Le prospettive di “un nuovo mondo che avanza”, a rimorchio del vecchio

A suon di missili, l’alba di un “nuovo mondo”

Per lo pseudo “comunista” L. Masella, già membro della Direzione Nazionale del PRC, con la guerra in Ucraina saremmo finalmente davanti all’«alba di un mondo nuovo, un mondo multipolare, più giusto, più democratico». Sarebbe l’effetto della fine del predominio nord-americano (e occidentale) e dell’emergere del Sud del mondo e degli Stati fin qui tenuti sotto il dominio del dollaro. Non vedremo più centri di potere economico-finanziario privato, ma assisteremo all’avvio di un processo di passaggio niente di meno che al comunismo col prevalere di «forze operaie e popolari» che aiuteranno (udite, udite!) Cina e Russia a guardarsi persino da alcuni eccessi di mercantilismo che sono costrette a praticare. (E lamentano di non poter praticare liberamente…)

A nome di un comunismo che fa da brutta copia del capitalismo, si spaccia l’avvento di una nuova società che, nonostante mantenga i medesimi rapporti di produzione, non lascerebbe in proprietà privata il plusvalore, il profitto, bensì – «incentivando i lavoratori» - lo “socializza” tramite il potere popolare e la democrazia politica. Il tutto gestito dal popolo sottomesso allo Stato che fa propri i mezzi per produrre quella ricchezza la quale – scriveva Marx

nelle società dove predomina il modo di produzione capitalistico, appare come una immensa raccolta di merci e la singola merce si presenta come sua forma elementare.

Testualmente, Putin al Forum Economico di San Pietroburgo (17 giugno) ha dichiarato: “Sul pianeta si sono formati nuovi potenti e sempre più determinati centri. Ognuno di essi sviluppa il proprio sistema politico e le istituzioni pubbliche secondo il proprio modello di crescita economica e, naturalmente, ha il diritto di proteggerli e di assicurare la sovranità nazionale…”. Quest’ottica imperialista (mascherata con occhiali affumicati che “vedono” la possibilità di un mondo multipolare governato dalla logica dell'accumulazione capitalista) richiede politiche di espansione da potenza, per l’appunto, imperialista. A cominciare dalla Cina che si presenta col suo ibrido sistema capital-socialista. Si tratterebbe di conquistare e organizzare uno spazio economico mondiale con un apposito Fondo Monetario e una Banca Mondiale alternativa. Questa volta controllate dal potere politico (e militare) di Cina e Russia, sia per manovre finanziarie sia per la vendita e l’acquisto di industrie, merci e servizi. Un’altra globalizzazione che avrebbe però come suo attributo l’avvio del… socialismo mercantile!

Per il momento dominata da due centri che – per tipi alla Masella – si starebbero avvicinando alla fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; in particolare la Cina, grazie ad una «nuova concezione di socialismo», (ovvero un «modello di economia mista pubblico-privato a direzione statale». È necessario però combattere contro «una guerra mondiale dell’imperialismo americano a danno di Russia e Cina», schierandoci dalla parte dei secondi…

Noi non ci staremmo accorgendo che «avanza un mondo multipolare e che sta cambiando la coscienza del mondo». Si aprirebbe una «fase storica di cambiamento epocale, rivoluzionario, del mondo, una delle fasi più rivoluzionarie della storia dell’umanità.» Il tutto – per il pensiero di soggetti che mistificano il nome di “comunista” – grazie alla «forza economica, politica e militare di paesi come la Cina e la Russia». In particolare,

la Russia di Putin, col suo potente ritorno in campo e con la sua operazione militare in Ucraina, ha inaugurato una nuova era e, sfidando l’Occidente, sta facendo da apripista al nuovo mondo che avanza.

Arrivano gli applausi persino dell’econ omista americano James Galbraith che elogia Cina, Iran, Bielorussia, Kazakistan e l’India neutrale, presenti nella «fase di creazione di un nuovo sistema finanziario internazionale». Come «storia rivoluzionaria alternativa dei paesi anti-imperialisti», non sembra male!

