione a oggi”): «La definizione dell'economia russa attuale, in conclusione, non è quella di socialismo, ma di un vasto e potente capitalismo di Stato, con distribuzione di tipo privato e mercantile». E dava – nero su bianco - ragione a Damen… anche se i suoi tentennamenti continuavano e gli facevano dire, ancora nel 1951 e come sopra detto, che sulla Russia si doveva «dir poco e con circospezione»... Questo nonostante fin dal 1928 (con l’inizio del primo piano quinquennale) il capitalismo di Stato si fosse ben impiantato in Russia.

Le conseguenze politiche da trarre sul terreno dei rapporti di classe e della lotta contro l'imperialismo nei suoi principali centri di sviluppo, erano a quel punto distinte una dall’altra. Se la Russia era un Capitalismo di Stato (Bordiga la considerava «una frase che in sé nulla ci dice»…) diventava evidente un contrasto diretto con esso della lotta del proletariato. Non era così per l’industrialismo di Stato (la formula scelta da Bordiga nel 1952) il quale andava rispettato e tutelato perché si trattava – dalle Tesine sulla Russia, in coda al Dialogato con Stalin – «un processo economico di impianto del modo di produzione capitalistico». E si arriverà a sostenere che «il capitalismo russo non è la stessa cosa di quello di ogni altro paese». Perché – la risposta di Bordiga era sconvolgente (da Programma, n. 3, 1953) – in Russia eravamo nella «fase in cui il capitalismo sviluppa le forze produttive e ne spinge l'applicazione oltre antichi limiti geografici, formando la trama della rivoluzione mondiale socialista». Saremmo perciò stati ancora in presenza di una Russia nello «stadio della transizione al capitalismo. Stadio quasi rispettabile e non suicida». Un capitalismo «socialmente ancora da sviluppare»; per il Bordiga del 1952, la «costruzione in Russia di capitalismo industriale» significava: «ossia basi del socialismo».

Fatta in sintesi questa premessa, rimane il fatto che il Bordiga degli anni Cinquanta e Sessanta non nascondeva una certa sua… simpatia per Stalin il quale – era Bordiga stesso ad affermarlo – «edificava» per l’appunto quelle che erano da considerarsi le basi economiche del socialismo.

In “Le grandi questioni storiche della Rivoluzione in Russia” (1955), Bordiga scriverà infatti che tali basi erano «il capitalismo industriale», e quindi «la formula (di Stalin – ndr) era ancora accettabile». La «edificazione dell'industria capitalista» andava perciò appoggiata, con tutte le conseguenze politiche e sociali che ciò comportava. “Fare capitalismo” era una azione rivoluzionaria. E in questo Stalin aveva il plauso di Bordiga il quale aggiungeva: «Se avessimo saputo che la Rivoluzione russa doveva essere così, nel suo percorso futuro, parimenti l'avremmo propugnata e plaudita».

Nota supplementare sulla guerra –

E’ nota la distinzione che Bordiga fece – e voleva imporre al partito – tra l’imperialismo occidentale (americano) e quello tedesco nella seconda guerra mondiale: per lui l’Asse era molto meno minaccioso e la Russia avrebbe dovuto riconoscerlo. «Meglio, per Stalin e per noi, sarebbe stato combattere l'imperialismo occidentale che non quello tedesco», dichiarava, tifando quindi per una sconfitta del blocco imperialista più forte, a favore cioè del blocco nazifascista più debole. Si sarebbero rotti – sosteneva - gli equilibri capitalistici venutisi a creare nel dopoguerra.

Il canovaccio che – secondo Bordiga – avrebbe dovuto seguire il “film della Storia” (al quale lui assisteva come spettatore) era colmo di se e ma, e non si doveva disturbare una Russia che «stava costruendo il capitalismo». Fase progressiva che avrebbe «sommerso il capitalismo mondiale o per lo meno lo avrebbe travolto in una crisi spaventosa, mettendo in moto le forze di tutte le classi e di tutti i popoli straziati dall’imperialismo e dalla guerra, e forse invertendo tremendamente le direttive sociali e politiche del colosso russo ancora inattivo». (Prometeo 1947). In queste “fantasie strategiche”, divertendosi con schemi evoluzionistici e concezioni di progressismo economico, Bordiga proseguiva le sue attendistiche meditazioni scrivendo a Perrone (lettera 2 aprile 1959): Peccato abbia perso allora Hitler; peccato se domani perderà Stalin. «Con la mia pistola non ammazzo certo tutti e due, e nemmeno uno dei due. Sto a vedere»…

