Al mercato elettorale

Va crescendo amarezza e sfiducia nei confronti della politica in generale e dei politici che affollano le pagine di quotidiani e salotti tv. È intanto iniziato il farsesco spettacolo nel quale si sbandierano demagogici programmi elettorali che il sistema non potrà mai tollerare, nonostante aumentino malcontento e preoccupazione tra i lavoratori minacciati da carovita, cassa integrazione e licenziamenti.

Diventa sempre più difficile far circolare gli inganni spudorati che vengono diffusi nelle fiere frequentate dagli imbonitori e ciarlatani politici impegnati a distorcere e rovesciare la realtà del presente stato di cose. Tant’è che persino il cardinale Bassetti, ex presidente della Conferenza Episcopale italiana, valuta come “sia immorale promettere ciò che già si sa di non riuscire a mantenere”. Anche la Chiesa è preoccupata: a furia di “soffiare sul fuoco le scintille possono volare lontano e infiammare la casa comune, la casa di tutti”, quella che anche la Chiesa ha fino ad oggi comodamente abitato e… sfruttato.

Noi, con le nostre “vecchie pastoie ideologiche” che non intendiamo affatto “mettere da parte”, siamo più che mai liberi da vecchi o nuovi “propositi di ricostruzione del tessuto sociale ed economico dell’Italia” (è il cardinale Bassetti a raccomandarlo).

Interveniamo con il supporto di dati incontrovertibili che molto chiaramente mostrano la incompatibilità economico-finanziaria di quanto si scrive nei programmi elettorali, totalmente asserviti alla conservazione e nella assoluta mancanza di una messa in discussione delle fondamentali categorie e dei rapporti di produzione che caratterizzano e sostengono il dominante sistema capitalistico.

Il centro-destra presenta impegni per un conto che si stima (Credit Suisse) tra 86 e 112 mld i euro, circa il 7% del Pil. Se poi si guarda alle promesse in tema di pensioni, si arriva a cifre tra 104 e 130 miliardi di euro (fino all’8% del pil). Emergerebbe così – si dice – l'economia sommersa, ma come verrebbe affrontata una eventuale (per noi più che certa) crescita del debito pubblico italiano, addirittura già enorme e pericolosa in un sistema economico-finanziario qual è il capitalismo? (A margine notiamo che quasi un terzo del debito è in mano a fondi esteri, tutti reclamanti una adeguata copertura della voragine del passivo statale italiano.)

Quello della flat tax è un tema che sopravvive nella retorica di un mercato elettorale a corto di idee (nel programma di coalizione però l’introduzione di tale tassa sembra molto limitata e neppure si indica l’aliquota precisa). Chi promette (il miliardario Berlusconi) 800mila nuovi posti di lavoro, cavalca questo ronzino dopo aver già tentato – 19 anni fa con Tremonti – di applicare due aliquote sui redditi (23-33%). Naturalmente, anche nel programma ufficiale della coalizione di destra tutti fingono di ignorare che, con un profondo buco nel bilancio pubblico, il gettito fiscale dovrebbe – per le “necessità” del capitale – aumentare. Non così nella idealistica idea espressa tempo fa dal premio Nobel Friedman e che nemmeno Reagan o Trump misero in atto, a causa di un ulteriore approfondirsi dei debiti statali.

Ebbene, è una constatazione lapalissiana, ma la tassa piatta non garantirebbe un livello sufficiente di entrate per finanziare le spese dello Stato, se non tagliando le spese sociali. Quanto poi alla riduzione dell’evasione, se ne vedrebbero delle belle! Resta il fatto incontrovertibile che là dove si è applicata la tassa piatta, non si è risolto alcuno degli insanabili problemi del capitale, ormai entrato in fase agonica.

La flat tax provoca solo altre arretratezze sociali ed economiche; e lasciamo perdere il fantomatico principio di equità che viene travolto dalle superiori ragioni di bilancio. In effetti, nonostante le aliquote per i redditi elevati siano già state ridotte al 70% (1980), al 50% (1990) e al 45% (2000), noi tutti possiamo verificare come si vada trascinando il capitalismo e quali siano le condizioni delle masse proletarie.

Una flat tax al 15% (la propone Salvini) porterebbe ad un risparmio massimo di 100 euro al mese per i redditi più bassi; migliaia di euro invece per i ricchi, fra cui chi ha pensioni d’oro, stipendi manageriali e vitalizi vari (calcoli del Centro consumatori Italia). Nessun serio beneficio per i lavoratori, stabili e precari, né tanto meno per i disoccupati e per i pensionati. Ed anche la proposta del risorto Berlusconi (tassa unica al 23%) farebbe regali ai ricchi ma con un costo alle casse statali di circa 30 miliardi (1).