Ciò che conta è il continuare – per l’Italia - ad esportare merci almeno in Cina: nel solo agosto 2021 erano pari a 2,627 mld di dollari (dati delle Dogane cinesi). Fra gennaio e agosto dello stesso anno la Cina ha importato merci italiane per un totale di 20 miliardi di dollari. Già, “soldi a palate” per gli industriali, ed è così che si apre una nuova era, camminando verso la Via della Seta…! E soprattutto, nessun errato “approccio ideologico” contro alcuni settori sociali: bisogna cambiare atteggiamento verso «una parte rilevantissima della borghesia industriale italiana»; bisogna «interloquire con essa e con le sue rappresentanze politiche». Nero su bianco, così leggiamo!

Dunque, «porte aperte al libero commercio con Cina e Russia: il made in Italy di tanti piccoli e medi imprenditori va tutelato». E in politica estera bisogna collaborare con Russia e Cina, basandoci su una propria forza militare, in accordo con Mosca per una sicurezza comune. In politica economica si deve por fine al liberismo attraverso una nuova valorizzazione del ruolo dello Stato e stabilendo un patto sociale fra capitale e lavoro che valorizzi i lavoratori e il capitale produttivo a scapito del capitale finanziario. Col mondo nuovo che sta sorgendo, dobbiamo essere in amicizia e collaborazione col capitalismo, quello “buono” in… camicia rosa!

Altre “soggettività” a servizio del capitale

Indubbiamente, le riflessioni di eminenti professori universitari (ritenuti “progressisti”, persino di… “sinistra”, addirittura simpatizzanti di gruppi che si definiscono “comunisti”…) lasciano noi - semplici mortali – a dir poco indignati. E non solo in Italia: vedi le esternazioni che in una intervista ha rilasciato recentemente uno stimato personaggio, Michael Hudson, professore di Economia presso l'Università del Missouri-Kansas City, ex analista e consulente finanziario a Wall Street e presidente dell'Istituto per lo Studio delle Tendenze Economiche di Lungo Termine.

Con un così prestigioso curriculum, il professore sale in cattedra per denunciare uno scontro in atto fra quelli che ritiene siano due “diversi ordini economici”. Uno dei due (quello orientale…) meriterebbe simpatie e appoggi, ma prima di arrivare a questa conclusione, Hudson ci offre un personale giudizio su quello che sarebbe il “conflitto tra finanza e produzione” e che sta mettendo al tappeto il capitalismo d’Occidente. La finanza è incolpata di non fornire capitali da investire nella produzione di merci, preferendo un parassitismo che fra i tanti effetti perversi ha quello di far aumentare i debiti pubblici e privati in modo esponenziale. Si dovrebbe allora continuare a piagnucolare su una scarsità di investimenti di capitale a seguito di quote di ricchezza le quali, anziché restare in mano della speculazione finanziaria, andrebbero destinate ad impieghi per produrre altre merci. Silenzio assoluto sul fatto – indubbio! – che il capitale è tale soltanto se dalla produzione di merci ricava una sua valorizzazione in termini di denaro. E coi saggi di profitto in ribasso, i settori industriali vanno in crisi e le infrastrutture (il capitale le prende in considerazione se in seguito portano ad un aumento di efficienza - profitti - nel lavoro e nella produzione di merci) restano fra le illusioni accarezzate dalle anime belle dei tanti servi sciocchi del capitale.

Qualcuno poi avanza l’idea di una distinzione necessaria fra capitale e capitalismo… Infatti, _d_iversamente valutano la situazione in altri Stati (vedi Cina innanzitutto) dove, pur con i medesimi rapporti di produzione e regole sociali imposte dal capitale, il popolo godrebbe i benefici di una economia che – anche se è in tutto e per tutto dipendente dal capitale - non subirebbe crisi e garantirebbe un continuo sviluppo sociale e la distribuzione popolare delle ricchezze… Ed anche Hudson, in qualità di una sua… pura e incontaminata soggettività, ci racconta della comparsa di un nuovo socialismo, questa volta situato ad Oriente. Si tratterebbe di un’economia mista – capital-socialismo – che pratica forti investimenti governativi nelle infrastrutture, ufficialmente per migliorare istruzione, assistenza sanitaria, trasporti e altre necessità di base, sempre a bassi livelli.