Poi sarebbe arrivato l’appoggio alle guerre di liberazione nazionale, anche queste ritenute progressiste perché avrebbero sviluppato il mercato (autonomamente?) interno, conteso dal duopolio imperialistico (America e Russia). E continuavano i sogni a base di scenari idealistici che – secondo lui – avrebbero potuto favorire la ripresa rivoluzionaria: ed ecco che oggi i neofiti bordighiani riformulano, sulla falsariga di quelle precedenti, altre prospettive… pur confessando le loro difficoltà nel chiarire gli scenari che ci circondano e nell’individuare una sia pure approssimata “direttrice degli eventi”.

Ritornando a rivendicare la differente valutazione formulata da Bordiga riguardo al peso relativo degli imperialismi russo e americano, oggi Programma sostiene che quella sostenuta da Bordiga fosse una “prospettiva marxista”, poiché non si può esercitare una “opposizione generica” alla guerra imperialista… Il partito rivoluzionario deve avere una visione strategica che non porti ad una politica di equidistanza dall’uno o l’altro del centri imperialistici, ma abbia un certo… riguardo verso il più debole! Il pericolo di uno scivolamento in qualche forma di partigianesimo (anche se non voluto…) sarebbe superato dal fatto che i programmisti hanno scolpita nella roccia la famosa invarianza, anche se differenziata nella loro personale classifica imperialistica.

Il fatto di far dipendere i “percorsi e le sorti della lotta di classe” dalla vittoria in guerra di uno più che un altro dei centri imperialistici, è a dir poco un pretesto per sostenere – anche senza volerlo esplicitamente – certi “obiettivi” che sarebbero – ancora si insiste – «sempre nobilissimi, progressivi e financo ‘rivoluzionari’» che idealmente sosterrebbero – è sempre Programma a dirlo - le guerre borghesi.

Nella discussione che precedette la scissione del 1952, Programma riprende sempre quello che ritenne fosse un grave errore commesso dal gruppo facente capo a Damen: ritenere anche il concentramento russo di capitale “una forza egemonica sul piano delle forze capitaliste in urto sulla scena mondiale.” (II° Congresso del partito internazionalista)

Per contro, i compagni che avrebbero dato vita a Il programma comunista, individuavano nella immane concentrazione di forza controrivoluzionaria dell'imperialismo americano il pilastro che reggeva l'impalcatura del dominio capitalistico nel mondo, e si pronunciavano per una necessaria e prioritaria liquidazione degli Usa_._ _Nell’attesa – lo ripetiamo ancora una volta – l’indirizzo tattico di Bordiga e dei suoi discepoli era quello di non applicare nessuna forma di disfattismo al militarismo russo. Anche se lo si ritenesse “imperiale”. poiché comunque era più “debole” di quello americano…_ (1)

Questa malcelata simpatia per il gigante “sovietico” (meritata per aver fatto – si diceva - da argine all'espansione mondiale del capitalismo atlantico) in effetti continuò anche dopo il 1990 quando ci raccontarono che si era compiuta la liquidazione completa dello Stato nato dalla rivoluzione d'Ottobre. Per oltre 60 anni sarebbe rimasi in piedi – secondo Programma - qualcosa di quello che doveva essere il semi-stato operaio propugnato dai bolscevichi. Lo si doveva – pensate un po’! – niente meno che ad uno Stalin che avrebbe tentato di resistere alla “corruzione” esercitata dal capitalismo americano sulla “organizzazione dirigente russa”. Oltre al «saccheggio dell’Occidente capitalista contro una Russia esposta - scrivonoalle delizie del mercato liberato dai “lacci e laccioli” del controllo pubblico»… Programma denuncia queste imposizioni perpetrate da quello che definisce «l'unico imperialismo dominante il globo». E lamenta il crollo dell’URSS, della «sua fragile struttura capitalistica» e dello «spazio protezionistico» che si sarebbe costruita attorno. E comunque – si dice – sempre nelle sue condizioni di una «fase inferiore dell'imperialismo»

