Alcune note sulla questione dell'origine del Covid: fra battaglie imperialiste e conseguenti espressioni sociali

Abbiamo più volte denunciato l'evolvere della crisi strutturale del capitalismo e quanto su di essa abbia pesato ulteriormente la fase Covid. Nella nostra stampa, nella nostra pratica,

ne abbiamo mostrato lo scadenzarsi dei passaggi e degli interventi degli Stati nell' attuale fase del confronto/scontro imperialista per tamponare la situazione e cercare di arginare le falle prodottesi nel sistema economico e produttivo.

Due, fra i tanti, gli aspetti che abbiamo teso a sottolineare.

  1. Il peggioramento della situazione della nostra classe a livello nazionale e internazionale in questa profonda crisi, o meglio proprio in virtù di essa, per la natura stessa del capitalismo e delle sue logiche.
  2. Dall'altra, l'evoluzione delle dinamiche imperialiste e delle risposte messe in campo dagli Stati e delle relazioni fra i diversi paesi imperialisti.

Riguardo il primo aspetto, è sotto gli occhi di tutti come l'alto costo della crisi e della pandemia sia stato scaricato dalla borghesia di ogni lido e diversamente colorata sul proletariato mondiale, sulle classi in basso, sia come prodotto delle ferree leggi del capitale in crisi, con le loro ricadute materiali, con un peggioramento delle condizioni di vita e lavoro, fino a livelli di mera sopravvivenza. Costo “sociale” a cui se n'è aggiunto uno ulteriore in termini di possibilità di vita e morte per la nostra classe rispetto allo sviluppo pandemico. Il prezzo è stato, ed è tutt'ora, salatissimo in ogni angolo del mondo, sia per la miserrima condizione sociale, sia per lo stato dei sistemi sanitari e di protezione, sia per le politiche successivamente messe in campo in cui le misure antiepidemiche hanno trovato una loro collocazione in primis rispetto alla garanzia della produzione e del profitto, e in via subordinata su quello della garanzia della salute. Politiche, la cui unione ha costituito il vettore moltiplicatore del numero di infezioni e morti per la nostra classe.

Per quanto riguarda il secondo punto, la lettura delle dinamiche imperialiste ci ha mostrato - come dicevamo per logica interna al capitale in crisi, seppur in forma particolare per il coesistere dei problemi del Covid nella gestione economico-produttiva - che si sono approfondite tutte una serie di contraddizioni e tendenze. In particolare si sono acuiti i livelli di confronto-scontro fra i diversi paesi imperialisti sui diversi piani. Ovvero la fase odierna, in cui interni sono gli ulteriori problemi scaturiti dall'epidemia, non ha annullato le contraddizioni capitalistiche e la concorrenza fra paesi imperialisti, anzi questa, agendo su un terreno economico già compromesso, ha esacerbato e portato ad un nuovo livello critico sia le une che l'altra.

In questo quadro ha preso via via spessore il lancio della polemica in ambito occidentale , sulla cosiddetta “origine” del Covid. Elemento di chiaro segno “speculativo” che è del tutto funzionale a pesare nella contesa fra i diversi paesi imperialisti, nonché secondariamente usato come “arma di distrazione di massa” dai vari governi rispetto alla propria gestione della pandemia, per reindirizzare la polemica all'esterno del proprio contesto nazionale, quantomeno, questo è il tentativo.

Quando parliamo di diversi imperialismi ovviamente mettiamo al centro lo scontro fra Usa con Europa al seguito e altri paesi da un lato, e Cina con Russia al seguito e altri paesi dall'altro.

Non ci interessa qui, per semplicità di esposizione, andare a sottilizzare né sulla diversa composizione e collocazione dei diversi paesi nei due schieramenti contrapposti, né sui diversi interessi, storici, politici, economici, che vedono i diversi paesi unirsi in questi fronti antagonisti . Sicuramente, allo stato, la contraddizione fra Usa e Cina assume carattere principale rispetto all'evoluzione del quadro capitalistico mondiale e delle relazioni e scontri fra i diversi paesi imperialisti .

Detto questo, appunto vogliamo qui ragionare su un aspetto di questa specifica questione, sulla “origine” del Covid-19, che ha subito una sua implementazione tanto più si è andato acuendo il contrasto fra Usa e Cina.

Abbiamo visto come gli Usa e i vari paesi occidentali, con alterne fortune, hanno via via tentato di rilanciare ad ogni occasione la versione che il Covid-19 sia un prodotto fuoriuscito dai laboratori di Wuhan, la città cinese da cui si presume essere partita l'epidemia di Covid.

Ora facendo parlare scienziati dissidenti rifugiati in occidente, ora portando avanti opinioni e studi di diversi esperti occidentali, ora con pubblicazioni su riviste scientifiche di egual natura, lo scopo è sempre uno: il Covid-19 è stato un prodotto di ingegneria virale che per motivi sconosciuti (oggi forse per errore, domani chissà forse per perversa volontà di dominio) è uscito dai laboratori cinesi.