Il fatto di presentarle come pubbliche iniziative, strappate al monopolio del capitale privato e affidate a quello statale (e per questo da considerarsi “collettivo”…), significherebbe aver superato economicamente gli alti costi che ricadrebbero invece sulle privatizzazioni dell’Occidente. Il risultato è che in Occidente tali costi, finanziati dal debito e senza il necessario e “giusto” profitto da investire poi in nuovi mezzi di produzione (formazione del capitale), porrebbero in difficoltà il sistema. Ecco avanzare una deindustrializzazione che impoverisce la popolazione, ed ecco quale sarebbe l’alternativa, secondo il “pensiero” dell’emerito Hudson: «Il percorso alternativo è un capitalismo industriale a economia mista che porta al socialismo». Già, a condizione – sempre – che procuri sufficiente profitto, non importa come e da dove. Avremo allora – come già se ne vedrebbe l’anticipazione in alcuni paesi… - una organizzazione produttiva e distributiva unicamente rivolta a soddisfare i bisogni del popolo (proletari e borghesi) e, naturalmente, del capitale…

Lasciamo Hudson alle sue meditazioni e guardiamo alla Russia, a quella “dissoluzione dell’Unione Sovietica”, che molti rimpiangono e che avrebbe fatto da “argine al capitalismo selvaggio poi impiantatosi in quasi tutti gli Stati”. Ora si guarda a Putin come al “meno peggio”, anche se punta sull'impresa privata come base di una “economia mista” comprendente interventi statali accanto a tagli di tasse per il capitale privato, col contorno di un ridimensionamento dei “diritti” dei salariati mentre il pagamento in denaro dei servizi sociali (educazione e sanità) è ormai d’obbligo per tutti. Questa promiscuità tra un capitale privato sempre più centralizzato e un potere statale che si va rafforzando, affascina le anime belle di un socialismo che liscia il pelo al capitale. A quello russo, privato o statale, che vorrebbe riconosciuta – in cambio dell’adesione alle regole del gioco occidentale – una “partnership egualitaria” con Washington e una sorta di “sfera di influenza” attorno a sé. C’è poi chi pur riconoscendo che “il capitale e lo Stato della Federazione Russa sono predatori (come tutti i capitali e tutti gli stati capitalistici)”, lo sarebbero di ‘secondo rango’” perché sono incapaci, a differenza degli Stati Uniti, di manipolare gli altri attori del processo economico e politico mondiale e che impongono le proprie “regole del gioco” a livello globale. (F. Ciabatti, citando scrittori russi).

Ecco perché non si potrebbe considerare la Russia una potenza imperialistica… semmai uno Stato che cerca di conquistare un posto al sole… per il proprio capitale sulla via per diventare “socialista”!

Un tipo di “marxista” come M. Castaldo fa una distinzione – a “gradazioni diverse” – tra l’imperialismo occidentale e gli altri paesi del mondo, pur se “fanno parte dell’insieme dei rapporti capitalistici”. E cita il “filosofo” russo Dugin (1) che presenta la Russia – contro le provocazioni dei “liberali” ormai caduti in declino – come “una forza rivoluzionaria post-liberale che combatte per un futuro diverso per tutti i popoli del pianeta”. La Russia farebbe la guerra

non solo a vantaggio degli interessi nazionali russi, ma per la causa di un mondo multipolare più equo, per la dignità e la vera libertà (…) contro il (dis)ordine del mondo liberale… La Russia quale prima potenza ideologica post-liberale.

Dunque, commenta il Castaldo, poiché l’Occidente è in declino, spetterebbe ai comunisti affrettare la crisi, e auspicabilmente il crollo, del capitalismo occidentale. La Federazione russa si sta difendendo contro la Nato e l’Occidente per divenire un paese industrializzato a tutti gli effetti e non essere soltanto beneficiario di materie prime. L’imperialismo occidentale lo aggredisce e quindi va difeso senza condizioni poiché la sua azione aggrava la crisi in Occidente, e potrebbe rimettere in moto masse proletarie che non sopporteranno all’infinito l’impoverimento cui sono sottoposte.

Geniale! Sarebbe come se si dovesse aiutare il capitale a intensificare lo sfruttamento dei lavoratori, perché così si avrebbero maggiori proteste dal proletariato! Ma c’è altro: si ammette che unico per tutti è il modo di produzione, ma – conclude il “marxista” – non lo si può fermare se non con una sua profonda crisi che dovremmo rendere “irreversibile”, impedendo che “le leggi del capitalismo coinvolgano tutto l’Oriente”. Certo, non sarebbe il “socialismo”, ma si meriterebbe ugualmente un… occhio di riguardo.