E sarebbe - sostiene Programma - soltanto negli ultimi tre decenni che «la borghesia russa ha ripreso il controllo del potere statale» dandogli una prospettiva strategica al suo “concentramento di potenza”. Vi sarebbe stata una svolta “bonapartista” voluta dalle forze sociali ed economiche che Putin rappresenta. E quindi la Russia rimarrebbe un imperialismo debole_, con dei limiti negli eventi futuri_ che sempre Lui, Bordiga, nel 1949 avrebbe previsto con «lucidità quasi profetica…»

Nei commenti di Programma traspare sempre un velato rimprovero ad una Europa in declino che ripeterebbe l’errore “di guardare alla Russia come una minaccia da Oriente, come tale da sottomettere e depredare, anziché considerarla essa stessa Europa e ponte verso l'Oriente asiatico”. Di conseguenza, l’Europa dimostrerebbe ancora una volta la sua “imbecillità borghese” affidandosi all’alleato atlantico…. che mira ad accerchiare l’Eurasia. C’è da chiedersi: ma perché mai Programma qualifica come “insensate” soltanto queste manovre imperialistiche, ritenendo che con una integrazione eurasiatica (voluta dalla Russia) si spianerebbe la strada nientemeno che alla rivoluzione comunista avrà davanti a sé la strada spianata...? Questa la convinzione di Programma che ritiene che si dovrebbe dare alla Russia il riconoscimento di essere «ancora lì a interporsi al nuovo slancio imperialista di conquista del mondo» da parte degli Usa. E fra le righe fa capolino una scelta di campo che condannerebbe i movimenti strategici americani contro un’area di…. capitalismi emergenti ai quali si contrappone – continua a denunciarlo P*rogramma* – quella che viene considerata «su scala mondiale la più violenta forza di espansione e di aggressione»_, ovvero gli Usa. Colpevoli di non lasciar spazio allo sviluppo_ dell’altrui imperialismo e conseguenti piani strategici.

Quindi Programma continua ad “auspicare” la vittoria di Mosca come la migliore soluzione poiché una disfatta degli Usa sarebbe anche un colpo al «predominio mondiale atlantico»: la soluzione che viene auspicata è dunque «la stessa che la nostra corrente (Programma) indicava nel lontano 1950», cioè quando i bordighisti rivendicavano il diritto (?) – in qualità di marxisti – di «considerare le utili conseguenze rivoluzionarie che avrebbe il crollo – disgraziatamente improbabile – della potenza americana, in una eventuale terza guerra degli stati e degli eserciti». Quindi Programma mette la ciliegina sulla torta, e in una nota all’articolo che stiamo commentando condivide un auspicio apparso in un articolo scelto da Sinistrainrete (dove è di casa uno stalinismo più o meno evidente) in cui si dichiara a breve il crollo della egemonia globale degli Usa… Ma la torta resta immangiabile.

NOTA

Va pur detto che Bordiga forniva - facendone una premessa alla sua “originale” posizione - anche una diversa interpretazione dell'imperialismo, dichiarando - nel 1956 – che si trattava di una sovrastruttura del capitalismo, una nuova forma politica basata sull'aggressione e la guerra da parte di un capitalismo forte contro una più debole ancora in sviluppo.

Noi sappiano che con le concentrazioni, a cui segue una monopolizzazione del capitale industriale, avviene la trasformazione del capitalismo in imperialismo attraverso il potente dominio che acquisisce il capitale finanziario. Come scriveva Lenin, si impone da parte di tutti gli Stati (con le caratteristiche essenziali del capitalismo che restano sempre quelle) la «ripartizione del mondo fra i grandi trust internazionali, ed è diventata fondamentale la spartizione dell'intera superficie terrestre tra i maggiori paesi capitalistici».

Gli interessi legati a queste "operazioni" (con i profitti intascati dal capitale finanziario e dai trust industriali) si possono appoggiare momentaneamente su delle coalizioni imperialiste attorno ad un centro dominante. Queste alleanze (presentate come “di pace”) altro non fanno che preparare la guerra, poiché qualunque sia la loro forma hanno un terreno comune nella rete dei nessi imperialistici e dei rapporti capitalistici mondiali che alimentano, fino alle più violente esplosioni, la lotta “pacifica” fra le potenze in cui regna il capitale. In questa realtà, Bordiga insisteva nel considerare “rivoluzionario” un diverso atteggiamento “politico” da tenersi nel caso del manifestarsi di un bipolarismo il quale – comunque – andava valutato in base ad una specifica graduatoria.

Mercoledì, October 26, 2022