Gli Usa hanno rafforzato questa loro posizione, anche mettendo in dubbio la relazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con cui concludeva la sua inchiesta, classificata come prodotto dell'inciucio fra i funzionari dell'OMS stessa e il governo cinese. E bene o male tutti gli altri paesi della cordata imperialista occidentale hanno fatto propria queste versioni.

Ovviamente a tutto ciò i cinesi hanno risposto rimandando ai mittenti le accuse su cui sono stati tirati in ballo.

Come si vede, schermaglie che esprimono al momento quella politica di pressione sulle relazioni internazionali, e controrisposte, che si avvalgono di un argomento sensibile (la pandemia) che ha segnato il mondo, su cui si giocano diverse partite, ma il cui fine reale e ultimo e quello di usare ogni espediente o arma per rafforzarsi e indebolire l'avversario, marcare terreni di iniziativa e intervento delle più diverse specie, non ultima la leadership sulla stessa gestione della pandemia, intesa come occasione di riaffermazione di potenza e/o penetrazione in aree diverse dalla propria sfera di influenza; si tratta di un dato evidente, pur analizzando la questione dal punto di vista limitato che ci siamo dati dell' “origine” del Covid-19. In realtà è chiaro che siamo di fronte ad una partita a tutto campo che poco, molto poco, ha a che vedere con le sorti dell'umanità di fronte a un problema come l'epidemia, ma molto con i più concreti interessi imperialisti.

Pur avendo al momento lo scontro su questo aspetto (l' “origine” del Covid-19) una vita altalenante, seguendo il corso dei rapporti fra i diversi schieramenti imperialisti, su un altro versante si può constare come le classi dirigenti tentino di utilizzare anche questo aspetto dello scontro internazionale, al fine di coagulare le mille forme di espressione sociale , contraddittorie e generiche nella costruzione di un “senso comune” fra i propri “cittadini” che sia funzionale a costruire e sostenere quel piano di legittimità formale, il famoso “interesse generale, dietro cui in realtà si celano i reali interessi e i reali motivi delle azione della borghesia .

Storicamente, da parte delle classi dominanti la pratica di indicare il “chi è l'avvelenatore dei pozzi” è sempre stata prodromica a scelte infami che nella loro escalation hanno visto maturare scontri bellici di vario tipo ed entità, guerre mondiali comprese.

Di fatti su questo aspetto vediamo il nascere e coagularsi, seppur in maniera disorganica e frastagliata, di una serie di interpretazioni e posizioni figlie in particolar modo delle contorsioni delle “mezze classi” in crisi che sono portatrici di spinte ancor più reazionarie. Spinte che come architrave hanno i peggiori “luoghi comuni” che trovano il loro alimento, nelle ragioni profondamente materiali che larghi e differenziati strati di piccola e media borghesia hanno avuto e hanno nel confronto con la crisi, la gestione di essa , e le contraddizioni sociali di ritorno che su questi strati hanno pesato in termini regressivi socialmente.

Vediamo...

Abbiamo detto e ogni dato c'è lo indica, come il livello del confronto fra gli schieramenti imperialisti si sia alzato, Usa e Cina in testa, e come ciò non è solo, o meglio, di per sé il prodotto di una volontà di affermazione di potenza, ma si tratta del rispondere alle esigenze della crisi mondiale che premono sul quadro delle relazioni internazionali e delle sfere di influenza, dei mercati, delle risorse energetiche, delle produzioni di punta ecc... Questo tipo di necessità è assunto dalle classi dominanti, se pur in maniera non lineare, sia dall'una che dall'altra parte degli schieramenti imperialisti .

Il doppio movimento di crisi-ristrutturazione sul fronte interno ai singoli paesi e spinta di contrasto sul piano internazionale fra colossi imperialisti, pur vivendo su piani diversi, investe in varie forme tutte le diverse stratificazioni delle classi sociali, seppur in modo peculiare e mediato dalla propria posizione e dai propri interessi reali, rispetto a quanto posto sul terreno dalle esigenze e dalla spinta delle classi dominanti.

In particolare, la crisi odierna segna una botta durissima per le “mezze classi” producendo quella specifica spinta protestaria “antistatuale”, che si è data come peculiare forma di resistenza del proprio declassamento di fronte alle ricette anticrisi della borghesia dominante, che per paradosso sull'altro lato ha visto assumere la polemica “anticinese” da parte di questi strati in forme ancor più demagogiche al carro, di quella stessa borghesia dominante, criticata e maledetta per altro verso.

Tale paradosso apparente è solo spiegabile se si legano le forme di espressione dei diversi strati della piccola e media borghesia con tutto ciò che produce la crisi e tutto ciò che di conseguenza è strettamente legato alla tutela dei propri interessi: nello specifico al terreno di concorrenza posto dalle attività cinesi proprio a settori specifici e in quelli che hanno una relativa dimensione produttiva, su cui si è prodotta una progressiva perdita di posizioni.