Un altro “marxista” (F. Sorini, dirigente Pci e Rifondazione poi, responsabile esteri del Pdci) invoca la coesistenza, e integrazione, fra piano e mercato, pubblico e privato: “proficuamente”! Un mondo multipolare dove con il capitale “socialista” si costruirebbe una economia forte e competitiva, su scala mondiale e con il libero scambio di merci a mezzo denaro, poi investito come capitale e “giusto” profitto… Ciò che conta è portare ai più alti livelli il proprio Pil: ecco allora il “nuovo mondo”. Pace, cooperazione e sovranità per tutti! Sempre che

a Whashington non prevalga un gruppo dirigente alla Stranamore, di tipo hitleriano, che possa portare l’umanità vicina all’autodistruzione.

Un pericolo che mai potrà venire da Pechino o da Mosca, dove la democrazia popolare e il capitale socialista non lo consentirebbero…

I comportamenti etici dell’imperialismo

Stiamo leggendo – sia chiaro: non per scelta preferenziale… - le considerazioni di quanti strillano come oche contro l’imperialismo americano che vuole soffocare la Russia. Il governo italiano – sostenuto dalla «parassitaria oligarchia italica e dai padroni internazionali, economici e militari» - si è schierato con Washington, «calpesta la Costituzione repubblicana» e non «governa la realtà sociale» del Paese…

Il primo e più importante atto sarebbe ora quello di

disertare le politiche di guerra e la Nato, collocando l’Italia in un diverso quadro di relazioni internazionali, di cooperazione attiva con Russia e Cina.

L. Binni su Il Ponte

Quindi si dovrebbe allontanare il pericolo della guerra con il disarmo unilaterale, nessuna spesa militare, la riconversione industriale da militare a civile, lo sviluppo di politiche di pace e – torniamo in Patria… - la piena attuazione dell’articolo 11 della Costituzione! (L’Italia “ripudia la guerra”…)

A questo punto – ecco il “consiglio” che ci viene dato - sarebbe necessario un recupero di sovranità nazionale per svolgere un ruolo attivo e indipendente all’interno della stessa Unione Europea: rinegoziando i trattati, attuando scelte di politica industriale nazionale, riorganizzando una società realmente di tutti. Ci si appella ad una sovranità con assetti istituzionali dalle etichette popolari e sociali: Cina e Russia ce lo insegnerebbero.

L’intellettuale L. Binni, con laurea in lettere all'Università di Firenze e organizzatore negli anni ’70 della rete dei circoli La Comune, si presenta oggi denunciando l’invasiva propaganda mediatica che giustifica e appoggia le aggressioni Nato nell’Europa orientale. Questo metterebbe a rischio gli esistenti «equilibri geopolitici» e distribuirebbe «patenti democratiche a vecchi arnesi autocratici e oligarchici». Il resto, riguardo a quanto accade in Ucraina, sarebbe – quando si parla di devastazioni e massacri dell’esercito inviato da Mosca – soltanto frutto di deformazioni propagandistiche. La Russia altro non farebbe che difendersi dai «latrati bellicisti» imputabili esclusivamente all’imperialismo americano (il quale non se ne sta di certo con le mani in mano, ancora sporche di sangue!) e che anticipano il «grande confronto tra Stati Uniti e Repubblica popolare cinese»…

Nel frattempo la Russia – per non essere da meno dei rivali americani - mantiene il suo esercito e i suoi servizi segreti in strette relazioni, naturalmente negandole, con formazioni militari mercenarie quali i contractor della banda Wagner, forte di alcune migliaia di uomini operanti principalmente in Africa.

Putin considera frutto di “isterismo” il ritenere che la Russia paghi questi mercenari, buona parte dei quali proviene dal Donbass ucraino dove affiancò i separatisti. Ma per non finire in un angolo nello scacchiere imperialistico, è vitale per Mosca avere una strategia internazionale basata sulla estensione della propria influenza geopolitica, infischiandosi di democrazia e diritti umani. Si tratta di una competizione tra i poli imperialistici per il controllo di mercati essenziali per il sistema economico e finanziario che li ha generati. Gli scenari operativi vanno dalla Siria alla Libia, Mali, Sudan, Madagascar, Mozambico, Botswana, Burundi, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Guinea, Guinea Bissau, Nigeria, Zimbabwe.