A tutti, dunque, si promettono aumenti ma poi chi coprirà la maggiore spesa (senza dimenticare il pagamento degli interessi del debito pubblico, gli stipendi dei dipendenti pubblici e le uscite per scuola e sanità)? Per una famiglia della media e grande borghesia sarebbe interessante versare meno tasse e pagare scuola e sanità private, ma per chi vive di salario e pensione si tratterebbe di problemi grossi…

Se guardiamo ad uno Stato (l’Ungheria) che applica una aliquota unica al 15%, non solo sono state avvantaggiate le fasce della ricca borghesia ma – vedi i dati della Commissione europea – sono aumentati i lavoratori ungheresi a rischio povertà e si sono ridotte le spese statali per scuola e sanità. In Russia poi, dove il prelievo fiscale avviene con una sola aliquota al 13%, le condizioni economico-sociali del proletariato si sono aggravate e non si sono avuti effetti espansivi per l'economia capitalista. Questo ben prima della guerra in Ucraina, e con l’ampliarsi delle disuguaglianze sociali che vedono in Russia – dati più che attendibili della Higher School of Economics – una piccola parte del “popolo” (il 3%) possedere “l'89% di tutte le attività finanziarie nel 2018”. Un gruppo di miliardari russi (poco più di 100, più circa 250 mila milionari) ha in tasca miliardi e miliardi di dollari: cifre che aumentano ogni anno strappando plusvalore dallo sfruttamento oppressivo di uomini e donne e dal saccheggio di risorse naturali. Una massa di proletari (più di 21 milioni di “cittadini”) è ufficialmente definito “povero” (Rosstat , “Servizio federale per la statistica statale”, 17/10/2020) e almeno due terzi delle famiglie russe sopravvivono a malapena.

Tocca infine al Pd proporre altre “spese” (ma chi paga?): asili infantili per tutti, aumenti a pioggia agli insegnanti, bonus ai diciottenni e trasporti pubblici gratis. Quando si tratta di programmi elettorali, la borghesia (a… sinistra e a destra) promette tutto ciò che il capitale (nessuno lo tocca!) non potrà mai concedere. Riguardo ad un aumento degli stipendi al personale scolastico italiano, la proposta fu già avanzata da Di Maio nel 2019. Oggi il costo sarebbe almeno di 10 mld di euro ogni anno (stime della Gilda degli insegnanti).

Con un bonus da 10.000 euro per chi compie diciotto anni e proviene da famiglie a basso reddito, il costo totale è di 2,8 mld. Il Pd propone – come entrata – una tassa di successione (del 20%) per i patrimoni sopra i 5 milioni di euro: poiché i beneficiari del bonus sarebbero circa 280mila, il Sole 24 Ore scrive di una entrata inferiore di cinque volte l’uscita. Chi paga il resto? Da dove arriverebbero i fondi statali necessari?

Per gli asili si promette un posto a tutti i bambini, ma solo per il 60% di essi occorrerebbero circa 4,3 miliardi in più all’anno, con l'aggiunta di almeno 16mila euro una tantum per ogni posto aggiuntivo creato (costruzione di nuove strutture, ecc.). Come sarebbe possibile che tutti i progetti del centrosinistra avvengano a «saldo invariato»?

In conclusione, la politica dei partiti borghesi che affollano gli spazi dell’arco costituzionale repubblicano, in ambito economico e sociale, non può che avere un indirizzo obbligato, esclusivamente rivolto a venerare i feticci posti sugli altari della società dominata dal capitale. Il quale detta regole e scelte di fondo che sono presentate come assolute, mascherate da “riforme di una struttura obbligata” e che hanno un solo scopo: portare avanti una macelleria di classe già in pieno svolgimento, con licenziamenti e riduzioni salariali, sussidi insufficienti e aumenti dell’età pensionabile. Una élite di ricchi cavalca l’anarchia generale che domina i mercati con il dilagare di una corruzione, e un saccheggio, che si stanno ampliando in ogni parte del bel mondo borghese. L’irrazionalità del capitale, anche quando la si maschera con una sua propagandata ed esaltata socializzazione, diffonde miseria, fame e morte.

La crisi economica si va ingigantendo, portando milioni di uomini, donne, anziani e bambini in condizioni sempre più misere. La borghesia stessa avverte che la situazione globale si sta facendo estremamente pericolosa, non presentando alcuna seria prospettiva di soluzione. Nel tentativo di gestire le disastrose conseguenze, non rimane che diffondere l’illusione di una più equa redistribuzione mercantile con l’obiettivo di gestire la crisi senza guardare (neppure di sfuggita) a quelle che sono le cause del flagello economico e sociale che sta mettendo in pericolo il futuro non solo del capitalismo ma dell’intero mondo,

Le contraddizioni dell’attuale modo di produzione e distribuzione vanno assumendo dimensioni mostruose via via che le forze di produzione aumentano la loro potenza liberando (potenzialmente) uomini e donne dalla schiavitù del lavoro e mettendo a rischio quel valore di scambio sul quale il capitale si regge.

La borghesia italiana – come quella di ogni paese – non può far altro che sperare di continuare a coinvolgere il proletariato nel tentativo di gestire i movimenti convulsi di un capitale in agonia, alle prese col crescere di una massa di esseri umani, superflua e ingombrante per il sistema stesso. Il quale, sprofondando nei vortici della sua crisi, corrode il proprio apparato statale e rende sempre più inutili e controproducenti le sue istituzioni legislative dietro le quali il capitale si è fino ad oggi rifugiato e protetto.

DC

(1) Secondo alcuni calcoli, 18,3 milioni di persone che dichiarano un reddito fino a 15.000 euro, non avrebbero nessun vantaggio, visto che già ora l'aliquota per loro è al 23%. Coloro che dichiarano un reddito tra i 15 mila e i 29 mila euro (sempre lordi), risparmierebbero 250 euro all'anno, circa 20 euro al mese. In pratica, con la tassa al 23%, i quattro quinti dei contribuenti non avrebbero nessun vantaggio o un vantaggio molto scarso: vedi P.I. Armino, il manifesto del 13/08/'22. Certo, con la tassa al 15% le cose un po' cambierebbero, ma qui è gareggiare tra chi le spara più grosse...

Venerdì, September 2, 2022