Su questa base, la bandiera dell'interesse nazionale, e relative retoriche nazionaliste, sopratutto nei settori delle “mezze classi”, ha trovato le sue brecce e il suo brodo di cultura, incrociandosi in maniera contraddittoria con le spinte alla lotta contro le ”elitè mondiali”

Un coacervo di tensioni, pulsioni, espressioni, che si ricollegano alla galassia multiforme del cosiddetto “sovranismo”, ma la cui sostanziale funzione in prima e ultima istanza, è quella, nonostante le chiacchiere “antisistema”, di lasciare ben ancorati interessi, piedi, testa e coscienza allo stato di cose presente, oscillando fra l'aperto reazionarismo e orizzonti di mutamenti presunti “sistemici”, che alla fine lasciano intonse le basi del sistema per quelle che sono

LA QUESTIONE DEL CAPITALISMO É L'UNICA CHE NON PUÓ E NON DEVE PORSI PER QUESTI SIGNORI. IL LORO ORIZZONTE DI CLASSE É BEN INCARDINATO IN QUESTO SISTEMA E NE RAPPRESENTANO VARIANTI DELLO STESSO TEMA

Sicuramente uno dei fattori (anche se non il solo) che contribuisce a tale approccio è la stessa mistificazione su come viene presentato il regime della Cina: “Comunista” e di potenza incombente, “acchiappatutto”. Come si vede, in ciò c'è sia una ripresa che un adattamento dei temi della contrapposizione ideologica vecchio stampo, a cui è unito in maniera più sostanziale l'emergere della contrapposizione di interessi.

Da comunisti internazionalisti quali siamo, sappiamo bene che Pechino, oltre la dizione palesemente buona per gli allocchi di paese del “socialismo di mercato”, ha basato la sua crescita su tassi di sviluppo quantitativo e qualitativo delle forze produttive ad alta intensità. La gestione centralizzata non ha nascosto il carattere capitalista delle leggi economiche applicate ai piani di sviluppo intensivo. L'urbanizzazione estrema con il formarsi di megalopoli immense, i livelli di inquinamento atmosferico fra i più alti del mondo, l'estrema polarità e disequilibrio fra città e campagna, l'estremo sfruttamento dei lavoratori, la produzione intensiva alimentare, lo sfruttamento intensivo delle riserve naturali, l'assottigliamento se non scomparsa del limite fra natura e attività umana , sono solo i più evidenti cascami di uno sviluppo capitalistico spinto all'inverosimile.

E andando oltre, possiamo tranquillamente affermare che è stato proprio questo sviluppo di tipo capitalistico che ha prodotto il punto di commistione e mutamento qualitativo del “salto di specie”, che si è dato non solo come semplice punto di contatto fra ambito naturale e attività umana, ma come occasione che matura e si sviluppa in una situazione del tutto nuova segnata dallo stravolgimento del rapporto uomo-natura sulla base dello sviluppo intensivo ed esasperato delle forze produttive. Quindi ciò che è emerso in Cina, così come in altre forme e in altri momenti in diversi posti del mondo, chiama in causa proprio il modello di sviluppo capitalistico, “liberale” o “centralizzato” poco importa, che nel suo progredire produce morte.

Dire che il Covid 19 è il prodotto del laboratorio di Wuhan, significa non solo fare dietrologia analitica e alla meglio darsi una spiegazione consolatoria, ma sopratutto negare il problema che il capitalismo rappresenta e che abbiamo dentro casa ed è fonte di quegli stessi guai che i proletari vivono in tutto il mondo.

E alla fine significa appoggiare per un verso o per l'altro le trame delle diverse centrali centrali imperialistiche, che, come abbiamo visto, giocano su questo argomento per ben altri motivi.

Così come dall'altra parte ha lo stesso significato, ma appunto a parti rovesciate, quello di offuscare la questione della natura e dello sviluppo dello stato cinese giustificandosi con la lotta a quello che viene considerato il nemico principale, cioè l'imperialismo occidentale.

Il problema vero è che la questione “Covid 19” deve essere tolta dall'uso che ne fanno gli schieramenti imperialisti nella loro lotta, perché da questa lotta basata sulle logiche mortali del capitale dipendono le cause dell'epidemia, la gestione criminale che di questa hanno avuto, l'uso strumentale per altri scopi, e il futuro incerto per l'umanità.

Bisogna riportare le cose con i piedi per terra.

Il Covid-19 è prodotto delle logiche del capitalismo, ed questo è il problema da affrontare.

Per questo, come comunisti internazionalisti, fin da subito abbiamo fatto nostro e propagandato lo slogan che “IL VIRUS É IL CAPITALISMO”, legando a questo dato l'indicazione politica più che mai stringente e necessaria sulla costruzione di una alternativa di classe e rivoluzionaria a questo sistema decadente.

Domenica, June 6, 2021