Tutte le dominanti autocrazie (qualcuna si definisce, e finge, “democratica”) dei vari Stati, negano il reclutamento di mercenari e l’accumulo di armamenti; va garantita – come giustificazione - la sicurezza delle riserve di redditizie risorse naturali, minerali ed energetiche. Gli interessi economici

sono enormi, quanto basta per mettere in agitazione il capitale, sia che si trovi insediato a Washington, a Mosca o a Pechino. E coi saggi di profitto che si abbassano, la valorizzazione del capitale è disposta a tutto. Ogni impostazione ideologica va bene per coprire i mucchi di nefandezze e crimini sottostanti: tutti hanno le mani grondanti sangue.

Restiamo al centro del conflitto russo-ucraino: uno dei soliti accademicì italiani - E. Galavotti, insegnante di Storia del cristianesimo e della teologia presso l’Università di Chieti-Pescara - dal conflitto ucraino trae “un insegnamento fondamentale”. Innanzitutto, subito stabilendo che Putin – dipinto come cinico e spietato – avrebbe invece ragioni più etiche del melodrammatico Zelensky. Non sempre l’aggressore ha torto: la Russia avrebbe sopportato a lungo i continui attacchi militari dei neonazisti ucraini e infine è intervenuta “in maniera ufficiale e definitiva”. Per difendersi dalle minacce della espansione orientale della NATO, la Russia ha dovuto usare metodi violenti suo malgrado, addirittura muovendosi volutamente con “lentezza e senza infierire sui civili”, pur “subendo gravose perdite”… Dunque, solo “legittima difesa”… per ragioni di Stato!

Disponendo di “sufficienti coordinate culturali”, il nostro storico “formula giudizi obiettivi”, tenendo conto della “autodeterminazione dei popoli, del referendum popolare e quindi della ‘democrazia diretta’”…

Fatta la propria scelta di campo – legittimando le “operazioni militari russe in Ucraina” - non si parla mai di centri imperialistici, dei loro interessi economici e geo-politici, se non per addebitare fatti e misfatti unicamente all’avversario. La Russia – con “comportamenti politici” da ritenersi del tutto “etici” - altro non avrebbe fatto che mettere in sicurezza l’Ucraina orientale e la costa meridionale del Mar Nero, contro una Nato che continua a “punzecchiare l’orso”, irritando quanti l’orso lo accarezzano reclamando uno spazio (non solo strategico) nella scena dell’imperialismo mondiale. L’impegno è la conquista dei mercati sia di materie prime (gas e petrolio innanzitutto) sia di vendita delle merci di consumo.

La competizione è feroce, tanto sul terreno produttivo – dove sorge dirompente la crisi – quanto su quello finanziario: in entrambi, i problemi si aggravano di giorno in giorno. Vedi il recente aumento dei tassi di interesse statunitensi: si finirà col rendere più appetibili i titoli di Stato e aumentare il tasso di cambio del dollaro, aggravando la situazione finanziaria dei paesi debitori. Dunque, un altro tentativo di rendere più apprezzabile il dollaro a spese altrui, pressati anche dalla necessità di altre spese (immense) per “modernizzare il loro hardware militare” mentre stanno (solo gli imperialisti del blocco filo-americano…) “scaricando in Ucraina le loro armi vecchie e obsolete”.

Possiamo concludere – a dispetto di questi vuoti pensieri “soggettivi” - che il modo di produzione capitalistico ha per suo fondamento leggi oggettive le quali, di fronte allo sviluppo dei processi di produzione-riproduzione, semplici e allargati, sboccano inevitabilmente in una sovrapproduzione di merci e mezzi di produzione, quale espressione visibile della caduta del saggio del profitto. Ma sia le une che gli altri non possono più trovare sbocchi mercantili, nonostante miliardi di esseri umani si trovino in condizioni di miseria e privazioni. Le regole-direttive (vere e proprie leggi) di questo sistema non sono correggibili, poiché l’aumento continuo della produttività, sempre attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie e forti riduzioni di forza-lavoro (senza salario e quindi ridotti in miseria), mette ai ferri corti il capitale, innescando appunto la caduta del saggio di profitto.

Fino a quando una forza rivoluzionaria – ecco finalmente il reale soggetto! – non coprirà con una pesante lapide la fossa con il cadavere del capitale che quella tomba sta lui stesso scavando.

(1) Aleksander Dugin è un filosofo e politologo russo con stretti legami con il Cremlino. È considerato ‘l’ideologo di Putin’ e descritto come un suo consigliere e ispiratore.

Sabato, July 2, 2022